Nell’Anno Domini 2020 The Witcher, la saga fantasy scritta dall’autore polacco Andrzej Sapkowski, approda su Netflix. Il che, pensandoci, è abbastanza strano. Sono poche le opere la cui fama è andata crescendo nel corso degli anni anziché il contrario.

Anche perché la popolarità che gode The Witcher non è merito esclusivo del suo autore. Il merito è dello sforzo di più menti creative che, nel corso degli anni, hanno contribuito a rendere celebre questa saga.

Però la serie con Henry “Superman” Cavill nei panni dello strigo Geralt di Rivia ha un problema. Sfortunatamente…

… The Witcher di Netflix è un giocattolo rotto

THE WITCHER DI NETFLIX, UNA STORIA PRIVA DI STORIA

 

Quanti conoscono la Fso Syrena? Ecco, appunto. La Syrena è stata l’unica automobile prodotta in Polonia durante l’epoca comunista (1945-1989). Un macinino che a stento si vendeva in patria, figuriamoci all’estero. Perciò non c’è da sorprendersi se al di fuori dei confini polacchi sia pressoché sconosciuta.

E quanti hanno sentito, anche solo per caso, nominare The Witcher prima del 2007? Cioè prima che una piccola software house polacca chiamata Cd Projekt prendesse come soggetto i romanzi di Andrzej Sapkowski per sviluppare il videogame omonimo contribuendo così a dare risalto internazionale a questo nome? Ecco, appunto.

The Witcher narra le imprese di Geralt di Rivia. Uno “strigo”, cioè un essere umano che attraverso la Prova delle Erbe, specie di rituale alchemico-magico, subisce profonde mutazioni. Le quali garantiscono forza, velocità e agilità sovrumane, immunità ai veleni, fattore rigenerante e via dicendo. Insomma, il concetto di Capitan America con il siero del supersoldato.

A differenza di elfi, nani e quant’altro, quella degli strighi è una razza artificiale. Nata con l’unico scopo di cacciare e uccidere mostri. Cosa che Geralt, così come i pochi strighi rimasti, fa in cambio di denaro.
A un certo punto subentrano due personaggi femminili: Ciri, giovane principessa senza regno, e Yennefer, bellissima e potentissima strega con cui Geralt intreccia una relazione amorosa.

THE WITCHER DI NETFLIX, UNA STORIA PRIVA DI STORIA

 

Ok, ci siamo? Bene. Ecco che arriva il cruciale busillis: The Witcher di Netflix è come un bel giocattolo. Bello, ma rotto. Semplicemente perché, per quanto possa essere intrigante, questa non è roba di ieri e manco di ieri l’altro. Il guardiano degli innocenti e La spada del destino, rispettivamente primo e secondo libro di quella che poi sarà una saga, uscirono tra il 1990 e il 1993.

Che poi da noi siano stati pubblicati per la prima volta verso il 2011, a seguito del successo internazionale dei videogame, è un altro discorso. Il punto è che questi due libri risalgono a un periodo in cui le cose erano, ma diciamo giusto un tantino, diverse.

Politically correct, empowerment femminile, “quote rosa” e tutte ‘ste belle cose all’epoca erano concetti assimilabili a stravaganti curiosità. Aggiungi che Il guardiano degli innocenti e La spada del destino non sono proprio romanzi, bensì raccolte di sei racconti ciascuno.

Racconti slegati totalmente gli uni dagli altri, sia nel tempo sia nello spazio. Il cui unico, vago filo conduttore che li accomuna è Geralt di Rivia. Il protagonista di tutto ‘sto teatrino. Per quanto siano fondamentali e importanti in molte di queste storie, Yennefer e Ciri restano, incontrovertibilmente, personaggi secondari.

THE WITCHER DI NETFLIX, UNA STORIA PRIVA DI STORIA

 

Secondo il nuovo ordine mondiale, oggi chiunque sia nel settore dell’intrattenimento prima di fare un passo pare sia tenuto ad ascoltare i “consigli” del fandom. Cosa che sicuramente ha fatto Lauren Schmidt Hissrich, la showrunner della serie, quando ha deciso di basare il fulcro dello spettacolo sui primi due libri.

Non c’è nulla di male nell’ascoltare il feedback degli utenti. Così come non nel restare quanto più attinenti al materiale d’origine. Altro paio di maniche è cercare di accontentare una manica di sciroccati che manco sanno cosa vogliano di preciso.

Complice il media che si presta abbastanza bene, per The Witcher la Netflix avrebbe potuto seguire la strada tracciata da quelli della Cd Projekt. Cosa che ha fatto la casa editrice americana Dark Horse con il ciclo a fumetti: il loro lavoro d’adattamento è stato fantastico. Ma no, la pressione sociale era troppo alta. La paranoia de “il libro era meglio” troppo grande.

Perciò, adottiamo il metodo Snyder: prendiamo parti di un medium così come sono e appiccichiamole in un altro del tutto diverso sperando che, in qualche modo, le cose funzionino. In pratica, i problemi del The Witcher di Netflix nascono proprio da questo. Un approccio fondamentalmente sbagliato e confuso nella costruzione dello spettacolo.

THE WITCHER DI NETFLIX, UNA STORIA PRIVA DI STORIA

 

Henry Cavill nei panni di Geralt, a parte quel brutto lavoro di parrucca, è assolutamente fantastico. Sarà che, come ha detto ben prima che si iniziasse a parlare di una serie, è un grande fan dei videogame. Cosa che in fase di casting l’ha portato a fare richiesta per il ruolo. In ogni caso, l’interpretazione, la caratterizzazione, tutto quanto è perfetto.

Gli episodi della serie che si concentrano su di lui seguono lo stile monster-of-the-week e, in due parole, sono belli e divertenti. Il problema sta nel fatto che l’assenza di una qualsiasi connessione fra un’avventura e l’altra castra ogni tentativo di sviluppo. Sia del personaggio sia del suo ruolo nello schema generale.

Ciri, interpretata da Freya Allan (una inquietante ventenne che dimostra undici anni), fin dall’inizio viene enfatizzata come parte fondamentale nel grande schema delle cose. Tanto per fare un’analogia, Arya Stark ne Il trono di spade, per quanto scarso possa essere il minutaggio dedicatogli, è comunque un personaggio attivo. Il cui sviluppo, la cui crescita, rimane costante.

Invece, almeno per il momento, con la storia del destino di qua e il destino di là, Ciri è poco più di un elemento statico della trama. Le parti che la riguardano non la rendono un personaggio avvincente a sé stante: fa cose, vede gente. Ma alla fine sta lì aspettando che Geralt la raggiunga. Certo, tutti fanno un gran lavoro e, fra i tre, Cavill è sicuramente il più divertente da vedere e quello che meglio incarna l’essenza del personaggio.

 

L’interpretazione migliore è quella di Anya Chalotra come Yennefer. Il personaggio più avvincente di tutto il teatrino. Da buzzicozza deforme, specie di strano incrocio fra Tarantino, Quasimodo e un curioso animale domestico, a splendida maga. Chalotra riesce a incarnare il personaggio in ogni fase della sua vita ed è, in una parola, fantastica.

Il suo è l’unico ruolo che pare funzionare davvero nell’economia della situazione. Sicuramente perché quella di Yennefer è una origin story, scritta ex novo appositamente per The Witcher di Netflix. Quindi, l’unica parte le cui sequenze sembrano adattarsi ordinatamente al resto della storia.

Il punto è che non c’è coerenza. Le parti di ogni personaggio sono troppo diverse nei toni. Le sequenze di Geralt sono spesso leggere e umoristiche, complice pure il personaggio di Ranuncolo come spalla comica. Mentre quelle di Yennefer sono incredibilmente cupe e drammatiche.

 

Tutto questo si ricollega al principale e più grande problema: il tentativo di dare immediatamente risalto a Yennefer e Ciri. Personaggi femminili secondari di un’opera risalente a trent’anni fa, messe sullo stesso piano di Geralt per renderli co-protagonisti. Dall’altro, la trasposizione su schermo in scala 1:1 del formato novellistico usato da Sapkowski.

Su carta magari funziona una serie di racconti che, seppur ambientati a distanza di anni e chilometri l’uno dall’altro, coinvolgono lo stesso personaggio. Esempio banale: Le mille e una notte. C’è la cornice narrativa rappresentata dalla bella Shahrazād, che, nella finzione narrativa, racconta le storie e funge da collegamento tra esse.

Su schermo, questa cosa, senza uno straccio di cornice narrativa, uno sputo di correlazione o una qualunque cosa che colleghi le varie parti, si traduce in cagnara. The Witcher di Netflix pare costantemente una guerra tra formati diversi. Tra la forma originale di racconti brevi, cucita a forza su di una trama più lunga.

In ogni singolo episodio ti rendi conto solo fino a un certo punto che le sequenze dei personaggi sono totalmente slegate le una dalle altre. Che si svolgono addirittura a distanza di decenni. Si inizia con Geralt che, non so, fa le sue cose da Geralt, ok? Stacco. La scena si sposta su Yennefer che, diciamo sta imparando a usare i propri poteri. Stacco. Si torna su Geralt. Stacco. Vediamo nel frattempo che sta facendo Ciri.

 

Si arriva a un punto che, mentre un personaggio appare come bambino in una scena, è adulto in una sequenza diversa. Durante lo stesso episodio. Oppure, per dire, nell’episodio precedente Tizio ammazza Caio. Mentre in quello successivo rivedi Caio, vivo, impegnato in tutta una serie di faccende.

Lo spettacolo salta avanti e indietro nel tempo, non solo da un episodio all’altro, ma pure da una scena all’altra. Gli unici chiarimenti vengono da pochi secondi di dialogo, quattro parole sputate e del tutto casuali tra personaggi secondari spalmati su un’ora o due di girato.

Sia chiaro, The Witcher di Netflix non è per niente brutto. Gli attori sono bravi, uno meglio dell’altro. Gli stunt e le sequenze di lotta eccezionali. Pure la questione di fondo dei mostri, che avrebbe potuto benissimo trasformarsi in una baracconata clamorosa, ha invece un certo spessore. Il suo grosso problema sta in una cagnara eccessiva.

 

Per questo, almeno la prima stagione, The Witcher fallisce. La struttura contorta, disordinata, blocca l’avanzamento della narrazione. Limita e impedisce lo sviluppo di storia e personaggi impedendo così di avere un vero e proprio senso di profondità generale. Cosa peggiore, non riesce a dare un senso di appagamento.

Guardandolo si ha sempre la sensazione fastidiosa di essersi perso qualcosa. Come se, invece di guardarli nell’ordine giusto, iniziassi gli episodi a casaccio. Partendo dal quinto, saltando all’ottavo per poi, magari, vedere il primo episodio e così via.

Visto che The Witcher è già stato rinnovato per una seconda e terza stagione, immagino ci sia ampio margine di manovra per sistemare le cose e correggere il tiro. Ché, in fondo, le potenzialità le ha tutte.

 

Ebbene, detto questo credo che anche sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

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