Metà anni novanta. Una giovanissima cantante deve fare alcune foto per l’album di esordio in piazza Duomo a Milano. Ma la piazza, al solito, è affollata di piccioni e lei ne è terrorizzata. Le foto, però, vengono bene: il fotografo americano scambia la sua paura autentica per recitazione e non fa che dirle: “Great, great!”.

La cantante, che da allora di strada ne ha fatta, è Elisa (al secolo Elisa Toffoli), la quale ha raccontato la vicenda sabato 15 luglio al festival di Collisioni, a Barolo (eravamo presenti). “Ho questa fobia degli uccelli che mi è venuta non dal film omonimo di Hitchcock ma dal film La metà oscura, tratto dal romanzo di Stephen King, che ho visto quando ero troppo piccola”, ha spiegato la cantante che deve essere un po’ fifona: essendo nata nel dicembre 1977, aveva quasi sedici anni quando il film è uscito nel 1993.
Quel film, con protagonista uno scrittore alle prese con il proprio doppio malvagio, era diretto da George Romero, scomparso il giorno successivo alle esternazioni di Elisa, il 16 luglio, a 77 anni.

È curioso che “La metà oscura” non sia un film di morti viventi, visto che Romero è davvero l’uomo che ha dato vita alla morte.
Girando nel 1968, “La notte dei morti viventi” ha lanciato definitivamente un mostro moderno: lo zombi, il primo non derivato dal folklore europeo come i vampiri o i lupi mannari. Termine in effetti non corretto (e nei suoi film non viene mai usato) visto che gli zombi propriamente detti sarebbero i morti viventi riportati in vita dai sacerdoti del voodoo, la religione sincretista (mix di cattolicesimo e culti animisti) diffusa soprattutto nell’isola caraibica di Haiti. Invece i morti viventi di Romero tornano in vita per cause in genere non spiegate, si nutrono dei vivi e se li mordono li rendono come loro. La civiltà collassa e nei suoi film, molto politicizzati, Romero tifa per gli zombi: l’umanità, schiava del consumismo, gretta ed egoista merita la fine.

Quando Romero è morto era appena uscito nelle sale il film “War for the Planet of the Apes” di Matt Reeves, terzo atto del reboot della celebre saga del Pianeta delle scimmie: con i suoi militari ottusi e feroci e la totale sfiducia nel genere umano, sembrava un film di zombi di Romero. Ma meglio un pianeta dove le scimmie hanno rimpiazzato gli umani di un pianeta di morti viventi.


Tornando agli zombi, non avremmo serie tv di successo come “The Walking Dead” (tratta dal fumetto omonimo) o videogiochi famosi come “Resident Evil”, a sua volta diventato un franchise cinematografico, senza l’intuizione di Romero.
E c’è anche un po’ di Italia nei suoi morti viventi, visto che il suo film forse di maggior successo, “Zombi” (in originale Dawn of the Dead, 1978), è stato co-prodotto da Dario Argento e nell’edizione europea è arricchito dalle infernali musiche dei Goblin (in quella americana, montata da Romero, sono presenti solo in parte). Lo stesso Dylan Dog deve molto al regista: il numero uno della serie vede il personaggio di Tiziano Sclavi alle prese con gli zombi e il titolo dell’albo, che cita quello originale di Zombi, è “L’alba dei morti viventi”.

Feconda è stata la collaborazione di George Romero con lo scrittore Stephen King, iniziata a inizio anni ottanta con “Creepshow”, omaggio agli Ec Comics, i fumetti horror degli anni cinquanta che li avevano terrorizzati da piccoli (l’adattamento a fumetti del film è firmato da un grande disegnatore come Bernie Wrightson, morto anche lui quest’anno).


Anche se il suo ultimo film è stato “Survival of the Dead” (2009), una sorta di western in salsa zombi, la pellicola preferita di George Romero era “Knightriders” (1981) con protagonisti bikers visti simili a moderni cavalieri erranti con Harley Davidson come destrieri. Un regista americano al cento per cento, che nelle sue pellicole, horror e non, ha ritratto spesso criticamente la società americana: basti pensare ai suoi morti viventi “consumisti” che assediano un supermercato in “Zombi”.

E che, tra le tante cose, ha creato una fobia in una cantante triestina.

 

 

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