Durante la realizzazione della mia parodia di Tex appena pubblicata su Amazon ho avuto modo di rileggere alcuni vecchi episodi del ranger creato da Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini.



Piccola premessa: quando, più di vent’anni fa, mi sono trasferito dalla provincia di Milano tornando in Toscana (a Livorno, per l’esattezza), mi sono dovuto liberare di gran parte dei fumetti e libri che conservavo in cantina e in garage, visto che nell’appartamento che mi attendeva non avrei avuto né l’una né l’altro.
Ho così venduto alla Borsa del Fumetto di Nessim Vaturi o regalato ad amici intere collezioni: riviste “d’autore”, annate di Lanciostory e Skorpio e praticamente tutti gli albi bonelliani, con l’eccezione di quelli di Zagor, di Ken Parker, de La Storia del West di Gino D’Antonio e della collana Un uomo un’avventura.

Negli anni successivi però, avendo in testa il progetto più o meno vago di fare un giorno una parodia a strisce umoristiche di Tex, tra ristampe in albo e volumi “collaterali” mi sono riprocurato le storie che più si prestavano alla presa in giro, cioè quelle che vedono il capo dei navajo scontrarsi con Mefisto e poi con suo figlio Yama.


La rilettura, a distanza di tanti anni, ha evidenziato tutta una serie di “leggerezze” e veri e propri errori nella narrazione come nel disegno. Ne segnalo rapidamente qualcuno.

Per quello che attiene ai testi, per esempio il vecchio Gianluigi Bonelli prima mette in scena di fronte a Tex una “strumentazione” abbastanza complicata per far sì che Mefisto possa “trasmettersi” a grande distanza: una piattaforma di pietra nera sulla quale deve sdraiarsi un indiano Hualpai, posta davanti a un grande disco d’argento sostenuto da due grandi statue demoniache.
Un po’ di pagine più avanti, però, si scopre che tutto quell’ambaradan e soprattutto il tramite dell’indiano erano di fatto inutili, visto che al cattivone basta sollevare le braccia al cielo invocando i custodi del tempo e le stelle nere degli ultimi cieli per riuscire a trasmettersi in prima persona davanti al suo nemico.
Senza alcuna spiegazione, si passa… dalla trasmissione in studio a quella via satellite!


QUANDO TEX ERA TUTTO SBAGLIATO

Nella seconda parte della vicenda, Gianluigi Bonelli fa assumere a Mefisto l’identità di un curatore che battezza dottor Anatas, cioè Satana scritto al contrario. Ma siamo negli Stati Uniti, dove si parla inglese e il demonio viene chiamato Satan, senza la “a” finale dell’italiano.
Il medicastro si sarebbe dunque dovuto chiamare dottor Natas (che suonava pure meglio)… se non fosse che all’epoca noi ragazzi avevamo ben poca dimestichezza con la lingua d’oltreoceano e avremmo rischiato di non capire il gioco di parole. 

Il disegnatore di Tex, da parte sua, ci presenta il villaggio dei navajo costituito da un incongruo insieme di tende caratteristiche delle popolazioni nomadi delle praterie e dotato di un bel totem tipico delle tribù stanziate sul Pacifico, come i Nootka e i Tlingit.

QUANDO TEX ERA TUTTO SBAGLIATO


“Errori” del genere continuano anche nella successiva avventura con Yama, il figli di Mefisto, che si svolge tra i seminole della Florida. Qui Galep ha avuto l’accortezza di mettere capanne di tipo differente per diversificare la tribù da quella di Aquila della Notte, ma ha sbagliato di nuovo disegnando capanne di corteccia d’albero caratteristiche delle popolazioni del Nord Est, e per il resto (oltre all’immancabile totem) disegna i pellirosse con gli stessi abiti dei navajo e il loro stregone così simile a quello di questi ultimi che mi sono accorto di averli disegnati, nella mia versione umoristica, praticamente uguali.

QUANDO TEX ERA TUTTO SBAGLIATO

QUANDO TEX ERA TUTTO SBAGLIATO



Ben diversa l’attenzione per la documentazione di Sergio Toppi nel diciassettesimo volume di Un uomo un’avventura, “L’uomo delle paludi”, e di D’Antonio e Lucio Filippucci nel ventiduesimo Texone “Seminoles”, dove le capanne sono correttamente aperte col tetto di fogliame sostenuto da pali, i costumi quelli caratteristici delle popolazioni di quei climi caldi e piroghe di legno a differenza delle canoe disegnate da Galleppini.

QUANDO TEX ERA TUTTO SBAGLIATO


Chi ha letto fin qui si sarà fatto l’idea che si tratti di un post critico verso i due creatori di Tex. Tutto l’opposto!
La mia intenzione è invece quella di sottolineare come, pure con strafalcioni di racconto e grossi errori di documentazione, spiegabili con il fatto che all’epoca il concetto di West era molto vago e basato sui pochi film americani che arrivavano nei cinema e poi alla televisione, i due autori riuscissero a creare storie capaci di coinvolgere ed emozionare i giovani e meno giovani con personaggi di grande impatto e intrecci originali, ricchi e trascinanti narrati con ritmo travolgente… e chi se ne frega di tutti gli sbagli seminati strada facendo nel testo e nei disegni!

È ovvio che questo era possibile quando i lettori non avevano ancora accumulato una tale mole di nozioni e immagini forniti da mille storie lette e viste sui fumetti come sul piccolo e grande schermo che, oggi, non consentono più di passare sopra a questi errori, anche se l’attenzione ai dettagli rischia di far perdere quella beata e felice disposizione all’ascolto che tante piacevoli letture ci ha regalato in passato.

Si stava meglio quando si stava peggio?

4 pensiero su “QUANDO TEX ERA TUTTO SBAGLIATO”
  1. Ma certo, concordo su tutto. La “magia” di Gallepini e Bonelli si chiamava Avventura e le capacità di Raccontare Storie appassionanti e coinvolgenti senza necessariamente rigore storico o geografico. Poi cose sono cambiate, tutto è cambiato e anche Tex è cambiato, giustamente.
    D’altronde come si può pensare che un Navajos si potesse chiamare Tiger Jack, quando mai avevano visto una tigre i Navajos? Ma chissenefrega, è un nome figo e che funziona e Carson storicamente era un discreto figlio di puttana sterminatore di indiani, ma chissenefrega, il vecchio cammello ci piace così!

  2. Sì, sono assolutamente d’accordo con le conclusioni del post 🙂 e questo nonostante io, su Tex, abbia sempre preferito Nolitta e poi Nizzi e Boselli, ma è assolutamente vero che il fumetto deve prima di tutto far fantasticare… Su Tex in particolare tutti i tentativi di costruire una cronologia o di ricercare il realismo lasciano il tempo che trovano, anche se hanno fatto bene D’Antonio e Filippucci a curare meglio questi aspetti, in un Texone si può anche fare…👍
    PS…anch’io mi sono dovuto liberare di molti fumetti in passato, sebbene nel mio caso sia stata anche una sfortuna, dato che il garage dove avevo messo gli scatoloni si è allagato proprio a pochi giorni dal trasloco, con una certa quantità di fumetti (fra cui anche un po’ di Zagor) tutti bagnati e irrecuperabili…😞
    (le tante ristampe che proliferano oggi sono una fortuna, in un certo senso…)

  3. Decisamente si stava meglio quando non si pensava ai particolari e ci si concentrava solo sulla fantasia…

  4. Condivido al 100%. Questo intervento, scusatemi se divago un po’, mi ricorda da vicino le interminabili discussioni con amici cinefili amanti dei B-movie e dell’action che avevano da ridire se in un film d’arti marziali la disciplina utilizzata non era “realisticamente” praticata (ma che vuol dire? Nei film i combattimenti sono sempre “coreografati” come balletti, quindi l’obiezione è priva di senso); oppure quel fan americano che scriveva su un forum, a proposito mi pare di “Trappola in alto mare”, che i marines in realtà non usavano quel tipo di pistole e le mostrine erano sbagliate (al che io obiettavo con un bel “machisenefreganuncelometti?”, perché, sarò strano come fan del cimema action, ma a me di queste cose non me ne è mai importato nulla: ho sempre pensato che se il film, a tuo parere, funziona, ti emoziona, chi se ne frega di errorini o bloopers vari!). Dunque la medesima cosa che scrive qui Marcello in realazione a Tex (by the way: adoro la serie Tex-Mephisto, in particolare i fascicoli ‘Terrore sulla Savana’ e ‘Black Baron’!).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *