TANGENTOPOLI NELLA MILANO DEL SEICENTO

Falsari e imbroglioni vari nella Milano spagnola del Seicento (quella raccontata da Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi” – NdR) non se la passavano bene, come testimoniato dalla storia della “Tangentopoli” ante litteram che scosse la città sul finire del secolo.

Il 10 novembre del 1685 Antonio Galluzzi, che della vicenda fu il protagonista, salì mestamente i gradini del rogo dove fu strangolato e poi bruciato.

La sua colpa? “Haver compilato et fabricato con grave prejudicio di persone diverse, malitiosamente falsi privilegi, lettere patenti ducali et cesaree, instrumenti et altre scritture et dati per ordine del Senato eccellentissimo di Milano”, come si legge nelle carte del processo da poco ritrovate dopo una vicenda che ha dell’incredibile.

Nella notte del 13 agosto del 1943 un bombardamento alleato distrusse l’Archivio di Stato di Milano, mandando in fumo (oltre al resto) il fascicolo contenente gli atti del procedimento istruito a carico del Galluzzi.

Solo da pochi anni, grazie alla tenacia dello storico abbiatense Marco Comincini, è stata ritrovata l’unica copia esistente di tali incartamenti presso l’Archivio dell’Istituto delle Madri Canossiane di Legnano, dove l’aveva depositato l’avo di una suora, e più precisamente il senatore Fabrizio Pusterla, uno dei tanti turlupinati dal Galluzzi.

I nobili dell’epoca, per essere ancora più nobili e in tal modo guadagnare punti sui concorrenti nella redditizia corsa all’assegnazione delle cariche pubbliche, non esitavano a farsi produrre dal Galluzzi (uomo astuto dotato di bella calligrafia e tanta fantasia) alberi genealogici “taroccati”, che ne facevano risalire le origini sino ad Adamo o Enea.

Dopo aver fatto soldi a palate fu proprio la denuncia del Pusterla a stroncare la brillante carriera di falsario del Galluzzi, con il quale il primo era infuriato per essersi visto perdente in una causa civile intentata contro i cugini a causa dei documenti falsi esibiti da questi ultimi in corso di procedimento da lui realizzati.

Lo scandalo fu enorme e lambì buona parte dell’aristocrazia milanese che si scoprì, a poco a poco, cliente del Galluzzi con il rischio di finire al rogo insieme a lui.

Non stupisce pertanto che al malcapitato, appena tradotto in carcere, fu applicata una mordacchia che ne limitava la capacità di parlare e una mano di ferro che, ricoprendone la destra, gli impediva di scrivere appunti compromettenti.

Alla fine, come spesso succede, fu uno solo, quello di più bassa estrazione sociale, a pagare per tutti.

Chi volesse saperne di più, può procurarsi il recente saggio: “Il falsario di documenti per la nobiltà lombarda. Il processo a Giacomo Antonio Galluzzi e la sua condanna al rogo”, di Mario Comincini, Edizioni La memoria del mondo.


“Ritratto del Senatore Pusterla con il figlio Carlo, padre Domenicano”, di Giacinto Santagostino, 1692, Collezione privata

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