Ci sono due modi per affrontare Uncharted.
Siccome questo film è l’ennesimo adattamento live action di un famoso videogame, il primo riguarda gli appassionati, cioè i fan di lunga data della serie.
Il secondo modo riguarda il punto di vista dello spettatore occasionale, che questo titolo non l’ha sentito manco per sbaglio e sta semplicemente andando a vedere un film d’azione con Tom Holland.

 

Uncharted: un film, un perché…

UNCHARTED E I PREDATORI

Il fatto è che, in qualunque dei due modi la si voglia mettere, Uncharted film fallisce, non proprio miseramente, ma quasi. Il problema sta tutto in una domanda: come può un film basato su un videogioco sembrare più finto del gioco stesso?

Facciamo un passo indietro. I videogames rientrano nel vasto concetto di hobbistica e ok, d’accordo. Così era ieri, così è oggi e sicuramente sarà così pure domani. Bene, perfetto.

Tuttavia, con il tempo, questo concetto si è giusto un tantino evoluto. A un certo punto, il costante progresso tecnologico ha portato a giochi come Tomb Raider, Resident Evil, Metal Gear Solid, Silent Hill e compagnia cantante. Giochi che non sono più solo “giochi”, insomma.

C’è la possibilità di raccontare storie più complesse e articolate. Per farlo c’è bisogno di una sceneggiatura completa che dia corpo a una trama. Per svilupparla serve una regia. Poi ci vuole una fotografia vera e propria…

UNCHARTED E I PREDATORI

Senza farla troppo lunga, in questa nuova forma d’intrattenimento ormai si va più in là rispetto al passato, rispetto alla semplice sfida momentanea basata sui riflessi e sulla coordinazione mano-occhio.

Per dire, oggi siamo arrivati al punto in cui molti personaggi vengono interpretati da attori in carne e ossa, grazie a telecamere di rilevamento per l’acquisizione del movimento e tute per il motion capture.

Per sommi capi, si è capito com’è diventata sottile la linea che separa il cinema dai videogames? Ora attenzione perché arriva il bello, eh.

Uncharted è diventato in breve uno dei franchise più conosciuti e di maggior successo del XXI° secolo. Al di là degli aspetti tecnici, il motivo è ascrivibile a un principio molto semplice: il cosiddetto sense of wonder.

UNCHARTED E I PREDATORI

Metti che nel secolo scorso in America, all’epoca dei pulp, di generi ce n’erano come se buferasse: adventure, aviation, detective, fantasy, horror, mystery, science fiction… Senza contare tutta una serie di sottogeneri, tipo hard boiled, G-Man, chiller e via dicendo.

Nathan Drake, il protagonista di Uncharted, come personaggio è stato concepito, studiato e specificamente progettato, per essere la versione moderna proprio degli eroi dei pulp magazine e dei film d’avventura degli anni trenta e quaranta. Allo stesso modo sono state concepite e scritte le sue avventure.

Sostanzialmente, Nathan Drake è un Indiana Jones 2.0, nato per essere giovine, dinamico e accattivante. Studiato per essere simile nella forma a Johnny Knoxville e Bruce Willis, ma con il fascino di Errol Flynn e Cary Grant.

Le storie di cui è protagonista si ispirano a romanzi, serial e film come Gunga Din, Nabonga, La città perduta, Capitan Blood e tutto il resto appresso. Essenzialmente, sono pensate e impostate con l’esplicito scopo di ricalcare, evocandone il fascino, il senso d’avventura di tutti quei generi.

UNCHARTED E I PREDATORI

Che bel pippone, dirai. Che mi frega dei videogiochi e di tutta questa roba, dirai. Comprensibile, certo. Tuttavia, tutto questo giro di parole serve a sottolineare un fatto piuttosto sorprendente.

Il punto è quanto Uncharted videogame, in termini di tematiche, narrativa, costruzione dei personaggi, praticamente in termini di tutto quanto, sia incontrovertibilmente più cinematografico rispetto al film vero e proprio.

Guardando Uncharted film, dal punto di vista di un appassionato della saga, e per estensione in termini di adattamento, l’impressione generale è che il massimo sforzo di Ruben Fleischer, il regista, sia riducibile a Youtube.

Un po’ come se lui e gli sceneggiatori Rafe Lee Judkins, Art Marcum e Matt Holloway, siano semplicemente andati a guardarsi le cut scenes dei vari giochi per appiccicarle insieme senza avere un’idea precisa dei come, quando e perché di certe cose.

UNCHARTED E I PREDATORI

Metti che Uncharted film dovrebbe essere un adattamento del videogame Uncharted 4: Thief’s End. Dovrebbe, su carta. Questo perché la trama segue la curva impostata dal gioco, senza però riprendere nessuno degli avvenimenti nello specifico.

Nel videogame, Nathan e suo fratello Sam sono alla ricerca della croce di San Disma. Oggetto appartenuto al pirata Henry Avery e perciò convinti che si tratti di un indizio per trovare il suo leggendario tesoro. Per questo si intrufolano a un’asta nel tentativo di rubare la croce.

Nel film, invece, Nathan (Tom Holland) fa il barista e nel frattempo arrotonda allungando le mani nelle tasche dei clienti. A un certo punto viene avvicinato da Victor “Sully” Sullivan (Mark Wahlberg), che gli dice di essere entrato in possesso del diario di Juan Sebastian Elcano.

Elcano era capitano dell’equipaggio nella spedizione guidata da Ferdinando Magellano e questo diario dovrebbe guidarli a un fantomatico tesoro trovato e poi tenuto nascosto dalla spedizione. Per arrivarci, però, devono prima rubare una croce d’oro.

In realtà, le croci sarebbero due: una se l’era tenuta Elcano, l’altra era stata data all’equipaggio, ma tanto quella di Elcano, comodamente ai fini della trama, ce l’ha già Sully insieme al diario. Per questo si intrufolano in un’asta nel tentativo di rubare l’altra.

Contro di loro c’è l’ex amico e socio dei due, Rafe Adler, ricchissimo erede della famiglia Adler, oltre alla sua nuova socia/guardia del corpo Nadine Ross, una mercenaria a capo dell’organizzazione paramilitare Shoreline.

Il problema è che, pur sorvolando sullo tsunami di “ma dai” e “ma perché cambiare una trama funzionale solo per trasformarla in una storia delle origini, quasi niente funziona.

Se dei giochi non so nulla, non li conosco e manco mi frega, che si chiami Pinco Palla o Pippo Pertica, chissene: un personaggio vale l’altro, giusto? Peccato solo che questo dovrebbe essere un grande film d’avventura.

Tanto per cominciare, il grande mistero riguardo Magellano, la spedizione, l’oro e via dicendo, l’intrigo su cui e con cui la trama di Uncharted film dovrebbe avanzare, tenere alto l’interesse dello spettatore, a chiamarlo pretesto è un complimento. Un gran complimento.

Tutto quel che c’è da sapere, viene spiegato nei primi cinque minuti e mai più ripreso. Magellano è partito per una spedizione, stop. A un certo punto ha trovato un tesoro, stop. Io ho il diario e una croce, stop. Andiamo e per motivi vari dobbiamo trovare l’altra croce, stop.

Un fatto, questo, che porta il film a non avere una struttura. Non c’è una linea di condotta o senso di continuità di qualche tipo a legare le sequenze. I personaggi si limitano solo a fare “cose” tra una clip e l’altra.

Tra l’altro, nessun personaggio è coerente, come se ciascuno fosse il protagonista di un film diverso. Antonio Banderas, clamorosamente inutilizzato, sta scocciatissimo ma si comporta come un cattivo generico pescato da un qualsiasi Mission Impossible a casaccio.

Tom Holland e Mark Wahlberg insieme non funzionano manco per sbaglio. Holland si comporta come se fosse Peter Parker in un altro film di Spider-Man, mentre Wahlberg il detective di un tipico crime action.

A proposito di “action”, eh… appunto, dov’è l’azione? Tralasciando il fatto che Nathan Holland, il grande avventuriero, su quasi due ore di film impugna mezza volta soltanto una pistola, a sette minuti dalla fine e va be’.

Certo, uno adesso non pretende di vedere John Wick, con la gente morta ammazzata a colpi di matite, però, sai com’è… manco vedere giusto quelle due o tre scenette svogliatissime, che vanno su livelli da “ti ho preso il naso” a “dove sono le chiavi di papà”.

Guardando Uncharted film, per forza viene da chiedersi dove sia il viaggio, dove la scoperta, il pericolo, il senso di meraviglia? Dove sono gli enigmi da svelare, gli intrighi da scoprire? Dov’è finito il mistero, dov’è la suspense?

Roger Ebert aveva ragione: non abbiamo bisogno di film che bruciano a schermo due milioni al minuto. Abbiamo bisogno di storie intriganti, solide e personaggi altrettanto forti e accattivanti da reggerle. Dobbiamo intraprendere il viaggio insieme ai protagonisti.

Quello è il senso, certo non guardare scene posticce e attori che fingono di cadere da una nave trasportata da un elicottero davanti a un green screen. Per quello ci sono già i videogames e funzionano pure meglio, se è per questo.

 

Ebbene, detto questo credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

 

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