Negli anni Ottanta a Hollywood sono stati realizzati numerosi film polizieschi e d’azione, quasi tutti di buon livello. Alcuni poi sono degli autentici capolavori.
In generale, si tratta di film più dinamici ed estetizzanti rispetto a quelli del decennio precedente. Inoltre, la componente psicologica, anche quando pare rilevante, finisce per ottenere l’effetto opposto: vedi la spersonalizzazione dei due agenti protagonisti di Vivere e morire a Los Angeles, di William Friedkin.
La contrapposizione tutore della legge/malvivente sembra nascere da una semplice relazione causa/effetto: “Tu sei il male, io sono la cura” dice Cobretti-Stallone al rapinatore in Cobra, di George Pan Cosmatos.

In certe pellicole è preponderante l’aspetto ludico, tanto che i personaggi sembrano ragazzini che giocano a guardie e ladri, come in Una perfetta coppia di svitati, di Peter Hyams.
La violenza, pur presente, perde d’intensità, il plot viene ridotto all’osso, il procedimento investigativo è molto lineare.
In sostanza, limitate al minimo le problematiche sociali e politiche (nonché, se vogliamo, la denuncia dei sistemi polizieschi), negli anni Ottanta vengono privilegiati il segno grafico dell’azione, la pura fascinazione visiva e una narrazione stringata.
Non solo. Vari titoli di questo periodo si caratterizzano per un tono da commedia mischiato alle caratteristiche proprie del genere.
In tutto ciò il film che fa da apripista è senza dubbio 48 ore (48 hrs.), diretto da Walter Hill nel 1982.

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Basta vedere un poliziesco-noir uscito solo pochi mesi prima, L’assoluzione (di Ulu Grosbard), per comprendere il mutamento che 48 ore opera sul genere.
L’ispettore Cates fa uscire di prigione Reggie, accusato di rapina a mano armata, per farsi aiutare a catturarne i complici. Ganz e Billy sono infatti fuggiti dal penitenziario e, dopo aver ucciso due colleghi di Cates, stanno per recuperare il denaro che hanno rubato a uno spacciatore.

Stringatezza, semplicità della vicenda, sequenze volutamente speculari (nei locali: il Torchy’s dei cowboys prima, lo U Roman’s dei neri poi) che sembrano rallentare l’azione (come il rapporto di Cates con la compagna).
La prima permette all’entertainer Eddie Murphy di prodursi in un mirabile one-man-show che è anche un omaggio-citazione (che l’anti-cinefilo Hill comunque non sottolinea affatto) al maestro Howard Hawks.
Nella seconda, ancora Murphy può dare finalmente libero sfogo ai suoi appetiti sessuali (è stato tre anni in galera) rimorchiando una ragazza. Anche se dovrà aspettare l’uccisione del cattivo per poter concludere.

Senza contare un ulteriore, apparente rallentamento quando Nolte e Murphy fanno a pugni. Scena che un regista per certi versi assimilabile a Walter Hill, vale a dire John Carpenter, riprenderà qualche anno dopo in un altro dei grandi film del decennio (Essi vivono), allungandola a dismisura.
Tutto quello che in altri polizieschi potrebbe essere visto come un difetto, compreso il ritratto di un agente duro e puro che non esita a sparare in fronte a Ganz, Hill riesce ad assemblarlo in un’opera di nitida compattezza narrativa e coerenza espressiva.
Ogni inquadratura è risolta alla perfezione, il teleobiettivo non è mai stato tanto preciso, i movimenti di macchina sono solo quelli necessari.
Per non parlare della rigorosa brillantezza dei dialoghi, che all’epoca batterono ogni record per il turpiloquio presente pressoché in ogni battuta.

Come detto, perfetta è la fusione tra i codici del poliziesco notturno e metropolitano (rappresentato da Nolte) e la luminosa, sboccata e irriverente vis comica (da Saturday Night Live) di Murphy.
Per il resto, 48 ore fila via tra le strade di San Francisco percorse a velocità sostenuta (la stessa che Hill imprime al racconto), luci al neon, ritrovi equivoci ma animati da bella musica e, naturalmente, un bel po’ di sparatorie. Non c’è altro eppure è sostanza cinematografica di qualità superiore.

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Gli ultimi anni del decennio dimostrano quanto sia stato influente 48 ore.
Almeno quattro titoli hanno dei punti in comune con il film di Walter Hill.
A cominciare ovviamente da Danko (Red Heat), con cui nel 1988 Walter Hill riprende l’idea base del suo capolavoro (poi nel 1990 darà un seguito a 48 ore con Ancora 48 ore, ma siamo già in un’altra epoca).
Lo scontro di caratteri e di culture in questo caso è rappresentato dall’ispettore sovietico Danko (Arnold Schwarzenegger) e dall’agente americano Art (Jim Belushi). Danko arriva negli Stati Uniti per prelevare il criminale Viktor Rosta, ma questi riesce a fuggire. Danko e Art allora si alleano per riuscire a catturarlo.

Non mancano elementi da commedia, assicurati dalla presenza di Jim Belushi (anche lui proveniente dal Saturday Night Live), ma a cui non si sottrae nemmeno Schwarzenegger.
Come in 48 ore, la contrapposizione tra i due (dovuta ai differenti metodi nello svolgere il proprio lavoro) si stempera fino a farli diventare amici.

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Nel 1988 esce un altro film di notevole caratura e che può essere accostato a 48 ore. Prima di mezzanotte (Midnight Run), di Martin Brest (già regista nel 1984 di un bellissimo poliziesco/commedia anch’esso derivativo anche solo per la presenza di Murphy, Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills), ha per protagonista un ex-poliziotto, Jack Walsh (Robert De Niro), che ora lavora come cacciatore di taglie. Jack è incaricato di rintracciare e riportare indietro Jonathan Mardukas (Charles Grodin), un ragioniere fuggito con quindici milioni di dollari sottratti al boss mafioso di cui era alle dipendenze.

Sulla scia dei film di Walter Hill, Prima di mezzanotte è costruito sulla contrapposizione caratteriale dei protagonisti, costretti a convivere in un lungo e pericoloso (sono braccati dagli sgherri del boss) viaggio attraverso gli Stati Uniti.
Brest dirige magnificamente una sceneggiatura ben calibrata, ma lo fa a modo suo, e rispetto a 48 ore la commedia finisce per prevalere. Oltre a un sottofondo malinconico/familiare che lo apparenta piuttosto a un’altra pregevole pellicola del 1988, Un biglietto in due, di John Hughes.


Ancora una coppia che le circostante uniscono è quella formata dal poliziotto newyorchese John McClane, in trasferta californiana, e l’agente di colore Al Powell (ma i due per gran parte del film comunicano soltanto attraverso la radiotrasmittente).
Al contrario di Prima di mezzanotte, in Trappola di cristallo (Die Hard), uscito sempre nel 1988, sparatorie, tensione e violenza trovano decisamente più spazio. Del resto in quel periodo il regista John McTiernan era davvero un maestro del cinema d’azione (Predator) e del thriller (Nomads).
Come in 48 ore (con cui Trappola di cristallo condivide uno degli sceneggiatori, Steven E. De Souza, e la coppia di produttori Lawrence Gordon e Joel Silver), non mancano i momenti ironici e i dialoghi spiritosi.
Tanto è vero che inizia e finisce come una commedia brillante.

Vero e proprio modello di film postmoderno, Trappola di cristallo anche nelle situazioni più cruente non è mai troppo serioso. Non a caso a interpretare McClane è Bruce Willis, che fino a quel momento era celebre soprattutto per aver recitato in Appuntamento al buio, di Blake Edwards, e nel telefilm giallo/sentimentale Moonlighting.

Altri film

Arma letale (Lethal Weapon, 1987) di Richard Donner
Fatal Beauty (id., 1987) di Tom Holland
La retata (Dragnet, 1987) di Tom Manckiewicz
Sorveglianza… speciale (Stakeout, 1987) di John Badham
Sbirri oltre la vita (Dead Heat, 1988) di Mark Goldblatt
Arma letale 2 (Lethal Weapon 2, 1989) di Richard Donner
Turner e il casinaro (Turner & Hooch, 1989) di Roger Spottiswoode
Un poliziotto a 4 zampe (K-9, 1989) di Rod Daniel
Tango & Cash (id., 1989) di Andrei Konchalovsky




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