Dato che Taiwan si trova al centro dell’interesse mondiale forse è il caso di fare un breve ripasso della storia di quest’isola una volta chiamata Formosa dagli europei.

È una storia affascinante tra bellicose tribù di tagliatori di teste, mercanti olandesi, avventurieri cino-giapponesi e governatori troppo ambiziosi.

TAIWAN, IL DESIDERIO DELLA CINA
Taiwan vista dallo spazio



L’isola di Taiwan è stata popolata fin dalla preistoria da popolazioni di origine austronesiana, cioè quel gruppo di genti che ha colonizzato il vasto spazio dell’Oceano Pacifico.

Malgrado la vicinanza alla costa cinese, l’isola, a parte alcuni scambi commerciali, soprattutto a sud in direzione delle Filippine, rimase sostanzialmente isolata dal mondo esterno, protetta dalle difficoltà di approdo per le navi, dalle catene montuose e dalla bellicosità delle tribù locali.

TAIWAN, IL DESIDERIO DELLA CINA
Indigeni taiwanesi



I primi riferimenti scritti a Taiwan risalgono al XIII secolo. Nel 1225 Taiwan viene descritta in un testo cinese di viaggi, intitolato “Il libro dei paesi barbari”. Negli stessi anni i pescatori che si erano insediati su varie isole dello stretto che divide la Cina da Taiwan richiesero delle guarnigioni per difendersi dalle razzie degli abitanti dell’isola. Questi piccoli insediamenti vennero abbandonati nel corso del XV secolo.

Nel secolo successivo i commercianti cinesi iniziarono a frequentare l’isola che venne toccata da varie spedizioni portoghesi, le quali le diedero il nome Formosa per la sua bellezza, e successivamente spagnole e olandesi. Gli europei stabilirono degli insediamenti commerciali stabili nelle zone più accessibili.

Nelle aree controllate dagli olandesi iniziò un primo flusso di immigrari cinesi, che vennero impegnati principalmente in coltivazioni commerciali come lo zucchero e le spezie.

Poi entrò in scena Koxinga.

Koxinga 1624 – 1662



Koxinga, in cinese Zheng Chenggong, era nato nel 1624 in Giappone, vicino a Nagasaki, da madre giapponese e padre cinese. Venne riportato dal padre in Cina dopo la prima infanzia e avviato alla carriera pubblica. Nel 1638 entrava nell’amministrazione imperiale iniziando una brillante carriera. 

Tutto venne brutalmente interrotto nel 1644 con la conquista di Pechino da parte dei manciù, una popolazione stanziata a nord-est della Cina, e il conseguente suicidio dell’ultimo imperatore Ming.

I manciù, che fondarono la nuova dinastia Qing, impiegarono molti anni a conquistare e pacificare tutta la Cina, vincendo la resistenza dei lealisti Ming. 

Koxinga seppe sfruttare la confusione della guerra civile prendendo il controllo di vaste aree del sud della Cina, formalmente per conto dell’esiliato pretendente al trono Ming. Arrivò fino al punto di lanciare un fallito attacco alla capitale imperiale di Nanchino.

Dopo più di dieci anni di combattimenti, i manciù prevalsero in maniera sempre più decisa costringendolo a cercare una via di fuga.

Come Chiang Kai-shek tre secoli dopo, Koxinga guardò verso Taiwan. Nel 1661, sbarcò con le sue truppe sull’isola e conquistando le varie enclave olandesi fondò il regno di Tungning (o Tywan), dove fece rifugiare i lealisti Ming con le loro famiglie.

Alla morte di Koxinga il regno passò al figlio e poi al nipote. Intanto la popolazione cinese crebbe con l’afflusso dei profughi dal continente che fuggivano dai continui combattimenti. Vennero estese le zone coltivate a riso e zucchero, mentre si iniziava una opera di “civilizzazione” delle tribù delle pianure e di cinesizzazione dei loro capi. 

Nel 1684, gli imperatori Qing, conquistata definitivamente la Cina, decisero di sistemare anche questi pretenziosi ribelli, invadendo l’isola di Taiwan e distruggendo il regno fondato da Koxinga. Il progetto iniziale di abbandonare Taiwan subito dopo fu abbandonato per impedire il ritorno degli olandesi, venne così mantenuto il controllo delle zone fino allora colonizzate da Koxinga e dai suoi discendenti.

Molti dei coloni vennero comunque riportati sul continente e fu ufficialmente proibita l’ulteriore immigrazione. Proibizione che non ebbe molto effetto, perché la fame di terre coltivabili creò un continuo afflusso di coloni dal continente che premevano sulle aree ancora abitate dalle tribù originali.

La zona colonizzata nel corso del Settecento si estese man mano a tutta la zona pianeggiante dell’ovest dell’isola, sia con le buone (progressiva cinesizzazione delle tribù, matrimoni misti tra coloni e donne locali) sia con interventi militari.

Nella prima metà dell’Ottocento la popolazione era arrivata a ben due milioni e mezzo di abitanti a causa dei profughi che fuggivano dalle distruzioni della rivolta Taiping, suddivisi etnicamente dall’amministrazione imperiale tra Han (cioè cinesi), indigeni “civilizzati” e indigeni “non civilizzati”. Rimaneva fuori dal controllo cinese solo la parte orientale, protetta dalle montagne e dalla ferocia delle popolazioni originarie, tagliatrici di teste.

Solo dopo il 1870 il governo eliminò le limitazioni all’immigrazione e tentò di modernizzare l’isola, tentando di costruire una prima ferrovia e un collegamento telegrafico con il continente. Il governatore dell’isola organizzò anche una grande spedizione militare per sottomettere le tribù montane, spedizione che si concluse con un totale fallimento.

Nel 1895, con il trattato di Shimonoseki, alla fine della Guerra cino-giapponese, l’isola di Taiwan passò sotto il controllo nipponico.

La dominazione giapponese ebbe aspetti ambivalenti. Se represse spietatamente qualsiasi resistenza degli immigrati cinesi e sottomise con la violenza le ultime tribù autonome, da l’altro lato migliorò notevolmente le infrastrutture, favorì un primo abbozzo di nazionalismo taiwanese (in funzione anticinese) e spinse per l’industrializzazione dell’isola, che diventò anche una importante base navale.

Dopo il 1935, iniziò una rigida politica di giapponizzazione, con l’invio di coloni dalla madrepatria, l’introduzione della lingua giapponese in tutte le scuole e la progressiva restrizione nell’uso del cinese.

Questi sforzi vennero interrotti dalla fine della Seconda guerra mondiale, quando, nel 1945, Taiwan dopo 50 anni tornò sotto il controllo cinese.

Fu in intervallo di breve durata, perché già nel 1949 la guerra civile cinese iniziò a favorire i comunisti di Mao Zedong e il presidente Chiang Kai-shek dovette seguire le orme di Koxinga: evacuò sull’isola la parte migliore delle sue truppe con le loro famiglie. Circa 2 milioni di persone si aggiungevano così a una popolazione isolana che non superava i 6 milioni.

Il regime dell’isola fu per lunghi anni una dittatura, sottoposta a una rigida legge marziale.
Solo dopo gli anni ottanta si andò verso una democratizzazione del regime, fino alla elezione nel 1988 di Lee Teng-hui a presidente della repubblica, il primo taiwanese di nascita ad avere il governo dell’isola.

Ma questa è la storia dei nostri tempi.

Attualmente Taiwan è una nazione ricca e industrializzata con una popolazione di circa 24 milioni di persone, di cui circa il 3% fa parte dei popoli indigeni originari dell’isola, il 70% è Han discendente dai coloni arrivati nei secoli precendenti e il 20% discende dai profughi arrivati nel 1949.

La lingua ufficiale è il cinese mandarino, mentre dopo secoli di repressione le lingue indigene godono di una tardiva protezione. Sono abbondantemente diffusi altri dialetti originari della Cina meridionale portati nei secoli dagli immigrati, che negli ultimi anni, anche in reazione alla pressione politica della Cina continentale, hanno avuto un notevole revival culturale e di attenzione.

Quale sarà il futuro di Taiwan? Riuscirà a rimenere indipendente e democratica, o verrà annessa alla Cina comunista malgrado la protezione americana?



Un pensiero su “TAIWAN, IL DESIDERIO DELLA CINA”
  1. Interessante questo excursus sulla storia di Taiwan. Aggiungerei che dall’inizio della guerra fredda è sostanzialmente un protettorato americano; che è la più grande esportatrice di elettronica (semiconduttori) al mondo; e che dal punto di vista politico pretende di essere l’unico governo legittimo anche della Cine continentale, ma al contrario della Repubblica Popolare Cinese viene riconosciuta solo da 13 Paesi minori al mondo, tra i quali non ci sono né USA né Russia né le nazioni europee (ma c’è il Vaticano!).

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