Un’opera letteraria raramente è bella perché ha significati particolari (non è un saggio che deve spiegare necessariamente qualcosa), ma semplicemente perché scritta bene.

Watchmen di Alan Moore è scritto divinamente, ma se andassimo a cercare i “significati”, un esercizio nel quale si sono dedicati in troppi, li troveremmo davvero?

 

Il logo di Watchmen

In Watchmen, Alan Moore riversa tutta la sua abilità tecnica.
Il pensiero politico-filosofico di Moore è inconsistente, ma essendo un bravo sceneggiatore dona profondità ai suoi personaggi.

Moore sa che è debole quando cerca di dire qualcosa di preciso, quindi usa una scrittura densa, fatta di strati, di storie su storie. Usa un andamento non lineare, a zigzag: dal presente al passato e viceversa, come se il tempo non esistesse. Una tecnica che solo illusionisticamente pare rivelarci concetti profondi.

Moore è “solo” un bravo scrittore, non un “vero” intellettuale.

Rorschach, il watchman “psicopatico”

Alan Moore è un narcisista, si compiace di se stesso e sottovaluta gli altri. Gli altri, non solo i colleghi, sono tutti di basso livello. Tutto il mondo, escluso lui, è da cestinare. Essendo vissuto negli anni settanta, ha fatto qualche concessione alle mode politiche della sua gioventù alle quali aveva creduto in qualche modo.

Nel fumetto precedente V come vendetta (“V per vendetta”, come è stato tradotto in italiano V for vendetta, non vuol dire niente), Alan Moore concede almeno un vago riscatto rivoluzionario alla maschera di Guy Fawkes, il fanatico cattolico che voleva fare saltare in aria il parlamento inglese dominato dai fanatici protestanti.
Anche se poi questo riscatto non viene espresso e probabilmente non c’è veramente.

La storia di V è stata pubblicata a puntate a partire dal 1982 dalla rivista inglese Warrior. Si tratta della tipica storia che un giovane inglese reduce dai politicizzati anni settanta e influenzato dal film Arancia meccanica di Stanley Kubrick, poteva immaginare. Anche se, a differenza degli altri giovani inglesi, lui è stato in grado di scriverla.

Ma già nel 1986, con Watchmen, qualsiasi redenzione risulta del tutto impossibile per Moore: la rivoluzione non è neppure da prendere in considerazione.

Ciononostante pure in Watchmen ci sono alcuni rimasugli che risalgono alla contestazione. Come in V c’è un governo autoritario, dato che nella finzione di Watchmen il presidente repubblicano Richard Nixon è riuscito a farsi eleggere oltre i due mandati regolamentari.

Nixon risveglia le fantasie adolescenziali di Moore, dato che la contestazione americana inizia nel 1964 e si spegne del tutto nel 1974 con le dimissioni di questo presidente (aveva fatto spiare il comitato elettorale del suo concorrente democratico ed era stato scoperto). Poco è servito a Nixon inaugurare la distensione con la Cina maoista per disimpegnarsi in Vietnam, la guerra iniziata da John Kennedy.
In Italia, la contestazione inizia nel 1968 e per chiudersi del tutto, dieci anni dopo, c’è stato il bisogno psicologico dell’omicidio di Aldo Moro. “Sconfitto il potere” nei loro due prestigiosi simboli del potere americano e italiano, tutti a casa.

La guerra del Vietnam è vista da Alan Moore (e non solo da lui) quasi unicamente come massacro di innocenti, forse perché l’esercito degli Stati Uniti, per la prima e ultima volta, ha concesso a reporter indipendenti di fare veramente il loro lavoro nel teatro di guerra. Lo avessero fatto durante la Seconda guerra mondiale, avremmo visto sui giornali, per esempio, i soldati tedeschi fucilati dagli americani in Sicilia dopo che si erano arresi.
Di guerre “belle” non ce ne sono.

Negli stessi anni in cui il presidente repubblicano Ronald Reagan, aumentando gli investimenti per la tecnologia militare (il progetto “Guerre Stellari”), sta per costringere l’Unione Sovietica a uscire da una lunga dittatura fallimentare, Moore prefigura, al contrario, la distruzione atomica dovuta agli investimenti militari.
Mentre Reagan costringe tutti i paesi del Sud America ad abbandonare la dittatura (Cile di Pinochet compreso), minacciando sanzioni come quelle su Cuba, Moore immagina una presidenza americana dispotica.
Fantasie anni settanta, appunto.

Violenza sessuale tra supereroi

Alan Moore usa diversi registri, soprattutto derivati dalla scrittura hard boiled creata dal giallista americano Dashiell Hammet, la quale gli consente di mettere una toppa su un limite tecnico dei fumetti inglesi. Sembra non averlo notato nessuno, ma gli inglesi non usano la nuvoletta del pensiero. Come in un film, nei fumetti inglesi noi sappiamo solo quello che dicono i personaggi, non ciò che pensano. Lo stile hard boiled permette a Moore di farci sapere quello che pensano usando l’io narrante nelle didascalie.

Traumi infantili di carattere sessuale

Moore non è schizzinoso: della tecnica hard boiled, soprattutto di quella tarda e imbastardita alla Mickey Spillane (destrorsa invece di sinistrorsa come quella di Hammet), oltre al cinismo riprende lo scandalismo ipocrita dei tabloid. I quotidiani popolari, che in Inghilterra vendevano un fottìo, stigmatizzano i fatti di cronaca legati alla sessualità e al contempo li descrivono con dovizia di particolari. Insomma, li criticano solo per compiacersene.
Allo stesso modo, in Watchmen abbiamo quartieri a luci rosse, stupri, pedofilia, torture varie e una bambina data in pasto ai cani. Quasi tutto “raccontato”, perché per vedere si vede poco. L’aspetto criticabile non è certo l’uso di espedienti a tinte forti, ma il fatto di adoperarli come i tabloid per fini moralisti: se davvero certe cose ti danno tanto fastidio, perché le descrivi? Forse per compiacere il lettore?

Pasteggare con i resti di una bambina

Nei suoi fumetti Alan Moore commette spesso errori di cultura generale. In Watchmen, per esempio, solo alla fine qualcuno gli spiega che Marte ha un’atmosfera e quindi il cielo.
La tecnica investigativa non esiste nelle sue storie, come in quelle di Frank Miller: basta entrare in un bar malfamato e picchiare selvaggiamente i casuali avventori per avere tutte le notizie desiderate (peraltro questi avventori parlano in pubblico, esponendosi a ritorsioni).

Watchmen, alla fine, si riduce in un banale, complottista e jamesbondiano tentativo di conquista del mondo da parte di un miliardario. La conclusione, poi, è concettualmente ancora più debole di tutto il resto. Per fortuna è così esile che non se la ricorda nessuno.

Moore non sa inventare storie, sa “solo” raccontarle bene. Però questo non conta: proprio perché Watchmen è scritto da dio si tratta di uno dei fumetti più belli mai realizzati, anche se a rileggerlo gli anni si fanno sentire.

Se vogliamo parlare del suo contenuto, possiamo solo dire che Watchmen è nichilista come il suo autore. Nulla ha senso nel mondo, quindi non si può fare niente per salvarlo. Qualsiasi tentativo è inutile.

Non stupisce che Alan Moore sia affascinato dalla magia, una “disciplina” che propone soluzioni definitive. Se avesse una mentalità scientifica capirebbe che la questione non è salvare il mondo, ma semplicemente cercare di migliorarlo accettando il rischio di renderlo peggiore.

Steve Ditko ha creato l’Uomo Ragno e il Dottor Strange (come dico nell’articolo: Il vero Uomo Ragno è Steve Ditko). Ma i personaggi nei quali Ditko credeva di più li creò qualche anno dopo: eroi come Question e Mr. A, anche se non riuscì a renderli interessanti a causa dei suoi limiti come scrittore. Su questi ultimi personaggi Alan Moore si è basato nel costruire Rorschach.
Per la precisione, Rorschach è una “parodia” dei personaggi di Ditko, ma poco importa: la sua profonda natura ditkiana prende il sopravvento diventando il vero protagonista di Watchmen. E il migliore “supereroe” dagli anni ottanta a oggi.

Lo psicopatico Rorschach è un fetente: Alan Moore disprezza o comunque non si identifica nei personaggi di Watchmen, anche se non commette l’errore di renderli unidimensionali come fanno gli sceneggiatori da quattro soldi che descrivono, per esempio, l’inquinatore di turno come un cattivone privo di sentimenti.
Lo psicopatico Marv, protagonista del fumetto “Sin City” (1991), è, invece, un eroe vero, pur essendo decisamente al di fuori della legge: Frank Miller ama i propri personaggi e si identifica in loro.

Interessante il confronto tra le opere dell’inglese Alan Moore e dell’americano Frank Miller. Entrambi usano lo stesso materiale letterario pescato fuori dal fumetto, essenzialmente dalla tradizione hard boiled, ma lo strutturano in base ai condizionamenti di una cultura politica di estrema sinistra (anche se tacitamente rinnegata) il primo e di una cultura di estrema destra (del tutto negata) il secondo.

Pure Frank Miller in Sin City usa la tecnica dell’io narrante e la violenza ipertrofica, degenerando fin quasi nello splatter. Anche se quando lavorava sui supereroi tradizionali doveva frenarsi, persino nel Batman de Il ritorno del Cavaliere Nero (Cavaliere Oscuro, come è stato sciaguratamente tradotto Dark Knight, in italiano significa “cavaliere di ardua comprensione”: se proprio si voleva essere letterali bisognava chiamarlo Cavaliere Scuro).

L’anziano ma sempre atletico Batman in “Dark Knight”

Nel primo episodio di Sin City, pubblicato dalla casa editrice Dark Horse (da non tradurre in Cavallo Oscuro), Frank Miller può invece fare quello che vuole: per esempio, un giovane divora le ragazze e poi impaglia le loro teste come trofei. A una di queste, senza ucciderla, le mangia una mano costringendola a guardare. Il padre del mostro, che lo protegge, è il cardinale di Sin City.

Marv prigioniero delle puttane glam di Sin City


L’eroe di Miller è una vera nemesi, che nell’atto di dispensare la giustizia divina non può essere fermato nemmeno dalle pallottole. In Watchmen non c’è giustizia, in Sin City sì.

Fare giustizia è l’obiettivo di Marv: bisogna punire il cardinale e suo figlio perché hanno ucciso una puttana. Poi il giustiziere dovrà morire a sua volta, ma intanto ha fatto giustizia.

Ottenere giustizia per una puttana non è cosa di poco conto: quando ne viene uccisa una nella realtà, i telegiornali ne danno notizia solo di sfuggita (quando la danno). Si è mai sentito parlare della vita privata di una prostituta uccisa? Di una prostituta non si racconta niente. Perché di Yara, brava ragazza, se ne è parlato per anni e delle prostitute ammazzate mai?

Cercare giustizia per una puttana, come fa Marv, è davvero notevole. Qualcosa di simile per l’epoca, il 1939, si è visto nel film Ombre rosse di John Ford, dove John Wayne chiede la mano a una ex prostituta per nulla macchiettistica.

Trattare una prostituta in quanto tale rivela subito una cultura letteraria di “destra”, perché la cultura di “sinistra” non accetta in alcun modo che una donna possa prostituirsi volontariamente. Quindi, se deve parlare di una prostituta, un autore di sinistra lo fa per raccontare le inaudite costrizioni che ha dovuto subire per diventarlo. Alla fine della storia una simile prostituta “di sinistra” abbandonerà il proprio umiliante status morendo, per sottolineare così una vita tragica.

In Watchmen le cose sono troppo complesse per trovare una soluzione, anche se nella realtà di tutti i giorni Alan Moore può personalmente battersi per qualche causa, per esempio quando ce l’aveva con il primo ministro Margareth Thatcher per gli stessi motivi immaginari del suo Nixon fumettistico: temeva che stesse per inaugurare una dittatura (confondendo il liberismo economico con il suo opposto, il fascismo statalista).

Neppure Miller pensa sia possibile risolvere definitivamente qualcosa in Sin City, anche se poi, nella realtà, può manifestare idee politiche antitetiche da quelle di Moore dando dei fighetti (nello stile di Pasolini) ai dimostranti di “occupy Wall Street”. Malgrado tutto, in Sin City la giustizia rimane una necessità morale che in un mondo nichilista può essere compiuta solo in maniera amorale: Marv fa lentamente a pezzi il cardinale e suo figlio, dando il secondo in pasto ai cani.

L’idea dei cani che pasteggiano con carne umana accomuna Frank e Alan nel loro delirio nichilista, sia pure fondato su preconcetti politici del tutto diversi.

Dopo avere fatto giustizia, come previsto l’eroico Marv viene condannato a friggere sulla sedia elettrica.

Alan Moore è di sinistra, Frank Miller di destra: quest’ultimo su Dark Knight aveva preso in giro il presidente repubblicano Ronald Reagan, mostrandolo come uno zombi, solo per compiacere il sinistrismo di maniera del fandom (le recensioni dello scomparso Comics Journal decretavano cosa fosse arte e cosa no in base a elementi più politici che estetici). Entrambi sono estremisti, quindi il mondo è troppo lontano dai loro ideali di perfezione per potere essere modificato davvero. Duemila anni fa si sarebbero convertiti alla religione di origine persiana del manicheismo, che sosteneva proprio questa impossibilità. Per loro, un cambiamento verso il meglio potrebbe anche essere auspicabile a parole, ma privo di senso nei fatti.

Al di là di questo, non ci sono altri veri contenuti in Watchmen e in Sin City. Platone diceva che gli artisti non capiscono la propria arte, che per questo motivo non la sanno usare a fini utili: che senso ha raccontare che Zeus, il capo degli dei, violenta la sorella Era? E allora Platone si mette lui stesso a raccontare storie rivelando grandi capacità creative, ma usando uno stile così realistico che ancora oggi la gente pensa che quando parlava di Atlantide (è stato il primo a farlo) dicesse sul serio. Pure le altre opere di Alan Moore e di Frank Miller, come From Hell e Dark Knight, sono scritte da dio. Ma cosa vogliono dire? Diversamente dalle storie didattico-filosofiche di Platone, niente.

La critica più pesante che posso rivolgere a ‘sti due tizi, comunque, è che producono sempre meno: l’attesa per leggere i loro fumetti eccezionali sta diventando snervante.
Quelli di Moore sono scritti molto meglio di quelli di Miller, il quale però sa anche disegnare benissimo.

La prima tavola di “Watchmen”

Io non invidio Alan Moore solo perché, forse, è leggermente più bravo di me a scrivere fumetti (una vita fa facevo lo sceneggiatore).
Alan Moore va invidiato soprattutto perché ha la possibilità di trattare direttamente con i disegnatori invece di passare attraverso i redattori, riuscendo a fargli disegnare esattamente quello che vuole.
Un redattore di Topolino mi ha raccontato che un disegnatore gli aveva telefonato seccato perché alla sedicesima tavola Pippo non aveva ancora aperto bocca: quel disegnatore, come purtroppo da noi è normale, non aveva letto le descrizioni della sceneggiatura, solo i dialoghi. Così aveva disegnato Pippo al fianco di Topolino sin dalla prima vignetta, anche se nella sceneggiatura non c’era in tutta la storia.

Guardate invece come Alan Moore descrive scrupolosamente al disegnatore Dave Gibbons le prime vignette (panels) della prima tavola di Watchmen.

A me facevano il cu*o se nella sceneggiatura mettevo più di tre righe di descrizione.
Non me lo facevano i disegnatori, che tanto non le avrebbero lette comunque, ma i redattori.

 

 

Di Sauro Pennacchioli

Contatto E-mail: info@giornale.pop

14 pensiero su “WATCHMEN DI ALAN MOORE SIGNIFICA QUALCOSA?”
  1. Sono stato morso da un Voltaire radioattivo anni fa e quindi anche quando non d’accordo punto per punto sono disposto a dare la vita di un disegnatore che disegna Pippi senza motivo per difendere il tuo diritto a dire fare pensare lettera eccetera, ma mi permetto di sindacare che:
    1) basta leggere per esempio Swamp Thing # 40 di Moore /Bissette/Totleben ” The Curse ” in cui si usa la licantropìa per raccontare la storia del matriarcato nella esperienza umana attraverso la umiliante segrazione inflitta alla donna nel momento in cui entra nella fase adulta via ciclo per capire che il tizio sa scrivere bene anche quando finalizzato a proporre una sua idea chiara e politica nel senso + ampio del termine
    La saga della Cosa della Palude, anyway, è piena di esempi simili.
    2) il balloon di pensiero e la sua variante hard boiled della dida di pensiero in prima persona alla Dash sono una opzione , ma non necessariamente la migliore. Un fumetto in cui i personaggi parlano, ma ” non pensano ” nel senso che , come nella Realtà Prima , ci tocca dedurre cosa passi per la zucca dei tizi davanti a noi o fuori campo è interessante. Naturalmente deve esser servito caldo da un disegnatore che sappia far recitare i personaggi. Linguaggio del corpo. Mi si dice che anche nella vita di noi carnosi e non cartacei spesso la gente non dice a parole cosa pensi e spesso si autocensura per non pensare cosa vorrebbe.
    ciao ciao

  2. Devi migliorare a scrivere perché non si capisce cosa tu voglia dire con questo articolo, sembra uno sfogo confuso. O magari non avevi niente da dire come Moore?

  3. Pezzo molto interessante, su cui riflettere.
    Una piccola nota: “Cavaliere Oscuro” venne usato probabilmente perché nell’edizione italiana dei fumetti Marvel esisteva già “Cavaliere Nero”, un supereroe in stile medievale che in originale è “Black Knight”. Scrivere “Cavaliere Scuro” non avrebbe significato nulla perché si sarebbe solo riferito a una tonalità di colore. “Cavaliere Oscuro” ha senso perché è metaforico, si riferisce a una cupezza che non è semplicemente cromatica ma di carattere, relativa alle azioni ecc.
    Sono invece d’accordo su “V for Vendetta”: in italiano si deve tradurre con “V come Vendetta”.
    Saluti!

    1. Fulvia Serra nel periodo in cui scriveva anche per il quindicinale di Batman della Glenat – siamo nei primi anni novanta dopo la famosa “discesa in campo “di Berlusconi – celiava sul fatto che avessimo già un Cavaliere Nero ben diverso da quello di Kane e Finger.

      1. Il problema era che il giovane traduttore della Milano Libri non aveva una seria revisione redazionale. Per esempio, Galactus lo aveva fatto diventare Galacto. A parte il fatto che se voleva italianizzare il nome dal latino (?) avrebbe dovuto chiamarlo Galatto, manco aveva un redattore esperto in grado di dirgli: no, lascia Galactus perché ormai in Italia si chiama così. Poi i titoli sbagliati delle opere di Alan Moore passarano alle edizioni italiani dei film.

  4. Articolo imbarazzante per ignoranza e incapacità di capire i livelli di scrittura e lettura di un’opera del genere. Proprio non ne becca mezza.

  5. Ciao, un amico ha condiviso il tuo articolo su un gruppo sui fumetti, e qualcuno diceva che il tuo articolo fosse ironico. Io non penso.
    Vorrei però la certezza di non aver travisato.
    Grazie e Buona Serata.

    1. In parte l’articolo è ironico, dato che Watchmen (come del resto dico) è un capolavoro.
      La parte seria è dove critico chi ritiene di trovare in Watchmen qualcosa di diverso da una grande prova di virtuosismo.

  6. Francamente non vedo il senso in un disegnatore che non legge le descrizioni di una storia. Spero che quel passaggio fosse ironico, perché non mi sembra affatto “normale” come cosa.
    Non trovo neppure cosa ci sia di sbagliato nella traduzione “V per Vendetta”, in quanto è una dicitura corretta.

  7. Verissimo, Moore é sopravvalutato perché si prende (e lo prendono) troppo sul serio; in più scrive fumetti come dei romanzi di formazione, ma in un buon fumetto non si può credere di scrivere la divina commedia. Secondo la sua opera veramente riuscita é Miracleman in cui fa vedere come un supereroe dai poteri quasi divini (come Superman) possa davvero cambiare la società. Il resto è per la maggior parte fuffa.

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