Il rosso è un colore che associamo facilmente a scenari macabri e ad atmosfere inquietanti. La presenza del sangue che schizza a fiotti da teste mozzate e corpi mutilati è una costante del cinema horror degli ultimi cinquant’anni. Basti pensare al celebre film Profondo Rosso, diretto da Dario Argento (4 mosche di velluto grigio, Suspiria) nel 1975.

Il titolo subì, nel corso della lavorazione, varie modifiche. Quello che precedette il definitivo, registrato regolarmente alla Siae, fu Chipsiomega: un titolo indubbiamente più criptico di La tigre con i denti sciabola, che avrebbe dovuto proporsi come conclusione ideale della trilogia degli animali.

È probabile che Argento abbia scelto Profondo Rosso perché più immediato e adatto a suggerire la natura particolarmente truculenta del film. In un articolo del 2 febbraio 2017, tuttavia, il giornalista Daniele Abbiati ipotizza che il titolo possa riferirsi alla presenza, in alcune scene del film, dei quadri dell’artista torinese Enrico Colombotto Rosso.

Intorno a  queste rappresentazioni pittoriche ruota il mistero chiave di Profondo Rosso. Qui, in un gioco di rimandi metafilmici, al mistero si aggancerebbe un altro mistero mai risolto in modo definitivo. Davide Pulici, vice-caporedattore della rivista di cinema Nocturno, prova a gettare luce sull’enigma dei quadri, soprattutto in relazione al loro reale esecutore.

Sebbene molti siti e articoli attribuiscano a Colombotto Rosso le opere che si trovano nel corridoio dell’appartamento della sensitiva Helga Ulmann nel film Profondo Rosso, in realtà saremmo di fronte a semplici copie. Il pittore che le eseguì, sostiene Pulici, fu tale Francesco Bartoli di Ceccano: tesi ormai acclarata e di cui si trovano ampie conferme anche in rete.

 

Colombotto Rosso e Profondo Rosso

Quel che pare più incerto fu il rapporto tra le sue rappresentazioni e la pittura di Colombotto Rosso, inizialmente chiamato a realizzare i soggetti tetri e deformi presenti nel film. L’artista, nato a Torino il 7 dicembre 1925 e morto a Casale Monferrato il 16 aprile 2013, fu un esponente di spicco del movimento Surfanta, nato nel 1964 e scioltosi nel 1972.

Fu un pittore autodidatta ed ebbe modo di conoscere e frequentare alcuni dei maggiori esponenti dell’arte del secondo Novecento. Conobbe Max Ernst e Jean Genet. Viaggiò in Europa e negli Stati Uniti. Grazie al sodalizio con Mario Tazzoli, banchiere e appassionato di pittura, aprì una piccola galleria d’arte in cui trattò opere di Bacon, Balthus, Giacometti, Klimt, Schiele e molti altri. Negli anni sessanta conobbe alcuni personaggi come John Huston, Anna Magnani e Federico Fellini.

Già in quegli anni il suo legame con il mondo del cinema e del teatro si andò progressivamente consolidando. Insieme ad altri esponenti del Surfanta, tra i quali ricordiamo il fondatore Lorenzo Alessandri e i pittori Abacuc (Silvano Gilardi), Lamberto Camerini, Giovanni Macciotta, Mario Molinari, Colombotto Rosso si ritrovava in un luogo denominato simbolicamente Soffitta macabra.

PROFONDO ROSSO E IL MISTERO DEL PITTORE TORINESE
Un quadro di Enrico Colombotto Rosso

 

I soggetti dei quadri dell’artista piemontese sono corpi deformi, volti scavati, riarsi ed emaciati. Figure spettrali, ossute, con le palpebre abbassate o i globi oculari oscuri. Capi fluttuanti, scheletrici e sagome cadaveriche. Possiedono l’eleganza dei fantasmi letterari e la leziosità decorativa del neoliberty. Spesso sono donne urlanti o volti composti nella morte. Figure in bilico tra l’al di là e l’incubo di un’angoscia tutta contemporanea.

 

Mistero irrisolto

Non stupisce, dunque, che Argento abbia scelto lui per realizzare i quadri che decorano la casa della sensitiva. Quadri che suggeriscono follia e allucinazione. Morte e presenze occulte. Non sappiamo come il regista fosse venuto a conoscenza dell’artista, ma è facile immaginarne le modalità considerando i rapporti di Colombotto Rosso con il mondo del cinema e del teatro di allora. Quello che è sicuro è che a un certo punto qualcosa nel rapporto tra il cineasta e il pittore non sia andato per il verso giusto.

Enrico Colombotto Rosso (Wikipedia)

 

L’accordo per l’utilizzo delle opere sul set, probabilmente dipinte apposta per il film, si ruppe e Argento chiamò il giovane Francesco Bartoli per realizzare delle copie dei quadri. O almeno si presume, dato che lo stile delle opere dell’artista di Ceccano era molto diverso da quello di Colombotto Rosso, del quale riconosciamo, osservando i soggetti all’interno del film, in modo chiaro l’impronta.

Pulici si chiede allora dove siano finiti gli originali dipinti dal piemontese. Colombotto Rosso non chiarì mai il mistero e la sua morte rende ancora più difficile la possibilità di far luce sull’intera faccenda. I parenti del pittore non hanno fornito finora delucidazioni.

In un articolo sul blog Il Divanotti, del 22 dicembre 2008, l’esperto di Profondo rosso Davide della Nina aggiunge però un particolare interessante. I familiari di Colombotto Rosso avrebbero dichiarato che nelle loro abitazioni ci siano molti quadri simili a quelli del film. Quest’asserzione avvalorerebbe per lo meno l’ipotesi che le opere presenti nel corridoio della sensitiva fossero delle copie…

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