Nel giugno di 50 anni fa usciva nelle sale Il Mucchio Selvaggio, l’ultimo grande western classico, nonché il film con cui il (cattivo) maestro Sam Peckinpah si rimboccò le maniche e mise in riga tutti i registi di questo mondo su come si girano le scene d’azione.

 

 

Oggi, che si vocifera di un remake affidato a Mel Gibson, ripercorriamo la storia dell’originale e del suo regista

 

Come? Non avete mai sentito nominare Il Mucchio Selvaggio?!?

Beh, non mi stupisce. Cosa si può pretendere da una generazione che non ricorda nulla che sia stato girato prima di Matrix?

Se mai è esistito un regista fondamentale quanto dimenticato questi è Samuel David Peckinpah (1925-1984). E se mai un film si può definire “capolavoro” nel vero senso del termine (cioè di “lavoro a cui fare capo”, un modello con cui gli autori successivi devono per forza confrontarsi), quello è il suo Mucchio Selvaggio (The Wild Bunch, 1969).

 

il Mucchio Selvaggio

 

Fino a qualche tempo fa era introvabile, esaurito in videocassetta e trasmesso in tv sempre a notte fonda. Poi, nel 1989 uscì l’edizione “Director’s Cut”: le scene mai viste al cinema furono reintegrate. Quest’ultima versione è poi stata restaurata nel 1994 e distribuita in Vhs con le scene inedite sottotitolate in italiano.
Dalla primavera del 2006 è uscita in doppio Dvd e Blu-ray Warner Home Video completamente ridoppiata.

Attualmente il Blu-ray risulta esaurito, ma in compenso è disponibile una seconda edizione Dvd targata A&R Productions con il doppiaggio originale dell’epoca.

 

A partire da destra: Vhs, Dvd e Blu-Ray Warner, Dvd A&R

 

Siamo nel 1913. Dopo una sanguinosa rapina rivelatasi una trappola, una banda di fuorilegge capeggiata da Pike Bishop (William Holden) e dal suo braccio destro Dutch Engstrom (Ernest Borgnine) si rifugia in Messico inseguita dai cacciatori di taglie al soldo della compagnia ferroviaria, alla guida della quale c’è l’ex-membro del Mucchio Deke Thornton (Robert Ryan), passato dalla parte della legge solo per evitare le frustate della galera. Una volta in Messico, per una serie di circostanze, i banditi accettano di assaltare un carico d’armi per conto del sanguinario generale Mapachi (interpretato dal regista messicano Emilio Fernandez), che combatte i ribelli di Pancho Villa.

Il colpo riesce, ma il più giovane della banda, il messicano Angel (Jaime Sànchez), a cui Mapachi uccise il padre, dona una cassa di fucili ai ribelli e per questo viene torturato e sgozzato. Allora i suoi compari, stanchi e nauseati, lo vendicheranno nella più sanguinosa e apocalittica sparatoria del cinema di tutti i tempi, da cui non uscirà vivo nessuno.

 

Il Mucchio Selvaggio

 

Con questo film Peckinpah ha “ucciso” il western, mettendo a nudo elementi tabù nel cinema americano come il sangue e la crudeltà, e al tempo stesso l’ha resuscitato tracciando una strada di cui hanno fatto tesoro i registi successivi.

Nel film ci sono 3643 inquadrature (record imbattuto per un film a colori) in un montaggio frenetico che mescola accelerazioni, rallenti e flash quasi impercettibili a occhio nudo.
Tutti i registi action del nostro tempo, da John Woo (Face/Off, Mission: Impossible 2) a Walter Hill (48 Ore, Danko), da Kathryn Bigelow (Point Break) a Michael Mann (L’Ultimo dei Mohicani, Heat:la sfida) hanno elaborato la propria tecnica studiando, analizzando e omaggiando il capolavoro di Peckinpah.

 

 

Tuttavia il film, come il suo regista, è sempre stato piuttosto “boicottato” dalla memoria collettiva: molti dai trent’anni in giù non l’hanno mai sentito nominare.
Questo forse per le polemiche che suscitò a suo tempo: gli intellettuali di destra lo criticarono per il modo in cui dipinse i militari ottusi, e quelli di sinistra fecero altrettanto per il pessimismo di fondo nei confronti del progresso.
Eppure è questa l’essenza del cinema di Peckinpah: una riflessione sul conflitto tra il passato (con le sue colpe) e il progresso (con le sue vittime), tra l’ipocrisia del mondo (che chiama “progresso” gli interessi del potere di turno) e la morale individuale dei banditi (che si fanno scudo di donne e bambini senza troppi problemi, ma che sono anche pronti a morire per l’amicizia e la parola data), e più in generale sul rapporto tra l’uomo e la violenza che fa sembrare barzellette i film di Sergio Leone.

 

Il Mucchio Selvaggio

 

Insomma, nell’epoca della contestazione giovanile e dei grandi cambiamenti, Peckinpah è stato l’unico a sognare il ritorno a un cinema puro e primitivo. E ne ha pagato le conseguenze.
Non è diventato ricco come Steven Spielberg, né venerato come Sergio Leone. È morto nel 1984 a 59 anni, solo, povero e dimenticato. Abbandonandosi in extremis a droga e alcol per morire come uno di quei veri uomini di cui cantava le gesta.

Di lui ci rimangono i suoi film: oltre Il Mucchio Selvaggio, Sierra Charriba con Charlton Heston, Getaway con Steve McQueen, Cane di Paglia con Dustin Hoffman, e Pat Garrett e Billy the Kid con la colonna sonora di Bob Dylan (tra cui Knockin’on Heaven’s Door, rifatta anche dai Guns’N Roses).

 

 

Fino all’ultimo film, il thriller spionistico Osterman Week-end (1983), con Rutger Hauer. Il film era targato Peter Davis & William Panzer, di lì a poco produttori di Highlander, i quali nell’ingaggiare il regista lo descrissero nel modo più calzante: “Peckinpah, noi crediamo che lei sia un criminale. Ma è un criminale con un sacco di talento”.

E con i film di Peckinpah ci rimangono i suoi personaggi: cattivi e incattiviti dalla vita, perdenti fieri di essere in torto e lieti di andare incontro all’autodistruzione, eroi un po’ per caso, un po’ per tornaconto, e un po’… beh, un po’ perché il resto del mondo non era tanto migliore di loro.

 

“Let’s Go?”

“Why Not?”

 

 

3 pensiero su “UN REMAKE PER IL (DIMENTICATO) MUCCHIO SELVAGGIO?”
  1. la versione Blu-ray in italiano Director’s cut è disponibile su amazon tedesca per 8,84 euro, release del 2008; è una edizione multillingua, ma non saprei dire se ridoppiata, immagino di sì;

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