Se c’è un autore umoristico tipicamente francese, quello è Jean-Jacques Sempé. Nato a Bordeaux il 17 agosto 1932, ha iniziato la sua carriera pubblicando disegni e vignette su Sud Ouest, Le Rire, Noir et Blanc e Ici Paris. Nel 1957 approda a Paris-Match, e dal 1978 collabora stabilmente con la la prestigiosa rivista New Yorker. Ed è abbastanza sorprendente, perché fino a quel momento l’opera dell’autore francese è stata quanto di più “casalingo” si possa immaginare.

I protagonisti dei lavori di Sempé sono piccoli, piccolissimi uomini e donne che si muovono in ambienti fagocitanti. Sia quando l’ambiente è quello delle piccole case rurali della Francia più profonda, sia quando si tratta delle architetture imponenti di Parigi, i suoi personaggi vi si perdono, minuscole creature sballottate dal vento della vita e irrimediabilmente schiacciate dal mondo che li circonda. Gli stessi cartelloni pubblicitari che mettono in scena bellissimi modelli e modelle in formato gigante sulle pareti della metropolitana sembrano essere stati messi lì, incombenti, per ricordare a viaggiatori e viaggiatrici che la loro esistenza è fatta di solitudine e insignificanza.

Eppure Sempé li ama, i suoi piccoli uomini e donne. Nel momento in cui ce li mostra nella loro pochezza, mettendone a nudo fin il più piccolo difetto, la sua matita essenziale esprime con tratto gentile tutta la vicinanza e l’affetto che prova per loro. Forse ne ammira il coraggio, la capacità di andare avanti comunque nella furia di un mondo che corre e li inchioda alla loro inadeguatezza. Vedendo i suoi disegni, leggendo le sue battute, non si può che ridere, ma senza cattiveria, senza riuscire a sentirsi diversi o superiori rispetto a quei piccoli individui nei quali, senza ammetterlo, ci riconosciamo.

Come ha fatto un autore del genere, che molti in Italia ricorderanno soprattutto per la sua collaborazione con un altro mostro dell’umorismo, l’asterixiano René Goscinny (insieme hanno dato vita ai deliziosi libretti per ragazzi della serie “Le petit Nicolas”, il piccolo Nicola), a trasformarsi in uno degli autori-simbolo del settimanale più elegante e snob degli Stati Uniti, di quell’angolo d’America orgoglioso della propria diversità che è New York? Forse ci è riuscito semplicemente restando se stesso. O forse, per tirare fuori tutta l’anima dei suoi minuscoli protagonisti non c’era posto migliore della Grande Mela. E d’altro canto quando, davanti alla proposta dell’inedita collaborazione, ha domandato al direttore artistico del giornale cos’era che faceva di un disegno una copertina del New Yorker, si è sentito rispondere: “Il fatto che il New Yorker la riproduca e ne faccia la sua copertina. Questo, ne fa una copertina del New Yorker. Sempé ha ritenuto la risposta strana, ma corretta: “Non si sa cos’è quel qualcosa, ma è quello che ci deve essere”.

La sua chiamata oltreoceano è dovuta a una delle sue annuali raccolte di disegni, “Monsieur Lambert”, ambientata in un ristorante parigino, finita chissà come sulla scrivania di William Shawn, patron del prestigioso settimanale. Che se ne è innamorato subito e gli ha chiesto di fare lo stesso con un ristorante newyorkese. Sempé  ha fatto qualche resistenza, pensando di non essere all’altezza del compito: i palazzi che era abituato a disegnare non erano quelli della Grande Mela, e non conosceva l’atmosfera della grande metropoli. Ma Shaw è stato perentorio: “Ascoltate, l’importante non è quello che voi credete, ma quello che credo io. Io credo che voi possiate fare qualcosa e mi piacerebbe vedere cosa potete fare su di noi, su New York”.

Così, anche se non ha mai abbandonato il suo appartamento parigino nel quartiere di Montparnasse dove vive tutt’oggi, per “diventare americano” Sempé si è trasferito per un po’ nel Nuovo Continente adattandosi a disegnare nel piccolo ufficio messogli a disposizione dalla redazione e cominciando a girovagare per le strade della città, per “annusare” quelle atmosfere, conoscere quelle persone, capire quegli ambienti. E da quel giorno, per 38 anni, l’inconfondibile, leggerissimo tratto dell’autore francese, dalle copertine e dalle pagine interne del settimanale ha spiegato ai newyorkesi come sono fatti: come ballano, come fanno musica, come si rapportano con la natura, come vivono nelle loro case, nei teatri e nei ristoranti. E come sono piccoli in mezzo ai grattacieli. E quanto lui li ama.

Adesso però Sempé ha deciso che è ora di farsi da parte. A 84 anni suonati, una salute fragile che non gli impedisce di sedersi comunque ogni tanto al tavolo da disegno, ha deciso di lasciare la rivista che, dal 1925, ha ospitato tra gli altri i lavori di Saul Steinberg, Chas Addams, Otto Soglow, Art Spiegelman e Lorenzo Mattotti. L’umorista si lascia dietro un’eredità di 109 copertine, recentemente raccolte da Denoël nel volume “Sempé à New York”.

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