massacro alle Olimpiadi di monaco

Alle tre di notte del 5 settembre 1972, otto palestinesi afferrano alcune borse con il logo dei simboli olimpici. Non sono venuti a Monaco di Baviera per le Olimpiadi. Dentro le borse hanno mitra Kalashnikov, bombe a mano, calze di nylon per mascherare i volti, corde e anfetamine contro i colpi di sonno.

La missione è talmente rischiosa che Issa, il capo del commando, dice ai suoi: “Consideratevi già morti, uccisi in combattimento per la causa palestinese”.
Alle 4, mentre stanno per scavalcavate la recinzione del villaggio olimpico, vengono visti da alcuni atleti americani di ritorno da una festa. Scambiandoli per colleghi atleti di un paese arabo che cercano di arrivare agli alloggi senza fare il giro del recinto, gli americani li aiutano a passare dall’altra parte.
Mezz’ora dopo, i terroristi forzano la porta della palazzina degli israeliani.

Facciamo un passo indietro. Il 15 luglio, a Roma, si riuniscono alcuni dirigenti palestinesi per decidere un’azione clamorosa contro Israele, che a loro giudizio occupa abusivamente territori arabi.
A gestire l’operazione sarà l’organizzazione Settembre Nero, specializzata in atti di terrorismo.

Viene formato un gruppo operativo di otto guerriglieri, capeggiato da Luttif Afif. Nato a Nazareth quasi trent’anni prima, Afif è figlio di un’ebrea e di un cristiano palestinese. Lui stesso è cristiano, pur essendo la maggioranza dei palestinesi musulmana. Ma la fedeltà di Afif è fuori discussione: due suoi fratelli languono nelle prigioni israeliane.

È stato scelto come capo dell’operazione perché parla tedesco, essendosi laureato a Berlino, e conosce bene il villaggio olimpico di Monaco, dato che vi ha lavorato come ingegnere. Il nome di battaglia di Afif è Issa, che in arabo significa Gesù, forse perché entrambi sono originari della stessa città.

Alle 4.30 della notte del 5 settembre, nella palazzina israeliana del villaggio olimpico un rumore sveglia Yossef Gutfreund, arbitro di lotta greco-romana quarantenne. L’israeliano, intravedendo gli uomini armati che stanno per entrare, con i suoi 132 chili di peso blocca l’ingresso e dà l’allarme ai compagni. Uno dei suoi colleghi, un sollevatore di pesi, fa in tempo a rompere la finestra e a scappare dal giardino sul retro, ma intanto i terroristi sono riusciti a entrare immobilizzando Gutfreund.

Moshe Weinberg, campione di lotta greco-romana di 33 anni, con un coltellino per la frutta si avventa su Issa, prima di essere fermato da un terrorista che gli spara trapassandolo da guancia a guancia con un proiettile.

Pur essendo ferito, Weinberg riesce a sferrare un pugno a un altro palestinese rompendogli la mascella, ma viene ucciso dagli uomini del commando. Il secondo israeliano a essere ammazzato è Yoseph Romano, pesista di 31 anni.

Intanto, il sollevatore di pesi, che è riuscito a fuggire, cerca di avvertire i giornalisti, ma a causa del suo pessimo inglese nessuno lo capisce e, per lo stato di agitazione in cui si trova, lo scambiano per un ubriaco.

Le autorità tedesche non hanno piazzato agenti in divisa nel villaggio olimpico, delegando il servizio d’ordine a un gruppo di volenterosi ragazzi chiamati “Oly” (l’abbreviazione di “Olimpiadi” in tedesco).

Alle 5, un Oly si avvicina a un terrorista incappucciato e armato di Kalashnikov, fermo davanti alla palazzina, per chiedergli cosa stia facendo. L’uomo, senza rispondere, rientra e getta in strada il cadavere di Weinberg. A questo punto, anche l’ingenuo addetto alla sicurezza capisce che la situazione è drammatica.

Gli agenti, arrivati alcuni minuti dopo, trovano un foglio nel quale i terroristi chiedono, in cambio della liberazione dei nove ostaggi, che Israele faccia uscire di prigione 234 guerriglieri palestinesi.

Il cancelliere tedesco Willy Brandt comunica per telefono la situazione al primo ministro israeliano Golda Meir. Lei, da donna determinata quale è, rifiuta lo scambio.
Solo in serata le Olimpiadi vengono sospese.

Una squadra di poliziotti tenta di irrompere nella palazzina dal tetto, ma le operazioni vengono riprese dalla televisione inducendo i terroristi a minacciare una strage immediata. Chiedono un aereo per trasferirsi  tutti al Cairo, capitale dell’Egitto, da dove intendono continuare le trattative.

I tedeschi, fingendo di accettare, propongono loro di andare nella piazza del villaggio olimpico, dove alle 22.10 li preleveranno due elicotteri per condurli all’aeroporto. Intanto, proprio all’aeroporto viene preparata una trappola.

Sull’aereo salgono quattro poliziotti con le divise da piloti e steward, mentre sulla torre di controllo si appostano i tiratori che dovranno uccidere i terroristi quando cammineranno verso l’aereo.

Sono solo cinque, perché si pensa che questo sia il numero dei palestinesi che formano il commando. Ci si accorge che sono otto solo quando salgono sugli elicotteri e, come se non bastasse, i tiratori non hanno fucili di precisione né ricetrasmittenti per comunicare o ricevere ordini, e neppure visori notturni che permettano loro di vedere al buio, essendo ormai le 22.35.

Non sono neanche veri tiratori scelti, perché la Polizia tedesca non dispone di una squadra per le situazioni d’emergenza, ma semplici agenti con l’hobby del tiro a segno. A quel punto, gli agenti sull’aereo decidono di scendere, ritenendo che la loro posizione sarebbe troppo esposta qualora i terroristi riuscissero a entrare.

All’aeroporto, Issa scende dall’elicottero proprio mentre i poliziotti travestiti escono dal velivolo. Puntando il mitra, ordina loro di mettere le mani sulla testa. In quell’istante, la pista viene illuminata da potenti fari e i tiratori iniziano a sparare.

Un paio di terroristi vengono uccisi subito, mentre gli altri, compreso Issa, riescono a mettersi al riparo e ammazzano uno degli agenti scesi dall’aereo. Intanto gli ostaggi all’interno dell’elicottero cercano inutilmente di sciogliere le corde che li legano.
Per un equivoco, alcuni poliziotti di rinforzo atterrano in elicottero a un chilometro di distanza e non entreranno mai in azione.

La sparatoria dura un’ora e, verso mezzanotte, altri poliziotti riescono infine a entrare nella zona della sparatoria. I terroristi, comprendendo di non avere scampo, tornano sui due elicotteri per uccidere i prigionieri. In uno dei velivoli gettano anche una bomba a mano.
Quindi Issa si lancia contro gli agenti, facendosi falciare dai proiettili. Tre terroristi, sdraiati sulla pista per fingersi morti, vengono arrestati.

All’1.30 il disastroso blitz della Polizia è finito con 5 terroristi morti e 3 catturati, 9 ostaggi morti (ai quali si devono aggiungere i 2 eliminati nell’assalto al villaggio olimpico) e un agente ucciso.
Il giorno successivo, le gare olimpiche riprendono normalmente.

I tre palestinesi catturati rimangono in prigione solo un mese e mezzo, perché il 29 ottobre alcuni terroristi dirottano un aereo tedesco ottenendo la loro liberazione. Portati in Libia, i tre vengono accolti con tutti gli onori dal presidente Gheddafi.
In seguito vivranno in incognito per non cadere nelle imboscate del Mossad, il servizio segreto di Israele.

Golda Meir, infatti, incarica il Mossad di uccidere i terroristi superstiti insieme ai capi palestinesi che li hanno reclutati. “Operazione ira di Dio” è il nome in codice della missione.

Il primo a essere preso di mira è Abdel Wael Zwaiter, un collaboratore dell’ambasciata libica di Roma. Considerato una delle menti della strage, il 16 ottobre viene ucciso da 12 colpi di pistola mentre rincasa.

L’8 dicembre, Mahmoud Hamshari, rappresentate dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) a Parigi, salta in aria per una bomba piazzata sotto il tavolo di casa.

L’anno dopo, il 24 gennaio, Husayn al-Bashir, rappresentante di Al Fatah (braccio armato dell’Olp) a Cipro, viene dilaniato da un ordigno esploso sotto il letto. Il 6 aprile, ancora a Parigi, viene ucciso Basil al-Kubayssi, professore universitario.

Diversi capi palestinesi vivono a Beirut, la capitale del Libano martoriato dalla guerra civile. Pur essendo difesi da scorte di uomini armati, anche costoro vengono fatti fuori dai commando israeliani. Altri palestinesi rimangono uccisi da bombe e mine disseminate in tutta Europa.

A luglio, in Norvegia viene ucciso un cameriere marocchino scambiato per Ali Hassan Salameh, colui che avrebbe progettato materialmente la spedizione a Monaco. Il vero Salameh verrà ucciso nel 1979 da un’autobomba scoppiata a Beirut.

Riguardo ai tre attentatori sopravvissuti alla strage di Monaco, pare che uno sia perito in un agguato e un altro sia rimasto ferito. Il terzo dovrebbe essere morto per cause naturali nel 2010. In realtà, di loro non si sa niente di certo.

Durante l’Operazione ira di Dio, che ha mietuto un numero imprecisato di vittime, Settembre Nero non è riuscito a organizzare altre imprese terroristiche e, di fatto, si è sciolto.

 

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Di Sauro Pennacchioli

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