Nel 1965, sulle pagine della neonata rivista Linus, un fumettista italiano pignolo e maniacale si prese la briga di inventare una lingua per un popolo immaginario così come Edgar Rice Burroughs e i suoi continuatori avevano fatto per le “grandi scimmie” di Tarzan (vedi qui).

 

VALENTINA E IL POPOLO DEI SOTTERRANEI

L’autore è Guido Crepax, che nel secondo episodio della serie di Neutron (di cui in seguito la protagonista diventerà Valentina) creò il misterioso popolo dei Sotterranei.

Sono esseri che vivono al buio e quindi ciechi, ma anche dotati del potere della vista paralizzante. Un potere che possiede anche l’americano Philip Rembrandt (alias Neutron), imparentato alla lontana con loro per aver avuto tra i suoi antenati una donna di questo popolo.

Una delle cose che contribuiscono a creare inquietudine in occasione delle apparizioni dei Sotterranei, uomini e donne calvi e glabri, coperti da tute attillate e dalla magrezza diafana, che emergono dalle oscure viscere della terra come se provenissero da una sorta di inconscio collettivo, è anche lo strano e apparentemente incomprensibile linguaggio che parlano.

VALENTINA DI CREPAX E LA LINGUA DEI SOTTERRANEI VALENTINA DI CREPAX E LA LINGUA DEI SOTTERRANEI VALENTINA DI CREPAX E LA LINGUA DEI SOTTERRANEI VALENTINA DI CREPAX E LA LINGUA DEI SOTTERRANEI

È una lingua dalle vaghe sonorità mesoamericane, di cui però l’autore usa ogni parola con cognizione di causa, sapendo esattamente cosa significa e cosa sta facendo dire ai suoi personaggi.
Infatti, il primo episodio in cui appaiono i Sotterranei è accompagnato anche da una pagina contenente la precisa traduzione di ogni frase da loro pronunciata.

Si tratta di un linguaggio complesso con una vera e propria grammatica, pronomi e coniugazioni. Se certe parole lunghe piene di T e con desinenze che finiscono spesso in N ricordano un po’ la lingua azteca, le radici di molte parole sono vicine a quelle inglesi e tedesche (una volta tanto che una lingua viene inventata da un autore italiano si tratta di un anglofilo…).

È quindi un linguaggio nella struttura non molto diverso da quelli nord-europei, ma camuffato con l’aggiunta di suoni particolari in modo da farlo apparire più complicato, esotico e straniante…
Ciò non toglie che chi mastichi un po’ di inglese e di tedesco possa riuscire a cogliere i significati di varie parole.

Quello che nelle sonorità produce una certa distanza rispetto alle lingue nordiche è il fatto che le parole si possono leggere come si scrivono senza troppe regole di pronuncia. A ogni lettera sembra corrispondere un suono, più o meno all’italiana o come nell’esperanto, anche se non è chiaro come si pronuncino lettere come G e J, o una lettera molto usata come la W, o un gruppo come SH (molto probabilmente all’inglese).

La precisione di Crepax giunge a fornire per tutte le parole anche gli accenti principali, per assicurarsi che siano lette correttamente, accenti che cadono quasi sempre sulla prima sillaba.

Dalle traduzioni fornite dall’autore, nel primo e in altri episodi di Valentina in cui i Sotterranei appaiono, si comprende innanzitutto che i nomi finiscono per lo più in A, come Únkara (terra), oppure in O, come Wàto (acqua) e Hérto (coraggio), questi ultimi due chiaramente derivati dagli equivalenti inglesi water e heart. Ma ciò non ha relazione con il genere, infatti terminano in A sia Màtna (uomo) che Màutia (donna). Anche Màtna somiglia all’inglese man, con l’aggiunta di due lettere per renderlo meno riconoscibile.

Il plurale, come l’infinito e la maggior parte delle voci plurali dei verbi, si ottiene aggiungendo una N finale, come in Màtnan (uomini), Màutian (donne), Geqùndan (danze), Wàrdan (parole) o Tàglan (capelli)…

Un ennesimo termine affine all’inglese è appunto Wàrda (parola), così come lo sono Dàut (morte) e Hélta (aiuto). I verbi corrispondenti a queste ultime due parole sono Dàutan (uccidere) e Héltan (aiutare).

In genere l’imperativo al singolare è uguale all’infinito, come Métan (mangiare, mangia!) e Vésian (vestirsi, vèstiti!). Altri verbi hanno desinenze diverse come Qam o Qem (vieni!, venite!, venga!).
Notare che anche Qam e Métan somigliano ai corrispondenti inglesi “come” (scritto come si legge) e “eat”. A volte la desinenza finale diventa EN, come negli imperativi plurali Wàrpen (gettiamo!) e Dàuten (uccidete!).
Altre forme della seconda persona plurale dell’imperativo finiscono in AD come Qìmad (venite!) e Bàirad (conducete!).

Al presente la terza persona singolare cambia la desinenza AN con ID, come in Sin Dàutid (essa uccide) e Sin Ístid (essa è), che ha la radice uguale al tedesco ist. Fa eccezione il verbo avere che alla terza persona femminile fa Sin Habài o Sin Habàit (essa ha).

Il verbo dire invece alla prima persona singolare fa Ih Qeda (io dico) e alla terza persona del passato fa Qad (ha detto). Le persone plurali del presente restano uguali all’infinito, come Wéit Dàutian (noi uccidiamo), Wéit Génan (noi andiamo) o Wéit Màgan (noi possiamo).

I pronomi/soggetti Ih, Sin e Wéit derivano evidentemente dagli equivalenti inglesi, I, she e we, e da quelli tedeschi ich, sie e wir. I verbi andare e potere sembrano derivati dal tedesco gehen e forse dall’inglese may.

Nel futuro della lingua sotterranea il verbo è preceduto al singolare da Wàrt e al plurale da Wàrtan, un verbo forse derivato dal tedesco warten (aspettare) o forse dall’inglese to want (volere).

Esempi di verbi al futuro sono le terze persone singolari Sin Wàrt Gìban (essa darà) e Wàrt Bòren (nascerà) e le terze persone plurali Wéit Wàrtan Gréipan (noi assaliremo) e Wéit Wàrtan Nésjan (noi salveremo). Ancora una volta i verbi dare e nascere sono affini alle versioni inglesi, to give e to born, e ancor più a quelle tedesche, geben e geboren.

Per creare il participio presente nella lingua dei Sotterranei si aggiungono in fondo all’infinito le lettere DA, come in Sàihanda (vedente, che vede) e Làutanda (suonante, che suona, ovvero sonoro) mentre per fare il participio passato basta aggiungere in fondo all’infinito una A, come in Dàutana (ucciso, morto).

I participi possono valere anche come aggettivi, infatti alcuni aggettivi terminano in DA e altri in NA, come Sìlda (corto), Jghna (giovane) e Hìmana (celeste, del cielo). Altri aggettivi finiscono per MA, come Wàihma (morbido) e Wàrma (caldo), che deriva dalla parola warm comune sia al tedesco che all’inglese. Altri ancora possono terminare in modo diverso, come i rafforzativi Màkla (grande), Hàuhta (superiore) e Hàuhtsa (supremo).

Per queste ultime due parole l’autore ha di certo preso spunto dal tedesco Haupt (capo), infatti sono usate tra l’altro in un breve discorso tenuto dal Màkla Hàuhtsa Màtna (Grande Supremo), il preteso dittatore dei Sotterranei, che nei suoi vaneggiamenti di potere riecheggia i toni dei discorsi hitleriani.

Come in inglese, gli aggettivi e i participi non hanno plurale e precedono i nomi. Così il nome dei Sotterranei nella loro lingua è Blìntana Màtnan (Uomini Ciechi), mentre quello di un altro popolo sotterraneo loro nemico è Áran Màtnan (Uomini di Ferro), visto che indossa delle strane armature.

Anche cieco e ferro sono chiaramente derivati dai corrispondenti inglesi blind e iron, di cui il primo in pratica è stato trasformato in un participio passato della lingua sotterranea (come dire accecato…), mentre il secondo è stato trascritto più o meno come si legge.

Gli uomini e le donne di superficie sono invece chiamati Hìmana Màtnan (uomini del cielo) e Hìmana Màutian (donne del cielo), poiché la nostra terra per i Sotterranei è appunto il loro cielo.

Tra i Sotterranei alcune preposizioni sono sostituite da suffissi. Ad esempio, per dire “di noi” si aggiunge la desinenza RA alla parola Únka (noi) ottenendo Únkara (nostro). Allo stesso modo si aggiunge la desinenza NA alla parola Hìrid (qui) per ottenere Hìridna (da qui). Anche il complemento oggetto noi è derivato dal tedesco uns, mentre la parola che significa qui è simile sia all’inglese here che al tedesco hier.

Una delle poche vere preposizioni è Du (a, verso, in direzione di), che è del tutto equivalente all’inglese to.

Altro avverbio ispirato a lingue nordiche è Shnen (presto) che è simile al tedesco schnell. Lo stesso si può dire del pronome Mih (me, mi), simile all’inglese come la negazione Netn (non), che come in Inglese non precede il verbo ma lo segue. Di altre parole l’origine è meno evidente, come Dàima (questo/questa).

A volte Crepax attinge a destra e a manca. Così la radice Hab del verbo avere viene di certo dal latino, mentre la parola Ikta (pesce) viene dal greco ictys e la parola Amén (in verità) è più egizia o ebraica che sotterranea…


Le voci dei Sotterranei riecheggiarono ancora in una storia di Valentina del 1972 intitolata “Il piccolo re”, in cui la sedicente strega Baba Yaga rapisce il figlio della protagonista e di Philip Rembrandt per consegnarlo alla nuova dominatrice del sottosuolo, la Màkla Hàuhta Haubqéna (Gran Regina Superiora), la quale vorrebbe fare del bambino che discende dal suo popolo il nuovo Grande Supremo.

Haubqéna sembra fondere in una sola parola il tedesco Haupt e l’inglese queen, e anche il termine con cui il bimbo viene chiamato, Làita Kùni (piccolo re), è chiaramente una deformazione dell’inglese little king, fuso anche col tedesco konig.

Nelle storie successive di Valentina i Sotterranei faranno capolino ogni tanto, trasformati in figure ancor più ieratiche, misteriose e inquietanti, perciò anche meno ciarliere…

Frammento di una intervista a Guido Crepax di Ennio Cavalli, pubblicata su Sorry n. 5 del febbraio 1973

 

 

LE LINGUE DELLE BESTIE

Guido Crepax realizzò anche un esempio di puro simbolismo linguistico con il breve racconto intitolato U, evidentemente ispirato alla commedia “Il Rinoceronte” di Ionesco e realizzato in due parti tra il 1970 e il 1975.

Quasi tutti i personaggi, fatta eccezione per il protagonista, sono rappresentati come animali e parlano pure come tali, emettendo versi d’ogni tipo al posto delle parole. Rappresentando così i tanti modi di parlare più o meno ipocriti, falsi, opportunistici, aggressivi o servili, della poco nobile società in cui viviamo.

Alla fine della prima parte completata dall’autore nel 1971, anche l’anonimo protagonista sembra essersi adeguato parlando un analogo linguaggio inarticolato e, poiché nell’ultima vignetta non possiamo vederlo, si può immaginare che frequentando i suoi bestiali simili si sia ormai trasformato in animale a sua volta…

Però quando Crepax riprende e prosegue la storia quattro anni dopo ci accorgiamo che per il momento è ancora umano e stava solo tentando di uniformarsi al pensiero evidentemente rozzo e bestiale del potente di turno, adottando il suo stesso linguaggio per entrare nelle sue grazie. Poi ha un moto d’orgoglio, si rifiuta di adeguarsi all’andazzo generale e ancora per un po’ riesce a mantenere la sua umanità.

Ma vivendo altre vicissitudini tra bestie d’ogni tipo, poliziotti caimani, mandrilli fascisti, potentissimi elefanti, bovini sottomessi e scimmioni togati, alla fine cederà anche lui e al termine del racconto si risveglierà da una notte di sonno inevitabilmente trasformato, sotto forma di una belva che emette ruggiti invece delle parole.

In entrambe le due parti della storia si può notare che gli unici altri soggetti che l’autore rappresenta come esseri umani, e non come animali, sono i giovani di sinistra che protestano contro il sistema delle bestie (siamo negli anni settanta…).

 

(Da Segreti di Pulcinella).

 

 

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