I Romance Comics (“fumetti d’amore”) degli anni ‘50 riflettono una società piuttosto “patriarcale”, dove per esempio le donne in carriera esistono, ma spesso si rendono conto (sulla propria pelle) che la realizzazione nel lavoro è vana e la vera felicità per la donna risiede nell’essere moglie devota e madre di famiglia. Di regola, è la donna che si dimostra irresponsabile e immatura (spesso questo conduce una giovane moglie al tradimento ), che non accetta il carattere del suo partner, che si rivela arrivista e addirittura rovina altre persone per favorire la carriera del marito/fidanzato (fatto che regolarmente le si ritorce contro come un boomerang). Nella struttura standard del Romance la donna commette un grosso errore, poi si pente e infine rientra nei ranghi. Dopo il Comics Code, l’atmosfera di tragedia con punizione “biblica” e dantesca (donne che in conseguenza delle loro azioni perdono i figli, sono ripudiate dal marito, devono cambiare città o addirittura finiscono storpie o sfigurate) lascia il posto al cosiddetto “happy ending di cartapesta”, dove la donna fa atto di contrizione o qualcosa per rimediare al male commesso (per esempio, se ha rovinato qualcuno lavora duramente o vende la casa per ripianare il debito, ecc.) e nell’ultima vignetta la controparte maschile la “perdona” e la riammette nel suo universo-Eden come degna compagna. Alcuni di questi finali, forse studiati per compiacere il Comics Code più che le lettrici, sono talmente posticci da sembrare riscritti da qualche editor, che a volte sembra addirittura limitarsi a correggere il testo, con una inquietante sensazione di disparità fra il tono speranzoso dello scritto e la drammaticità dei disegni.

In questa non certo eccelsa storia pre-Code (pubblicata su “Love Confessions” [Quality] n. 6, nel’Agosto 1950), Helen Forbes è giudice in una lowly magistrates court, che se non ho capito male dovrebbe essere un tribunale il cui magistrato è atto a giudicare i reati minori. Si è laureata con il massimo dei voti, è diventata un brillante avvocato alla sbarra e dopo solo 5 anni ha l’onore di essere la più giovane donna magistrato in tutto il Paese. Non male, nel 1950. La circonda l’ammirazione della gente e soprattutto di Wade Robinson, l’assistente del Procuratore distrettuale, che non fa mistero di volerla sposare. Ma Helen, tutta presa dalla carriera, non può neanche pensare al matrimonio, specialmente col caro, rispettosissimo, vecchio, incolore Wade. La fame di Helen è tanta, solo che lei ancora non lo sa!

Tutto cambia il giorno in cui si trova a giudicare il delinquentello Charles “Chuck” Barnum per un caso di piccolo furto: un caso semplice, ma non per lei. Basta il sorriso di un guappo di cartone, oltretutto sfrontato e volgare, per farle perdere la tramontana e la capacità di “ragionare come un giudice”. Nonostante la valanga di prove a carico, l’affascinante farabuttello viene subito assolto. Immediatamente (in 9 pagine non si può perdere tempo) Barnum la va a trovare a casa, le salta addosso, e da lì si sviluppa, in poche vignette, una spirale di degradazione a cui Helen, ormai completamente irretita, non sa sottrarsi sebbene razionalmente capisca quanto siano moralmente sbagliate le sue azioni, e in ogni vignetta si prenda la briga di dichiararlo al lettore. Le maniere piacevolmente rudi e aggressive di Chuck ci fanno capire come la compassata Helen sia in realtà una di quelle ragazze che amano molto sentire, diciamo così, il bastone del capo.

Tutto finisce il giorno in cui Helen, in un sussulto di dignità (o forse solo perché ha compreso la vera ragione dell’ardore del guappo), si rifiuta di prestarsi come “alibi” per Chuck e i suoi amici, reduci da una rapina con tentato omicidio di un agente. Barnum chiede, anzi, ordina a Helen di giurare che tutta la banda ha passato la giornata a casa sua, a casa di un giudice. Il classico alibi di ferro, ma quando i detectives (accompagnati da Wade, cosa che come spettatore di “Law & Order” ritengo inverosimile da parte di un D.A. Assistant) bussano alla porta, Helen confessa tutto e viene ferita dal Boss di Barnum, Mr. LaRue.

La storia, già non condotta in modo spettacolare, si chiude nel peggiore dei modi, con l’happy ending: nessun dolore o conseguenza di tipo legale, nessuna “rottura” irrimediabile (solo quella del lettore, ma è un altro discorso), soltanto la consapevolezza che bisogna “stare al proprio posto”. Così Helen si “pente”, promette che si dimetterà da magistrato (non che sarà un magistrato migliore, badate bene) e accetterà l’amore di Wade e il suo ruolo di fedele compagna del maschio.

Storie come questa, che oggi francamente appaiono irritanti nel loro presupposto oltre che quasi ridicole nei dialoghi e nelle situazioni, servono essenzialmente ad illustrare un “comandamento” dei Romance Comics: nella terra della libertà, la donna può aspirare più o meno alle stesse possibilità di carriera dell’uomo, però è meglio che non lo faccia. Perché a differenza dell’uomo la donna non sempre ragiona con il cervello, bensì con qualcos’altro, che volendo essere buoni potremmo chiamare “il cuore”. Ecco perché la donna non è del tutto adatta a certi ruoli di grande responsabilità e (incidentalmente) di grande prestigio quali medico, capitano d’industria, giudice. Può ricoprirli, ma sono cose che l’uomo farà sempre meglio di lei.

E dove sta allora, il vero prestigio, la vera realizzazione di una creatura “umorale” come la donna? Ma nell’essere sposa fedele e madre amorosa, si è detto. E al limite, infermiera. Ci sono tonnellate di storie sulle buone infermiere. Ecco, direi che la donna può, nell’America dei Romance Comics anni ’50, ricoprire ogni ruolo purché subordinato alla controparte maschile. Infermiera ma non medico, hostess ma non pilota, insegnante ma non preside. Questo in linea di massima. Grazie al cielo vi sono delle notevoli eccezioni di cui questa storia, ahimè, non fa parte. Per adesso, però, è l’unica che ho visto con protagonista una donna giudice nell’esercizio della sua funzione.
I disegni, dignitosi ma non eccezionalmente espressivi, si devono probabilmente a Sid Greene. Inserisco come sempre il link alla versione originale.

Menzione d’onore per il losco capobanda, Mr. LaRue (un nome associato di solito a tipi equivoci, nei Romance), perché spara a Helen.

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2 pensiero su “NON PER SOLDI: “PITFALL OF KISSES””
  1. Non mi sembra malvagio, al netto dell’antiestetico risultato perché ho usato word 2010.
    Penso che 2 o 3 al mese potrei farli, almeno per ora…
    Non vi sarebbe possibile farmi firmare come JD LaRue?

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