Lo sceneggiatore Everett De Roche (1946-2014), nato negli Stati Uniti ma naturalizzato australiano, ha scritto nel corso della carriera quindici lungometraggi e numerosi episodi per telefilm e serie tv.

È conosciuto soprattutto per aver scritto la sceneggiatura di alcuni dei migliori film del regista Richard Franklin (nato a Melbourne nel 1948 e scomparso nel 2007).

La prima collaborazione tra Franklin e Everett De Roche risale al 1978, quando uno scrive e l’altro dirige Patrick, che ottiene un buon successo in un periodo nel quale la cinematografia australiana sta cominciando ad affermarsi a livello mondiale (grazie all’apripista Peter Weir, autore nel 1975 del bellissimo Picnic ad Hanging Rock).

Dopo aver ucciso la madre e il suo amante, il giovane Patrick a causa dello shock finisce in coma. Nella clinica del dottor Roget è tenuto artificialmente in vita per essere studiato come caso clinico. Quando viene assunta l’infermiera Kathy, Patrick, ossessionato dalla giovane donna, scatena i suoi poteri psicocinetici.

 


Più thriller fantascientifico che vero e proprio horror, Patrick soffre ancora oggi (come l’intera filmografia di Franklin) della schiacciante concorrenza dei coevi prodotti americani, che godono di maggiore considerazione presso gli appassionati. Per esempio Halloween – La notte delle streghe. I due film escono nell’autunno del 1978 nei rispettivi paesi di produzione (in Italia nella primavera dell’anno successivo). Patrick ha oltretutto alcuni punti in comune con il film di Carpenter.

Halloween inizia con il piccolo Michael Myers che accoltella a morte la sorella dopo averla vista a letto con un ragazzo.
Patrick invece trova la madre e il suo amante in intimità nella vasca da bagno e li fulmina gettando nell’acqua una stufetta.
Se Michael torna poi nella cittadina dove ha commesso il primo delitto e compie un massacro, Patrick immobilizzato nel letto uccide solo la capo infermiera.

Altri elementi accomunano i due film: la protagonista femminile e il medico comprimario, i dialoghi tra ragazze incentrati soprattutto sulle avventure amorose. Tuttavia Halloween appartiene al genere slasher da cui Patrick resta ben distante. Questo fattore con ogni probabilità ha reso il primo uno degli horror americani più amati e citati, grazie anche a uno script più lineare e alla regia nitida, rigorosa ed estremamente efficace di Carpenter.

Franklin, al contrario, cerca in vari casi l’inquadratura a effetto ma ha abbastanza talento per evitare di cadere nel ridicolo involontario nonostante alcune situazioni al limite. E comunque lavora con intelligenza sull’intrigante soggetto di Everett De Roche, non certo facile da realizzare.
Sempre a proposito di Halloween, forse non a caso per il secondo thriller di Franklin scritto da De Roche viene scritturata proprio la protagonista del film di Carpenter.

In Roadgames, del 1981, Jamie Lee Curtis interpreta Pamela, una giovane autostoppista che sulle deserte strade australiane viene caricata da Pat, un camionista che sta trasportando un carico di carne di maiale surgelata. I due proseguono insieme il viaggio, durante il quale Pat racconta alla ragazza dei suoi sospetti riguardo un uomo che avrebbe ucciso una donna facendone sparire il cadavere. Quando il maniaco rapisce Pamela, il camionista, ritenuto a sua volta il colpevole dalla polizia, dà la caccia all’assassino.

 


Al minuto 00:43:20 di Roadgames Pamela fruga nel retro del camion e trova alcune riviste, tra cui un numero del bimestrale americano Alfred Hitchcock Mystery Magazine, con l’immagine del regista in copertina. Il film è in effetti costruito su alcune situazioni che si trovano in molti dei capolavori hitchcockiani. Il protagonista ritenuto ingiustamente colpevole (Il ladro, Frenzy) e che non viene creduto (mentre lo spettatore sa fin dall’inizio che non è l’assassino), la coppia uomo-donna che si forma nel corso della vicenda. Anche l’uso elegante e non eccessivo della macchina da presa deve qualcosa alla lezione di Hitchcock (tuttavia una lunga panoramica circolare all’interno di un bar ricorda certe soluzioni di De Palma). Senza contare che il soprannome di Pamela è Hitch: come autostoppista in inglese (hitchhiker) ma anche come veniva familiarmente chiamato il Maestro del Brivido.

Franklin conferma la venerazione per Hitchcock girando nel 1982 con molto coraggio l’ottimo Psycho 2.
Mentre Everett De Roche torna a collaborare con Franklin nel 1985 scrivendo Link, il loro miglior risultato e tutto sommato anche il miglior film del regista.
Protagonista è la studentessa di zoologia Jane, che accetta di fare da assistente al suo insegnante di antropologia, il dottor Phillip, durante le vacanze estive. Lo scienziato la ospita nella casa di campagna, dove vive con tre scimpanzé. A un certo punto Phillip scompare, e Jane si trova da sola a fronteggiare la scimmia più aggressiva.

Link è un film poco visto, almeno dalle nostre parti (in Italia non venne distribuito nelle sale cinematografiche), e al di fuori della cerchia dei cultori del genere. Eppure la suspense è dosata in maniera magistrale, senza che questo vada a scapito di un’attenta e per nulla banale rappresentazione dei personaggi. Le due scimmie, i cui caratteri sono delineati con cura, riescono a esprimere una vasta gamma di sentimenti: paura, tenerezza, ferocia. L’anziano scimpanzé (in realtà un orango) Link esprime persino desiderio (nella scena in cui Jane sta per fare il bagno) e gelosia, come il giovane protagonista di Patrick. Splendido e beffardo il finale, che in parte smentisce l’idea che De Roche sia stato uno sceneggiatore “dalla parte degli animali”.

De Roche e Franklin hanno lavorato nuovamente insieme nel 2003. Il risultato però è solo in parte all’altezza dei precedenti. Incubo in alto mare (Visitors), distribuito da noi in home-video, vede ancora una volta protagonista assoluta una giovane donna. Georgia sta facendo una traversata in solitaria su uno yacht, quando per una bonaccia resta bloccata in mezzo all’Oceano Indiano. Qui è preda di allucinazioni e si trova ad affrontare eventi soprannaturali.

Franklin lo presentò come una sorta di Patrick ambientato su una barca invece che in una stanza d’ospedale, e quasi sempre con un solo personaggio in scena. Anche in questo caso in un certo senso il modello è Hitchcock e i suoi film girati in un unico luogo (Prigionieri dell’oceano e Nodo alla gola).

Pur senza l’apporto dietro la macchina da presa di Richard Franklin, Everett De Roche ha dimostrato il proprio valore come autore della sceneggiatura di almeno altri due ottimi film, che evidenziano oltretutto una certa coerenza tematica.
Nell’inquietante Long Weekend, diretto nel 1978 dall’australiano Colin Egglestone, Peter e Marcie, una coppia di coniugi in crisi, si reca per il fine settimana in una spiaggia del nord dell’Australia.
I giorni di vacanza scorrono tra dissidi di coppia e brevi riconciliazioni. La donna in particolare sopporta malvolentieri il fatto di dover campeggiare in quel luogo isolato, si annoia e manifesta in più occasioni il desiderio di tornare indietro o di pernottare in un albergo. Inoltre a un certo punto si viene a sapere che ha abortito e non ha ancora superato il trauma, così come si è capito fin dalla telefonata iniziale che ha una relazione extraconiugale.

 


Il ménage tormentato dei due ha il corrispettivo nel rapporto non idilliaco che Peter e Marcie instaurano con la natura che li circonda. Già durante il viaggio l’uomo investe involontariamente un canguro. In campeggio Marcie uccide le formiche con l’insetticida. Poi Peter spara a un dugongo scambiandolo per uno squalo e la moglie scaglia un uovo d’aquila contro un albero.

La natura sembra rispondere in maniera ostile. A un certo punto Peter viene attaccato da un’aquila e nella fuga finale nel bosco l’uomo si sente minacciato da vari animali. La morte dei due avviene accidentalmente e per mano dell’uomo, ma è un uccello dopotutto a provocare nella sequenza conclusiva l’investimento fatale.

Per l’assunto del film vale in ogni caso ciò che disse De Roche sulla sua idea iniziale: “Volevo scrivere un film che fosse ben diverso da Lo squalo”.
In ultima analisi va detto che un’ulteriore visione di Long Weekend insinua il dubbio che a un certo punto (da quando cioè Peter rischia di colpire la moglie con la freccia) il film diventi un incubo via via sempre crescente dell’uomo. Un incubo dalla forma quasi perfetta.

D’altronde gli script di De Roche prevedono quasi sempre situazioni nelle quali i personaggi hanno visioni e allucinazioni. È così anche in Razorback – Oltre l’urlo del demonio, diretto nel 1984 da un altro regista australiano, Russell Mulcahy. La giornalista Beth Winters si reca in una cittadina australiana per realizzare un servizio sul massacro illegale dei canguri. Quando la donna scompare misteriosamente Carl, il marito, raggiunge anch’egli l’Australia per indagare. Da un anziano cacciatore, Jake, viene a sapere che il razorback, un gigantesco e ferocissimo cinghiale, anni prima ha rapito e ucciso il suo nipotino e secondo lui è anche responsabile della morte di Beth.

 


Al minuto 00:40:00 di Razorback comincia una lunga sequenza che vede Carl perdersi nel deserto australiano, girato da Mulcahy come un incubo ad occhi aperti, con colori infernali e visioni allucinanti. Sequenza che ricorda quella finale di Long Weekend e l’intero Visitors.

Oltre a questo, Razorback è un film che ha vari motivi d’interesse. Ovviamente colpisce l’aspetto misterioso e terrificante, con alcune scene di sicuro impatto (l’attacco del razorback a Beth, per esempio).
Ma, al di là del puro intrattenimento, mette in luce un tema spesso presente nelle sceneggiature di Everett De Roche: la natura da una parte maltrattata e dall’altra ferocemente aggressiva.

Infine, a puro titolo di cronaca, va comunque citato il remake di Long Weekend (regia di Jamie Blanks), di cui nel 2008 De Roche ha scritto la sceneggiatura. Abbastanza simile all’originale ma realizzato in maniera dozzinale e senza riuscire a creare l’atmosfera del film di Colin Egglestone. Le poche variazioni (tra cui lo splatter finale) non aggiungono nulla di significativo.

 

Resto molto scettico circa i corsi di sceneggiatura. Non penso che possa essere qualcosa che si può imparare, al limite si può imparare a farlo meglio. Ma penso anche che o hai talento o non ce l’hai.
Everett De Roche

La straordinaria, fertile immaginazione di Everett e la sua velocità di scrittura.
Richard Franklin


Schede film

Patrick (id., Australia – 1978)
Regia: Richard Franklin; soggetto e sceneggiatura: Everett De Roche; musiche: Brian May; fotografia: Donald MacAlpine; montaggio: Edward McQueen-Mason; interpreti: Susan Penhaligon, Robert Helpmann, Robert Thompson, Rod Mullinar, Julia Blake, Helen Hemingway; produzione: William Fayman, Richard Franklin e Antony I. Ginnane per Filmways Australasia; Durata 110’

Long Weekend (id., Australia – 1978)
Regia: Colin Egglestone; sceneggiatura: Everett De Roche; musiche: Michael Carlos; fotografia: Vincent Monton; montaggio: Brian Kavanagh; interpreti: John Hargreaves, Briony Behets; produzione: Richard Brennan, C. Egglestone per Film Victoria e Australian Film Commission; durata: 88’

Roadgames (id., Australia – 1981)
Regia: Richard Franklin; soggetto: R. Franklin e Everett De Roche; sceneggiatura: E. De Roche; musiche: Brian May; fotografia: Vincent Monton; montaggio: Edward McQueen-Mason; interpreti: Stacy Keach, Jamie Lee Curtis, Marion Edward; produzione: Bernard Schwartz, Barbi Taylor e R. Franklin per Essaness Pictures e Quest Productions: durata: 100’

Razorback – Oltre l’urlo del demonio (Razorback, Australia – 1984)
Regia: Russell Mulcahy; sceneggiatura: Everett De Roche (dal romanzo omonimo di Peter Brennan); musiche: Iva Davies; fotografia: Dean Semler; montaggio: William M. Anderson; interpreti: Gregory Harrison, Judy Morris, Bill Kerr, Arkie Whiteley; produzione: Hal McElroy e Tim Sanders per UAA Films e McElroy & McElroy; durata: 94′

Link (id., Regno Unito – 1986)
Regia: Richard Franklin; soggetto: Everett De Roche, Lee Zlotoff e Tom Ackerman; sceneggiatura: Everett De Roche; musiche: Jerry Goldsmith; fotografia: Mike Molloy; montaggio: Andrew London; interpreti: Elisabeth Shue, Terence Stamp, Steven Pinner; produzione: Verity Lambert, Rick McCallum e R. Franklin per Thorn Emi Screen Entertainment Limited; durata: 103’

Incubo in alto mare (Visitors, Australia – 2003)
Regia: Richard Franklin; sceneggiatura: Everett De Roche; musiche: Nerida Tyson-Chew; fotografia: Ellery Ryan; montaggio: David Pulbrook; interpreti: Radha Mitchell, Susannah York, Ray Barrett, Domenic Purcell; produzione: Jennifer Hadden, R. Franklin per Bayside Pictures Production; durata: 90’

 

 

 

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