Quello del clown, il buffone con il sorriso dipinto che nasconde dentro di sé grandi turbamenti e angosce, è sempre stato un elemento di grande impatto.
Ha ispirato liriche come I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, melodie come The Show Must Go On dei Queen, e “incubi pop” come il Pennywise di It e il Joker di Batman.
E poi c’è Chip Baskets della serie televisiva.

Chip Baskets vuole fare il clown. Anzi, come sostiene con convinzione per tutta la durata della serie, Chip Baskets È un clown.
È volato fino a Parigi, nella migliore scuola di clownerie per realizzare il suo grande sogno, infranto però dalla mancanza di comprensione per la lingua e dalla sua goffaggine, e che lo allontanano dalla figura di clown etereo prodotta dalla tradizione europea.
Snobbato e considerato indegno dai suoi docenti e col conto in rosso, Chip torna nella sua cittadina natale, la rozza Bakersfield in California, con al seguito un’affascinante donna francese di cui si è perdutamente innamorato, ma che non lo ricambia e che, però, accetta di sposarlo solo per ottenere la Green Card e scappare dal suo senso di incompiutezza.
Anche negli Usa Baskets continua a inseguire il suo sogno clownesco, ritrovandosi a dover fare i conti con uno squallido lavoro come clown da rodeo, sciocco buffone con il naso rosso in netto contrasto con la sua idea romantica di pagliaccio, di matrice europea.
È da antologia la quarta puntata in cui, con un sapiente montaggio alternato a cavallo tra passato e presente, le luci fredde e distaccate dei neon di Bakersfield si intrecciano con la delicatezza e i chiaroscuri artistici della Ville Lumiere.

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E poi c’è la famiglia, quella che dovrebbe essere per tutti (o quasi) l’oasi di pace, mentre per il nostro Chip è solamente un altro girone infernale. Da tempo orfano del papà, Chip è cresciuto con Mamma Baskets (interpretata da un caratterista dalla verve straordinaria come Louis Anderson) che lo tratta come un inetto, data la scarsa considerazione che ha di lui e del cinico fratello gemello Dale, quasi un riflesso distorto di Chip, il quale a sua volta tratta male il fratello rinfacciandogli i suoi successi (che scopriremo vacui) e che vive anche lui a stretto contatto con i suoi demoni.
A completare il quadro una stramba nonna e un’altra coppia di gemelli, stavolta adottivi: due prestanti afroamericani che hanno successo in qualsiasi cosa fanno fin dalla più tenera età, divenendo i beniamini di mamma andando a rimarcare, come se ce ne fosse bisogno, la condizione meschina di Chip.

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Il protagonista della serie è un personaggio incredibilmente complesso. È una maschera dentro la maschera: debole ma determinato, consapevole della condizione critica in cui versa, ma testardo nel suo volersi emancipare e dimostrare a se stesso e al resto del mondo di poter riuscire in qualcosa; e per ottenere questo è perfino pronto a calpestare il suo orgoglio.
La straordinaria peculiarità di Chip Baskets però è quella di avere un sogno; qualcosa che lo rende umano agli occhi dello spettatore e che ci fa simpatizzare per lui, facendoci sperare fino all’ultimo che tutto possa risolversi, o quanto meno stabilizzare.
A dare il volto a questo romantico anti-eroe è uno Zach Galifianakis in forma smagliante.
Se già nel film Premio Oscar Birdman (A.R. Inarritu; 2014) avevamo avuto un pur breve saggio della sua bravura in ruoli drammatici (lontano dallo stralunato personaggio che gli ha dato la fama mondiale, l’Alan Garner de Una Notte da Leoni), Baskets è il suo “esame di maturità” in tutti i sensi.
Prova straordinaria, che spazia in tutte le nuance della tavolozza delle emozioni, suggellata anche dall’interpretazione dello “spettro di colori opposto” (per restare nella metafora), ovvero il gemello Dale, come se il Dottor Jekyll e mister Hyde incontrassero Sbirulino in un incredibile mash-up pop ed emozionale.
A completare il cast Martha Kelly, nel ruolo di Martha, una lenta e strana assistente assicurativa che diviene l’unica amica del protagonista (amicizia a dir poco strana, dai contorni poco definiti e basata su passaggi in auto e confessioni strane), e la cantante/attrice Sabina Sciubba nel ruolo dell’intrigante Penelope, donna che farà perdere la ragione a Chip, ma che in gran segreto nasconde dolori simili a quelli del clown innamorato.
A tessere le fila di questo eccellente dramedy è l’indiscusso genio di Louis C.K., scrittore, sceneggiatore, ma soprattutto eccellente stand-up comedian, che dopo la fenomenale Louie ha tirato fuori (insieme con lo stesso Galifianakis) uno dei gioielli, a mio parere, più brillanti di questa annata televisiva, assieme a Master of None di Aziz Ansari.
Segno inequivocabile che è possibile ancora far ridere con delicatezza, far riflettere con garbo ed emozionare anche nell’epoca delle sit-com protocollari.
Al giorno d’oggi non mi sembra per niente una cosa da poco. O, se preferite, una pagliacciata.

Di Vito Papasodaro

vivo tra immaginario pop, fantascienza, nuvolette e altre cazzatelle. Cerco risposte nei libri di Palahniuk e non nella Bibbia.

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