In Spirit, il suo unico personaggio seriale, Will Eisner ha sperimentato tutto quello che si poteva sperimentare nel breve spazio delle sette pagine di ogni episodio, facendo fare grandi passi al linguaggio fumettistico. E i suoi disegni, pur nella loro essenza grottesca, erano di ineccepibile realizzazione e piacevoli da vedere. Gli autori preferiti di Will Eisner erano Milton Caniff, Al Capp, E. C. Segar e George Herriman. Di quest’ultimo disse: “George Herriman mi mostrò che si poteva sviluppare uno scenario strano e astratto senza alcun reale rapporto con l’azione in corso”. Questi elementi sono alla base (e contengono tutto) del percorso artistico di Eisner, da Spirit ai graphic novel, che l’hanno riportato a essere apprezzato in tutto il mondo.


Da Caniff, Eisner riprende la base realistica del proprio disegno, con quel magistrale e insuperato uso del bianco e del nero. Da Capp gli viene la vena beffarda, dissacratoria, che impiega nelle sue storie per scardinarle dall’interno, rovesciandone parodisticamente gli assunti avventurosi e melodrammatici. Da Segar la vena, insieme umanissima e surreale, che anima la ricchissima galleria di comprimari. Di Herriman è l’intuizione che anche lo scenario può parlare al lettore suscitandogli sentimenti, ricordi e sensazioni (la lezione darà i suoi frutti finali nello splendido romanzo grafico “The building”). In proposito l’autore affermò: “Gli scenari mi vengono naturalmente. Sono cresciuto e conosco bene il ghetto. Molti degli elementi che compaiono nei miei scenari li traggo dai ricordi della mia vita reale. Si potrebbe dire che possiedo una profonda Weltanschauung della città. Per questo so che certe forme di architettura risvegliano certi sentimenti”.

Ma è sul versante della costruzione della pagina, delle vignette e delle sequenze (mai disgiunte dal fattore narrativo) che l’autore newyorkese ha sperimentato e inventato di più. Grazie alla scelta di viaggiare con un piede sul versante realistico, e con l’altro su quello parodistico, ha potuto giocare con ogni elemento del fumetto esplorandone tutte le componenti e divertendosi a forzarle in ogni direzione possibile. Come, altrettanto genialmente, faranno qualche anno più tardi Goscinny e Uderzo su Asterix (basterà ricordare la recluta egiziana che in “Asterix legionario” parla a geroglifici, o i balloon che diventano astiosamente verdi in “Asterix e la zizzania”).

Dalla testata, ogni volta realizzata in modo graficamente diverso e caratterizzata secondo l’argomento trattato (inscritta nell’architettura di un palazzo, stampata su una logora maglietta, impressa su un francobollo…), alle sperimentazioni narrative come la storia muta “Il trucco del santone”, alle sequenze in cui le vignette perdono la gabbia e i personaggi si muovono in tunnel che sembrano aprirsi direttamente nella pagina (“Il tesoro della mummia”), troppe sono le invenzioni dell’autore per analizzarle tutte qui. Molte sono entrate a far parte delle sue lezioni nel libro “Fumetto e arte sequenziale”, alle quali rimandiamo il lettore.


Però… però Spirit, quando negli anni sessanta apparve in Italia sulle pagine della rivista “Eureka”, lo trovai deludente. Intanto la storia: era ridicola! Un noto criminologo, Denny Colt, perde apparentemente la sua battaglia decisiva contro il perfido Dottor Cobra (un “mad doctor” più demente del solito) e viene creduto morto, a causa di una mistura dell’avversario che lo fa piombare in uno stato di momentanea catalessi. Quando si risveglia cosa fa, il geniale studioso? Decide di darsi alla macchia per poter meglio sorprendere i criminali che, senza lui in giro, si rilasseranno e commetteranno un’imprudenza dietro l’altra! E, per celare la sua vera identità, indossa una mascherina da carnevale che gli copre appena le zampe di gallina! Peggio degli occhiali di Clark Kent, già giustamente sbeffeggiati.

La prima storia di Spirit del 1940 realizzata, come le successive, per il supplemento domenicale dei quotidiani americani (non molti pubblicavano questo mini comic book, per dire la verità)
Dato che Will Eisner aveva perso gli originali di Spirit dei primi anni quaranta, nella ristampa del 1966 per la casa editrice Harvey ridisegnò le storia delle origini (molto pulp) del personaggio

 

D’accordo, i racconti di Spirit non si prendono molto sul serio… e proprio questo è il loro limite! Quando leggi le strisce di Phantom, noto in Italia più prosaicamente come l’Uomo Mascherato, eccavolo, quelle ti coinvolgono! L’Ombra che Cammina si avvicina nella nebbia del porto, figura ineffabile celata da un cappello e un impermeabile, con il fido Diavolo al fianco. Davanti a un gruppo di tagliagole si libera dei suoi abiti civili e rivela l’inquietante calzamaglia violacea (rossa in Italia). E il suo cazzotto, quando arriva, ti marchia per il resto della vita! Dài, non c’è paragone! Perché Phantom si prende sul serio, mica come Spirit.

Non dovrei essere proprio io a lamentarmene, visto che ho sempre considerato un valore l’ironia e soprattutto l’autoironia ma, da lettore, come la maggior parte dei lettori, amo che i personaggi facciano il loro lavoro con convinzione: se sono eroi avventurosi, che facciano girare i pugni, o sparino o usino il loro superpotere; se sono protagonisti di fumetti umoristici, che si infilino in situazioni assurde o ridicole e ci facciano ridere. Spirit non faceva niente di tutto questo. Spirit menava pugni in modo ridicolo e si infilava in situazioni ridicole con la massima serietà. Come si può prendere sul serio un personaggio del genere? Mi dispiace, ma o Dick Tracy o Fearless Fosdick! Tertium non datur!

Raccolte di ristampe pubblicate negli anni settanta, generalmente in bianco e nero, delle storie di Spirit (realizzate soprattutto della seconda metà degli anni quaranta). La casa editrice Warren utilizza il suo consueto formato “magazine”

 

La verità è che nemmeno Eisner l’ha mai preso sul serio. Probabilmente lo pagavano per riempire quelle sette pagine con un genere di personaggio che non lo interessava (ricordo di aver letto che la mascherina era stata imposta dall’editore per cavalcare la moda imperante dei giustizieri mascherati), e lui ne ha approfittato per fare i suoi esperimenti grafici e narrativi, spostando più avanti il limite di quello che si può fare con il fumetto. Ma senza affetto per il personaggio, al punto che l’ha prestato a innumerevoli colleghi.

E quando ha voluto (e potuto) raccontare le storie che davvero gli interessavano si è inventato i graphic novel, i romanzi grafici, e ci ha stupito, coinvolto, emozionato. Cosa che con Spirit, almeno per quello che mi riguarda, non gli è mai riuscito: con Spirit ci ha (di)mostrato il suo talento, la sua inventiva, la sua capacità di andare oltre i confini stabiliti, la sua perizia grafica e narrativa, ma non ci ha regalato un personaggio da amare e ricordare come Kinowa, Buck Danny, Zagor, Blueberry, Jeremiah, Batman, Silver Surfer (Silver Surfer!), Alan Ford, Charlie Brown o Mafalda.

Sorry, mister Spirit.


Controcanto
(di Sauro Pennacchioli)

Abbiamo due Spirit. Quello della prima metà degli anni quaranta, quando in America c’era la moda dei supereroi, e quello della seconda metà dello stesso decennio, quando gli albi dei supereroi chiudevano uno dopo l’altro a meno di diventare contenitori di non supereroi (con pochissime eccezioni).

Nelle storie del primo periodo, Spirit vive avventure condensate con un altissimo numero di vignette: qui Will Eisner dimostra la sua eccezionale abilità di sceneggiatore mainstream, per quanto sia vero che non capisse nulla di supereroi (rifiutò di pubblicare la prima storia di Superman considerandola una minchiata, tanto per dire). Queste prime avventure sono state pubblicate in Italia solo dal 2003, nei volumi della Kappa edizioni.

Gli episodi della seconda metà degli anni quaranta, cioè quelli pubblicati in Italia da “Eureka” tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, trasformano spesso Spirit in spettatore di una storia sostanzialmente slegata da lui. In queste storie non ci si può innamorare di Spirit per il semplice motivo che il personaggio non è presente come “eroe avventuroso”. Tra l’altro, questi brevi racconti dedicati a personaggi marginali prefigurano proprio le graphic novel di Will Eisner. (Va da sé che io considero Spirit, soprattutto quello “supereroico” dei primi anni quaranta, un capolavoro del fumetto che vale almeno diecimila Jeremiah messi insieme, mentre trovo le osannate “graphic novel” di Eisner delle prolisse e bolse variazioni dei miniracconti del suo personaggio più famoso).

 

 

Un pensiero su “SPIRIT DI WILL EISNER È “UNA CAGATA PAZZESCA”?”
  1. Contento o forse scontento tutti e due: per me Will Eisner è un genio assoluto sia quando fa Spirit che quando racconte la New York ebraica degli anni cinquanta/ sessanta

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