Lo squalo di Steven Spielberg ha segnato lo spartiacque cinefilo di una generazione, passata dalla zoomorfica fanciullezza dei cartoni disneyani alla piena maturità del filone faunistico a seguire.
Per il regista l’evidente intento dello Squalo “era quello di spaventare lo spettatore, e uno spettatore che avesse nella mente un Moby Dick qualunque non si sarebbe certo fatto spaventare da uno squalo di dimensioni normali”.
Discendente diretto della balena bianca, lo squalo la sovrasta in voracità e nella mancanza di morale con cui somministra la morte. Le scene di massa con i bagnanti in fuga dalle acque di Amity sono rafforzative del concetto: nessuno è al sicuro, nessuno può dirsi immune dal pericolo.
Quando la pubblicità strombazzava: “Dopo avere assistito a Lo squalo nuotare in mare aperto non sarà più la stessa cosa”, non si allontanava troppo dalla verità.

 

Sulla scorta del blockbuster spielberghiano, tra il 1975 e il 1977 il temibile squalo bianco diventa, insieme agli Ufo, l’oggetto di avvistamento più gettonato in Italia e nel mondo. Nonché tema prediletto di servizi tv e documentari: Uomini e squali, Mare blu morte bianca… Ne discendono una manciata di pellicole low budget che provano a rinverdirne i fasti al botteghino.

 

 

 

È il caso di Mako lo squalo della morte (William Grefe, 1976) che sfrutta l’onda lunga del capostipite acquatico per strombazzare immagini e situazioni mirabolanti. “Finora avete visto squali di gomma e pescecani dietro le sbarre. Se volete conoscere il vero assassino del mare, colui che mangia ogni essere vivente a portata delle sue mascelle, venite a vedere il Mako, lo squalo più feroce del mondo che purtroppo circola anche nel Mediterraneo. Non è grande 20 metri, ma l’esemplare che potrete vedere nel film Mako lo squalo della morte è vivo e vero”. Ed è il caso di Tintorera (1977) del messicano Renè Cardona jr., il cui slogan di lancio è altrettanto mirabolante: “Su un panfilo nasce un violento morboso amore a tre. Arriva lo squalo Tigre Tintorera… la morte!!!”.

 

 

Scimmiottatore abituale del cinema statunitense, quello italiano detto di genere sopperisce con l’arte di arrangiarsi a budget meno cospicui e, in qualche caso, alla carenza di idee originali.

Figlio illegittimo di Lo squalo di Spielberg, Tentacoli esce nel 1977 per la regia di Ovidio Assonitis che lo firma con il nome di Oliver Hellman.
L’incipit è da classico film coi mostri marini: un neonato e un pescatore spariscono in mare. I loro corpi vengono ritrovati straziati in modo orribile e nella costa californiana è subito allarme. La guardia costiera perlustra il mare rinvenendo relitti e cadaveri maciullati. Ned Turner, anziano giornalista, indagando sulle possibili cause dell’accaduto scopre che Mr. Whitehead, presidente della Trojan Construction, sta effettuando lavori nei fondali marini. Mentre la lista delle vittime si allunga a dismisura, anche la moglie dell’oceanografo Willy Gleason muore in mare. Il panico cresce, ma le autorità locali di Solana Beach reagiscono con la consueta indifferenza, permettendo che la gara di vela prevista nel tratto di mare infestato dal mostro abbia luogo come se niente fosse. Tra i partecipanti c’è anche il nipote di Turner, iscritto con un suo amico. Dopo qualche minuto dall’inizio della regata, Turner e Gleason scoprono che la causa di quella catena di morti è una piovra gigante, resa “pazza” dagli ultrasuoni emessi dalle attrezzature impiegate per la costruzione del tunnel sottomarino. Per via dell’attacco improvviso della piovra, la regata viene intanto sospesa e i sopravvissuti riportati a riva. Gleason e Mark tentano di affrontare la piovra con potenti fiocine, ma saranno due orche marine addestrate ad attaccarla e ucciderla.

 

Ovidio Assonitis ricorda Tentacoli come “un grandissimo sforzo intellettuale e produttivo”. Leggenda vuole che l’idea di un film su una piovra assassina sia nata in risposta allo scetticismo di un amico: “Tu uno Squalo non lo sapresti fare”. Assonitis raccoglie la sfida, concentrandosi su un faunistico marino che possa rappresentare la risposta italiana allo Squalo di Spielberg. Con le parole dello stesso regista: “Tentacoli è nato come idea di fare guerra allo Squalo”.

Detto fatto: dopo aver scritto la sceneggiatura insieme a Tito Carpi, la propone a Samuel Z. Arkoff che rimane colpito dal soggetto, ma ne fa modificare i dialoghi da uno sceneggiatore di sua fiducia, tale Steven W. Carabatsos. Lo spirito originario del film (ironico) ne risulta snaturato, ma Assonitis scende a patti e la concretizzazione del progetto Tentacoli va in porto. Contando, peraltro, su un budget niente male: circa 750mila dollari. Come protagonista il regista pensa inizialmente a John Wayne (che accetta), ma quando va a trovarlo nel suo ranch in Texas capisce che l’attore non potrebbe farcela per via del cancro che lo ha debilitato e reso magrissimo. Assonitis si rivolge allora a Henry Fonda, che per il colmo della sfortuna ha un infarto poco prima dell’inizio delle riprese. Dato il grosso anticipo già incassato, gli si affida il ruolo di co-protagonista (per non affaticarlo troppo le scene che lo riguardano verranno girate a casa sua) “ripiegando” su John Huston, chiamato a interpretare il personaggio principale.
Le riprese del film, durate in tutto dodici settimane, sono effettuate ad Atlanta, Oceanside e Pismo Beach in California. Quelle subacquee sono girate, invece, dalle nostre parti: nei fondali del Promontorio dell’Argentario e dell’isola di Giannutri.
Ancora due informazioni dal back stage di Tentacoli. La prima: lo storyboard originale prevede una sequenza in cui la piovra afferra il ponte di San Francisco e lo butta giù, sequenza mai realizzata. La seconda: durante le riprese la produzione smarrisce in mare la piovra di gomma che impersona il mostro marino. La troupe è costretta a fare di necessità virtù e gira il resto del film con un sommozzatore che agita sinistramente l’unico tentacolo rimasto a disposizione…

 

 

Come spesso succede dalle nostre parti, critici e cinefili accolgono Tentacoli con storcimenti di bocca.
Il critico Morandini assegna al film solo una stella, definendolo un “increscioso sottoprodotto di Lo squalo… una dispendiosa baggianata in Technivision e Technicolor”. Poi, continuando a darci dentro, sentenzia: “La storia fa acqua come un colabrodo e diffama il cinema avventuroso”.
Non si discosta dall’andazzo Rudy Salvagnini che, nel suo “Dizionario dei film horror”, attribuisce a Tentacoli una stella e mezzo: apprezza solo la parte iniziale (tirando addirittura in ballo qualche presunta somiglianza con Hitchcock), ma il resto del film è definito “banale e ridicolo”. Nel suo “Millecinquecento film da evitare”, Massimo Bertarelli non manca di inserire Tentacoli, a cui affibbia un 4 di scoraggiamento. Nella sua recensione su “Magazine italiano Tv” anche Francesco Mininni non si sottrae al gusto della critica pregiudiziale, definendo il film “una pessima imitazione italiana con qualche tentacolo in più e molta tensione in meno”. “Segnalazioni Cinematografiche” se la prende soprattutto con la sceneggiatura e gli aspetti ecologici del plot. Anche “Film TV” assegna al film un voto insufficiente, attribuendogli appena due stelle su cinque, descrivendo i risvolti ecologisti e i personaggi “ingenui e schematici”, trovando “efficaci invece le scene con la piovra”.

Nemmeno sulle sponde americane la pellicola fa incetta di consensi. Nel sito di recensioni Rotten Tomatoes, Tentacoli raccatta una valutazione dello 0%, che sta a indicare che nessun critico si è espresso positivamente. Solo Donald Miller, nel quotidiano Pittsburgh Post-Gazette, si esprime sul film con un parere incoraggiante, soprattutto per gli effetti speciali e per alcune sequenze. Nella recensione del giornale The Morning Record and Journal, il cast viene descritto “sprecato” e il film come “non spaventoso” (che equivale a una bocciatura secca). Pollice verso anche da parte di Jim Moorhead, del The Evening Independent, confermato dal sito Allmovie, che assegna a Tentacoli una stella su cinque, definendolo “sciocco”.

A tre anni di distanza da Tentacoli e a cinque da Lo Squalo, le acque di una cittadina costiera americana tornano a tingersi di sangue per l’inopinata comparsa del solito squalo bianco. Malgrado ciò il sindaco non ne vuol sapere di impedire la balneazione, e una gara di surf (grande attrattiva per i turisti) si trasforma in un massacro. Comincia la caccia al gigantesco pescecane, ma sarà tutt’altro che facile. Questa, in estrema sintesi, la trama de L’ultimo squalo (1980), ben diretto dallo Spielberg di casa nostra Enzo G. Castellari. Al botteghino il film è una sorpresa: 18 milioni di dollari soltanto nel primo mese di programmazione negli Stati Uniti. Troppi perché la Universal (impegnata nella preparazione di Lo Squalo 3) non monti su tutte le furie, evidenziando la similitudine con la trama dello Squalo capostipite. Si finisce in tribunale e il verdetto è di plagio: la pellicola viene ritirata dalle sale americane. Secondo il regista Castellari, intervistato da Luca M. Palmerini e Gaetano Mistretta per il loro “Spaghetti Nightmares”: L’ultimo squalo è un fulgido esempio della fantasia dei nostri produttori che, comunque, hanno avuto ragione. Mettersi in competizione con lo squalo di Spielberg sembrava impossibile, e invece (…) abbiamo ricostruito lo squalo meccanico con la stessa professionalità degli americani ma – e qui sta il bello – con molti meno soldi e molta fantasia e furbizia in più. Tecnicamente rimane sicuramente il mio film migliore (…) la parte del finto-squalo che emergeva dall’acqua aveva le stesse dimensioni di un vero squalo bianco; era mossa da una pedana con un motore azionato da due tecnici fuori campo. A metà film successe che il meccanismo si ruppe e potemmo continuare ad usare solo la testa che veniva spinta manualmente in superficie: al di là di tutti i problemi incontrati il risultato è nell’insieme apprezzabile (…) il film incassò la bellezza di 2.500.000 dollari, una cifra pazzesca per un film non solo italiano ma anche europeo, tant’è vero che ha messo paura all’industria americana. La Universal ci fece subito causa con l’accusa di plagio nei confronti de Lo squalo e, dopo un mese, ne bloccò la distribuzione quando già eravamo a 17 milioni di dollari. Secondo me le loro accuse erano del tutto infondate in quanto, oggigiorno, ogni film è ricalcato da un altro: il fatto è che al cinema si è già visto quasi tutto (…) l’unica spiegazione dell’assurda vicenda legale è che noi stavamo superando i loro incassi e questo non gli andava giù (…) Devo ammettere che mi feci delle amare risate sentendo gli avvocati che, non sapendo dove appigliarsi, mi accusarono di aver dato al personaggio di James Franciscus lo stesso nome di battesimo dell’autore del romanzo da cui è stato tratto il film di Spielberg (Peter Benckley), oppure che la moglie del protagonista aveva i capelli biondi come quella de Lo squalo (…) sembrava di assistere ad una vera e propria situation commedy all’americana”.

 

 

Accolto dalla critica in modo ambivalente (osannato da quella specialistica che lo ritiene il sequel più riuscito de Lo squalo, e stroncato da quella paludata), il film si segnala come uno degli incassi migliori della stagione.

 

 

 

© Mario Bonanno

 

 

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