Io sono nata nel 1945 a Torino. Quando ero piccola la forma di spettacolo più diffusa era il cinema. Il mio cinema sotto casa era l’Arlecchino. Non era un cinema di prima visione.

Il cinema Arlecchino è chiuso dal 2015. Gli attuali proprietari avevano chiesto di poter trasformare una parte consistente della sua superficie in un centro commerciale, ma il comune di Torino non ha concesso la deroga per poter fare i lavori.

La mia famiglia era appassionata di cinema, soprattutto mio padre. Mi raccontava che la Fiat, dove aveva lavorato dal 1935 al 1945, dava ai dipendenti una tessera che permetteva di ottenere forti sconti. Così andava al cinema quasi tutte le sere.
Anche dopo il matrimonio (1938), lui e mia madre avevano l’abitudine di andarci. Dopo il 1945 mio padre e mia madre si trasferirono in Via Gioberti e aprirono un negozio di frutta e verdura. Anche se vivevamo in una zona semi centrale non eravamo una famiglia borghese.
Eravamo una famiglia modesta come la maggior parte dei nostri vicini di casa. Ci comportavamo come loro. Non erano ancora sorti i grandi complessi di case popolari o a riscatto nelle zone periferiche delle città o fuori città, nei paesi della cintura.

Vivevamo piuttosto ammassati nelle case di fine Ottocento o del periodo del fascismo, gomito a gomito con i professionisti e i borghesi che occupavano gli appartamenti più spaziosi e con i soffitti più alti.
La casa dove vivevano i miei prima della guerra era stata bombardata. Eravamo molto felici di essere vivi. L’avevamo scampata!

 

QUANDO SI ANDAVA AL CINEMA QUASI TUTTE LE SERE
“A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder (Usa, 1959). Fu proiettato in Italia nello stesso anno dell’uscita americana

 

I film debuttavano nella sale di prima visione del centro. Per arrivare alle sale di periferia o semi periferia ci mettevano anni, soprattutto se il film aveva avuto successo. Poi uscivano dal circuito.

Dopo qualche anno riapparivano nelle sale di periferia perché non venivano ancora trasmessi alla televisione. Ricordo ancora la mia emozione nel vedere A qualcuno piace caldo di Billy Wilder, dopo anni dalla prima programmazione.
Io non ero riuscita a vedere il film a suo tempo né in prima visione, né nelle sale più modeste. Intorno alla metà degli anni sessanta (forse in seguito alla tragica morte di Marilyn Monroe avvenuta nel 1962) fu programmato in una sala periferica di Torino, zona Madonna di Campagna.
Una mia amica mi invitò ad andarlo a vedere insieme a lei. Il film mi emozionò: la Monroe era in piena forma, assolutamente commovente, soprattutto considerando la sua tragica fine. Ma i tempi erano già cambiati. Ci si spostava di zona per andare a vedere un film…

QUANDO SI ANDAVA AL CINEMA QUASI TUTTE LE SERE
“Casablanca” di Michael Curtiz (Usa, 1942), proiettato in Italia il 21 novembre 1946

 

… mentre non succedeva fra il 1945 e il 1955. Noi andavamo solo al nostro cinema sotto casa. Non sapevamo neanche quale film proiettasse. Non conoscevamo l’orario di proiezione. Abbiamo cominciato a interessarci di queste cose quando siamo andati a vivere in periferia e soprattutto quando siamo andati a vivere fuori città.

Solo allora abbiamo cominciato a scegliere il film e quindi il cinema che lo proiettava. Questo succedeva perché a Torino le multisale sono sorte solo negli anni Novanta. Abbiamo cominciato a esigere che l’esperienza di andare al cinema fosse interessante, mentre in precedenza era usuale allo stesso modo in cui lo diventò in seguito guardare la televisione.

 

Dal cinema Imperiale all’Arlecchino

Il nostro cinema di zona era l’Arlecchino, in corso Sommelier 22. Era stato inaugurato nel 1923 con il nome di cinema Imperiale. Dopo la caduta del fascismo era stato ribattezzato.
A molti cinema italiani che avevano un nome che evocava i miti fascisti fu cambiato il nome dopo il 1945 per evitare imbarazzi.

 

Crescita del numero di spettatori

“Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica (Italia, 1948)

 

Dal 1945 al 1955 il numero di biglietti venduti nei cinema continuò a crescere. Nel 1955 furono venduti 819 milioni e mezzo circa di biglietti. La popolazione italiana era di circa 50 milioni di persone. In pratica furono staccati 16 biglietti a testa per ogni italiano all’anno.
Calcolando che i bambini non pagavano, ogni italiano andava al cinema circa due volte al mese.
Dopo il 1955 il numero dei biglietti staccati in un anno cominciò a diminuire, dapprima lentamente e poi sempre più velocemente.
Che cosa stava cambiando?

 

L’avvento della televisione

“Le miserie del signor Travet” (Italia, 1945)

 

I primi spettacoli televisivi messi in onda in Italia risalgono agli anni cinquanta. La prima trasmissione televisiva della Rai avvenne il 3 gennaio 1954, con il film “Le miserie del signor Travet” (1945) di Mario Soldati.

Tuttavia, solo con la trasmissione delle Olimpiadi di Roma nel 1960 la televisione cominciò a diventare un vero oggetto del desiderio e uno status symbol.
I televisori erano ancora rari e cari. Spesso i vicini di casa si radunavano per assistere agli spettacoli insieme.
Nel 1965, dieci anni dopo il picco di biglietti venduti, le perdite di biglietti del cinema erano del 20%, fino ad arrivare al 50% negli anni settanta.

 

Diminuzione degli spettatori negli Stati Uniti

Il fenomeno era già successo negli Stati Uniti, dove la televisione era arrivata prima.
Nel 1946 gli spettatori che frequentavano regolarmente il cinema erano 98 milioni. Nel 1957 si erano ridotti circa della metà, costringendo quattromila sale alla chiusura.

Non fu solo l’impatto della nascente televisione a mettere in crisi la frequentazione delle sale cinematografiche. Lo sappiamo per certo perché i ripetitori non coprivano tutto il territorio americano, in modo da rendere ovunque la televisione una concorrente per il cinema.

Una delle cause della diminuzione degli spettatori cinefili era la crescita delle “città satelliti” intorno alle metropoli americane. Diventava sempre più complicato per gli spettatori raggiungere il cinema che nella fase precedente era sotto casa, vicino all’abitazione cittadina.

 

Andare al cinema negli anni cinquanta

Mio padre si avviava per primo dicendo: “Ci ritroviamo davanti all’Arlecchino. Vado a comprare i biglietti”.

Usciva mentre mia madre spegneva le luci del negozio e si toglieva il grembiule.

Mia zia Francesca chiedeva: “Mangiamo qualcosa? Devo preparare?”.

Mia madre rispondeva: “Io berrei una tazza di latte”.

Anche la nonna voleva bere il latte. Diceva: “Sì, sì, anche per me. Metti la caffettiera sul fuoco così aggiungiamo il caffè al latte”.

Bevevamo il caffellatte in gran fretta e uscivamo dal retrobottega. Mia madre dava la mano a mio fratello, la nonna a me, e dietro chiudeva la fila mia zia Francesca.

Mio padre era sempre in anticipo: quando arrivavamo al cinema Arlecchino era già là ad aspettarci con i biglietti.
Mi prendeva in braccio ed entrava in sala. Non so se gli piacessero solamente i western o se quelli fossero i film che solitamente proiettavano in quella sala, ma io ricordo di aver visto soprattutto western.

Entravamo in sala che il film era già iniziato. Ci sedevamo nelle primissime file, quasi coricati, perché tutti gli altri posti erano occupati. Oppure ci sedevamo lateralmente sulle scale che salivano verso il fondo del locale. Durante la proiezione, se si liberava un posto, ci andavamo a sedere in poltrona. Eravamo al buio e vedevamo il fumo che saliva nel raggio azzurro del proiettore perché a quei tempi era ancora permesso fumare.

La sala rumoreggiava e gli spettatori andavano e venivano, gridavano e si sedevano per terra. Le sedie di legno scricchiolavano.

 

Gli inseguimenti erano attesi dagli spettatori, non erano pochi quelli che ritornavano a rivedere lo stesso film. Il pubblico partecipava con entusiasmo all’azione.

Io scivolavo tra il sedile e lo schienale di legno e mi inginocchiavo sui gusci di arachidi. Sbirciavo quello che succedeva sul telone. Avevo paura degli indiani che morivano con la faccia stravolta. Solo dopo molto tempo pensai che fossero attori e che non morissero davvero. In caso contrario come avrebbero potuto fare tanti film?

 

La bellissima Gilda

Nel video sopra: “Gilda” di Charles Vidor (Usa, 1946), proiettato in Italia dal 4 giugno 1948.

Una donna bellissima, Rita Hayworth. Cantava con una voce un po’ roca. Aveva le braccia coperte da lunghe maniche.
Io capivo solo le parole “Amado mio” e la canzone mi sembrava molto triste.

Ad assistere al film Gilda erano venute al cinema con noi le mie due nonne.
Mia nonna Caterina indicò l’attrice sullo schermo con un dito: “Tonietta, stai attenta a quello che ti dico: verrà un giorno che le donne si faranno un buco proprio lì davanti per mostrarla a tutti”.

Le mie nonne scoppiarono a ridere e continuarono fino a singhiozzare. Commentavano a voce alta ogni scena del film.
Io mi vergognavo, mio padre e mia zia Francesca ridevano e mia madre stava zitta.

Nell’intervallo tutti battevano i piedi per terra e tiravano le noccioline. Poi, quando la proiezione riprendeva, mio padre diceva: “Questa parte l’abbiamo già vista”.
Si alzava, mi prendeva in braccio e usciva dalla sala.

Io mi giravo verso la sala, scuotendo la testa: “Ma papà, gli altri restano. Mariuccia vede il film due o tre volte, la madre le porta da mangiare e stanno qui finché il cinema chiude. Perché non lo facciamo anche noi?”.

Facevo i capricci, ma mio padre era irremovibile.
“Domani devo alzarmi presto per andare ai mercati generali e tu devi andare a scuola”.

 

Vedere il film davanti

Di quell’apprendistato mi è rimasto il grande amore per il cinema, il piacere di vedere i film in sala possibilmente con altri. Ho anche l’abitudine di scegliere i primi posti, per mettermi quasi coricata come quando ero bambina.

Adesso frequento una multisala dotata di splendide poltrone avvolgenti. Mi mancano i commenti, le battute, le risate del pubblico, la gragnuola dei piedi che battono sul pavimento durante i momenti di suspense…

 

 

 

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