Un e-book sta a un libro quanto un film porno in bassa risoluzione sta alla [propria] profumata fidanzata“, così scrivevo in un mio articolo su Giornale Pop dedicato al rapporto tra internet e cultura.
Avevo fatto affidamento su una certa evidenza di quella equazione, se non che qualche giorno fa una gentile lettrice mi ha scritto di non capire del tutto perché io abbia una così bassa considerazione degli e-book, e più concretamente di quei tablet dedicati che servono per leggerli.

Tralasciando micidiali banalità come il profumo della carta e il piacere di sfogliare le pagine, vi racconto oggi a grandi linee perché un libro cartaceo ben fatto sia un dispositivo molto più tecnologico, intelligente e comodo di un tablet, e del perché sia molto più adatto a trasmettere le informazioni contenute in un testo rispetto a un qualsiasi Kindle o Kobo.

 

1. La gabbia

Anche molti lettori accaniti non ci hanno mai fatto caso: il testo di un libro raramente è posizionato al centro del foglio, quasi sempre si trova collocato verso l’interno e verso l’alto della pagina. Per verificarlo è meglio che prendiate un volume non troppo recente, perché questa tecnologia visiva è in via di sparizione a causa del sempre più basso livello di preparazione di molti grafici attuali (per non parlare della progressiva tragica sparizione degli uffici tecnici). Questa posizione della gabbia, ovvero del contenitore virtuale del testo, serve a far sì che una volta raggiunta la fine della riga, l’occhio non caschi fuori dalla pagina, abbia cioè agio di restare all’interno del libro e spostarsi sulla riga inferiore.

La posizione decentrata non è predefinita in assoluto, varia a seconda della grandezza dei caratteri, dello spazio tra le righe (l’interlinea), del colore della carta, delle dimensioni della pagina, e tra altre cose anche a seconda del gusto di chi ha progettato il libro. Va sempre trovato un equlibrio, perché più la gabbia è all’interno della pagina più l’occhio è al sicuro a fine riga, ma rischia di affaticarsi per agganciare l’inizio riga che anche in dipendenza del tipo di rilegatura può finire con il trovarsi troppo vicino alla costa e quindi persino in ombra, se il libro è tenuto insieme da colla e non da una cucitura.

Qualcuno forse ricorderà che negli anni Sessanta e Settanta alcuni tascabili, soprattutto gialli, avevano il testo disposto su due colonne per pagina. Non si trattava di un vezzo. I libri polizieschi (che per snobismo culturale erano relegati alle edicole) erano spesso letti sui mezzi pubblici: sobbalzi, spintoni, curve strette, continue brusche fermate mettevano a dura prova l’occhio del lettore, il quale rischiava continuamente di perdere il segno. Ecco dunque quelle righe studiate apposta per restare sul pezzo anche in situazioni traballanti: uno stabilizzatore d’immagine ante litteram.

PERCHÉ UN E-BOOK NON È UN LIBRO (E ROVINA LA LETTURA)

 

2. La copertina

Sulle copertine dei libri sono state scritte montagne di saggi il cui succo è, guarda un po’, che la copertina deve riassumere, dare un’idea del contenuto del relativo libro, o darne almeno il senso. Quando le copertine sono pensate da menti brillanti, le variazioni possono essere infinite e molto sottili.

Prendiamo, per esempio, la copertina di questo libro di Françoise Sagan pubblicato da Garzanti nel 1974. Un certo sorriso, si intitola, il che non dice nulla. Il sottotitolo va più nei dettagli: “Un incantevole ritratto di donna, un sommesso e patetico racconto d’amore”. Che a ben vedere non aggiunge granché. Poi l’immagine, un bel ritratto femminile di Ugo Mulas.

PERCHÉ UN E-BOOK NON È UN LIBRO (E ROVINA LA LETTURA)
Tutto sommato, immagine, titolo e sottotitolo non hanno niente in comune tra loro e neppure descrivono minimamente la trama del breve romanzo, ma il grafico di allora è riuscito a creare una sorta di cocktail semantico, a comunicare cioè un inespresso significato mischiando abilmente i tre elementi, tanto che la bocca della donna pare accennare a un sorriso, il che non è: ruotate di 90 gradi a sinistra l’immagine e vedrete che la ragazza non sorride. Il risultato è che pur senza aver ancora saputo niente di niente della trama, il lettore è comunque inconsapevolmente entrato nell’atmosfera del romanzo.
Questa è una bella copertina, perché non solo racconta senza raccontare, ma dà anche la netta sensazione di essere parte integrante del libro, che alla fin fine non potrebbe avere altro volto che quello. Eppure la Sagan non c’entra niente. Noterete anche che il titolo  è tutto in minuscolo, se avesse la U di Un maiuscola , il nome Sagan non funzionerebbe più in quella posizione, ovvero  con l’ordine autore-titolo invertito: l’omissione della maiuscola, i due riquadri arancione e il nome dell’autrice fuori dei riquadri e spostato a sinistra  (con l’omissione del nome Françoise)  creano movimento  e accentuano il dialogo  fra i tre elementi prima citati.

Certo i tempi sono cambiati, adesso le copertine predilette dai promotori librari sono queste, altro che sottigliezze grafiche. E il contenuto? Boh.sdraiami

Ora, se è vero che la copertina dovrebbe avere un qualche rapporto con il contenuto, anche in modo estremamente obliquo, è però più importante che ne rappresenti il volto: nella vita quotidiana, il volto di un individuo e la sua personalità (il suo contenuto) diventano un tutt’uno, e spesso giudichiamo qualcuno dalla sua faccia, altrettanto spesso cogliendo nel segno ancor prima di aver scambiato due parole con quella persona (o letto due righe di un certo libro). Nel caso di Sdraiami, il volto cartaceo collassa su quello similporno per vendere qualche copia in più a quegli stessi intellettualini che nel 1976 compravano Porci con le ali. Non esattamente una prova di eleganza, ma so che il libro ha venduto parecchio, ed è quindi una copertina azzeccata, per quel pubblico. Qualcosa di analogo fanno oggi alcune case discografiche, che sulla copertina del Cd mettono la foto di una bella figliola, anche se poi si tratta di un concerto per pianoforte e orchestra. “L’Espresso” ha fatto scuola, con un po’ di ritardo.

Questa del volto è una ipotesi che trova sostegno in secoli e secoli di copertine senza immagini ed eppure dotate di forte identità. Ormai non si dà più molta importanza al puro segno grafico, tutto deve essere illustrato e persino in rilievo, eppure il semplice variare di autore e titolo, con la costante del nome dell’editore, è sufficiente a fare percepire la differenza profonda tra un libro e un altro. Colore della carta, scelta del font e della struttura di una copertina possono amplificare di molto la potenza di una manciata di caratteri. Nei loro primi anni, i libri della bella collana Bur, Biblioteca Universale Rizzoli, erano tutti uguali esternamente, eppure bastavano pochi caratteri diversi, autore e titolo, per definire percezioni del contenuto del tutto differenti da un volume all’altro. Questa la potenza del volto di un libro.

Su un tablet, una volta superata la pagina di copertina (che poi copertina non è, al massimo l’imitazione di un frontespizio), quella pagina è persa, non c’è più, e se la si richiama scompare a sua volta il libro. Una tecnologia ben misera.

 

3. L’infinita varietà della carta dei libri

Con l’eccezione dei volumi illustrati, le pagine dei libri non sono bianche. Solo alcuni libri on demand o pubblicati da editori frettolosi o poco competenti sono stampati su semplici fogli bianchissimi e lisci come quelli delle fotocopiatrici.
Le pagine dei libri fatti bene hanno un colore che tende a un leggerissimo color caffelatte annacquato che in più si scurisce con l’invecchiamento della carta (a meno che questa non sia di qualità eccezionale) e la scelta del punto di colore dipende dal progetto grafico nel suo insieme. Se una pagina contiene molte righe in corpo piccolo, la carta scelta sarà decisamente meno bianca di quella di un libro di poesie: la pagina affollata di caratteri, come quella di un romanzo americano, richiede una particolare attenzione visiva da parte del lettore e il contrasto generale va abbassato per evitare che dopo un po’ l’occhio affaticato percepisca solo ghirigori neri contro uno sfondo diventato abbacinante. Viceversa, i testi di poche righe in corpo grande (poesie, aforismi, barzellette) navigano in pagine semivuote che debbono apparire candide (non bianche!) per non comunicare una sensazione di sporcizia e sciatteria, che sarebbe in contrasto con i nitidi e lapidari concetti espressi dal poeta.

Con i libri illustrati si deve per forza ricorrere al bianco puro, soprattutto se le immagini sono a colori. Tuttavia il bianco dei libri con figure non è lo stesso dei fogli da stampante: i fogli sono trattati in modo tale da presentare una certa luminosità che permetta alle immagini di risaltare come se fossero stampate su carta fotografica o quasi. La carta si chiama allora patinata o semipatinata. Se le immagini sono raggruppabili in una parte del volume, conviene stamparle in un gruppo di pagine patinate inserite tra fogli di carta comune su cui scorre il testo. Lèggere lunghe pagine di testo su carta patinata è faticoso, in più la carta trattata costa parecchio.

Il tono di colore delle pagine si intreccia con il loro spessore. Guardate sulla confezione della carta da stampanti, c’è scritto 80 grammi, a volte 75: è il peso di un metro quadro di quella carta. Maggiore il peso, maggiore lo spessore. Per raffronto, i fogli di giornale hanno una grammatura attorno ai 30 grammi, per le copertine si va dai 200 in su.

La scelta dello spessore della carta varia secondo alcuni parametri intuibili: se il libro ha poche pagine si sceglierà una carta più spessa per non trasformarlo in un opuscolo, viceversa la Bibbia è stampata su carta sottilissima, altrimenti bisognerebbe portarsela in giro con un carrello. Ma questa è mezza verità. Perché lo spessore della carta dipende anche dalla sua lavorazione. Un foglio da 80 grammi può essere lavorato, in un certo senso gonfiato, perché risulti spesso anche tre volte tanto il solito foglio da stampante, il che non solo comporta un vantaggio economico, ovvero si ha un libro corposo usando una carta leggera, ma implica anche una sensazione diversa al tatto. La carta ispessita è più gradevole (e fragile) sulle dita, tuttavia essendo anche più ruvida può ridurre la qualità di stampa, in quanto l’inchiostro trova una superficie leggermente irregolare su cui posarsi, un problema che si può in parte risolvere con una scelta accorta dei caratteri tipografici, o font.

 

4. I caratteri (font)

In internet si trovano da scaricare centinaia di migliaia di font, perlopiù gratuiti. Con software di facile reperibilità non è difficile disegnare e produrre un carattere, si può partire da zero oppure scannerare e digitalizzare caratteri esistenti da usare così come sono o da elaborare. Ma alla fin fine, la maggior parte dei font usati nei libri sono stati creati parecchi secoli fa da alcuni brillanti tipografi. Sono poi stati modificati più e più volte, restando però concettualmente fedeli al loro modello originale: quando usiamo un carattere Bodoni, usiamo sostanzialmente lo stesso carattere concepito nella seconda metà del Settecento dal tipografo Giovanni Battista Bodoni.

Quella dei caratteri è una tecnologia sofisticata, ma da troppo tempo ormai i grafici della mutua tendono a usare caratteri graziosi quanto illeggibili (quelli a bastone, o senza grazie), mostrando poco o nessun interesse per il lettore. Disinteresse particolarmente ostentato in certe riviste con pagine stampate persino in nero su fondo viola e ovviamente usando caratteri a bastone, una faccenda cui avevo già accennato in questo mio articolo.


Il font in alto è un Plantin, usato nei paperback americani per la sua grande leggibilità anche con corpi minuscoli; quello sotto è un font a bastone simile all’Arial e fa venire il mal di testa dopo poche righe, ciononostante i grafici che cercano la graziosità del testo piuttosto che la sua leggibilità lo propinano da decenni in riviste e libri. Io un libro composto con un carattere così non lo compro, foss’anche un capolavoro letterario.


I caratteri non sono da scegliere in base alla loro eleganza immediata, ma in base alla leggibilità e con riferimento al contesto in cui saranno usati. E per meglio illustrare la faccenda vi racconto un fatto personale.

Quando anni fa progettai una collana di tascabili economici, libri da treno per intenderci (che spesso sono libri magnifici, vedi in Italia gli Oscar o gli Urania Mondadori), la carta aveva già raggiunto prezzi astronomici e mi ero posto il problema di come stampare in fortissima economia senza sacrificare troppo la facilità di lettura. Frugai tra i tascabili italiani, ma i miei libri erano più piccoli di quelli in circolazione e non trovai ispirazioni. Guardai allora all’immenso mercato dei paperback americani, dal prezzo irrisorio, stampati su carta mediocre ed eppure molto leggibili, e vidi che il font usato era quasi sempre una variante di Plantin, dal nome del suo creatore, un tipografo attivo ad Anversa nella metà del Cinquecento. Feci molte prove comparative usando carte diverse e un gran numero di font di varia foggia, e in effetti il Plantin era quello che meglio reggeva agli strapazzamenti di stampa e risultava più nitido anche nelle peggiori condizioni di luce (ché alla fioca luce di un autobus serale, non è così facile leggere). Ovviamente lo scelsi, in una versione professionale a pagamento. Ogni tanto do un’occhiata ai libri pubblicati dai tanti giovani editori che freschi freschi affermano di voler fare editoria di qualità, come se fino a ieri fosse stata pubblicata solo fuffa, e troppo spesso vedo che sono stampati malissimo e soprattutto con font poco leggibili, e non solo sul tram, ma anche sul divano.

Sui font si potrebbe parlare per migliaia di pagine, e di fatto se ne è parlato in volumi e volumi, basti qui ora sapere che non solo a seconda del carattere usato cambia il grado di leggibilità, ma si modifica anche la percezione del testo. È una tecnologia con ampi spazi di manovra che può anche spiegare perché rileggendo un libro che anni prima (in altra edizione) non era piaciuto, improvvisamente appaia proprio intrigante: merito della stampa più in sintonia con il testo o con il lettore.

Anche con i pochi elementi che vi ho presentato finora dovrebbe essere chiaro che un libro non è un oggetto così banale e passivo, e così facilmente sostituibile da un tablet seppure a inchiostro elettronico. Il libro è un sofisticatissimo dispositivo tecnologico con parecchi parametri da ottimizzare (diciamo una cinquantina) al fine di trasmettere in modo efficace e comodo un testo scritto. Un e-book è una pozzanghera di testo.

Volendo approfondire c’è da perdersi. Vi siete mai domandati perché all’inizio di certi romanzi e in quasi tutti i testi teatrali siano presentati i personaggi? Un’usanza? Mannò, quando i personaggi sono tanti oppure l’intreccio è particolarmente complesso, il fatto di poter accedere in una frazione di secondo all’elenco dei protagonisti e al loro ruolo nel libro permette di far mente locale sugli accadimenti, ché non è detto che uno si ricordi chi è quel tizio comparso fugacemente cento pagine prima. Accedere alla pagina con l’elenco dei personaggi è un attimo, farlo con un tablet una menata.

 

5. Le note al testo

Sono una faccenda che crea non pochi grattacapi anche ai migliori redattori. A volte sono solo di riferimento bibliografico e quindi se ne vadano pure in fondo al volume, ma altre volte contengono elementi del tutto funzionali seppure subalterni al testo principale. Sono delle subroutine. Come sistemarle graficamente sulla pagina, come ottimizzarle chiedendo all’autore tagli o riformulazioni, come fare in modo che il salto dal testo principale al testo in nota sia il più indolore possibile sono complesse questioni di tecnologia libraria. Negli e-book si preme un link di ipertesto e si salta alla pagina di nota, ma come già visto per la copertina, per leggere la nota si deve abbandonare il libro in sé, e qualsiasi raffronto tra testo e approfondimento in nota diventa un fastidio che porta all’abbandono del secondo.

Negli e-book non esistono (quasi) divisioni sillabiche. Il testo è steso riga per riga, come viene, viene. Le righe sono talora larghe (cioè con le parole molto distanti una dall’altra), ora strette (viceversa). L’effetto è attenuato dal fatto che le righe sono cortissime. Tuttavia è come ascoltare musica con il ritmo che cambia in continuazione, mentre invece la lettura dovrebbe essere una attività di cui ci si scorda mentre si legge. Chi non è del giro non lo sa, ma per secoli decine di migliaia di tipografi, correttori di bozze e redattori si sono dannati l’anima per fornire al lettore righe equilibrate, con parole equidistanti tra loro, o per evitare che parole che nel testo si ripetono a breve distanza si trovino proprio una sopra l’altra in due righe consecutive, o per evitare che una riga con un punto a capo sia troppo corta: uno sta leggendo a velocità di crociera e senza preavviso di trova di fronte una riga semivuota.

E a proposito di a capo, se prendete il solito volume pubblicato qualche anno fa non troverete mai nessuna prima riga di una pagina con un a capo, non troverete mai quello che si chiama  righino in testa. È un’antica regola tipografica evitare che il lettore ponga l’occhio su una pagina nuova, soprattutto se dispari (cioè quella di destra) e subisca il disorientamento provocato da una riga che contiene magari solo tre o quattro parole e poi il bianco dell’a capo. A volte non è così facile evitare il righino in testa e da secoli i tipografi devono trovare soluzioni invisibili al lettore per evitarlo. Con un e-book il problema non si pone perché le pagine non esistono o se esistono vengono rimodulate alla bisogna senza avere un contesto (il libro) di cui tener conto; una soluzione certamente pratica, ma mediocre rispetto all’eleganza di una buona stampa tipografica. Non esiste neanche il problema delle pagine bianche in fondo ai volumi: per un fatto tecnico le pagine di un libro devono essere un numero preciso, 96, 112, 128 eccetera, dipende anche dal formato del libro. Sta alla bravura del compositore sistemare il testo perché ci stia giusto giusto in quelle, poniamo, 128 pagine lasciandone solo una o due bianche in fondo al volume; ma se il tipografo ha fretta e mette insieme il libro occupando 97 pagine? Quando la carta costava poco e la stampa a piombo non consentiva calcoli di progetto troppo precisi se non impegnando molte ore di lavoro, alcuni editori non ci facevano caso, semplicemente aggiungevano fuffa alla fine del volume come l’elenco delle ultime novità di quella collana, ma c’era anche chi si sbizzarriva intestando “Appunti” i fogli bianchi in sovrappiù. Adesso la carta costa parecchio e non si può buttar via così, e la fotocomposizione aiuta a far tornare i conti delle pagine. Questa è una faccenda che non ha relazione con gli e-book, ma è utile a comprendere come fare un libro non sia una operazione così banale e eseguibile senza competenza e esperienza.

Potrei proseguire quasi all’infinito, ma mi fermo qui, anche se avrei una gran voglia di parlarvi dell’importanza del posizionamento del numero di pagina, o dell’integrazione del codice a barre nella geografia grafica della IV di copertina, o della dimensione ottimale dei risvolti delle copertine e quando convenga metterli o non metterli.

Un libro non è un romantico oggetto astratto da mostrare dicendo “a me piace molto leggere”, come fanno troppi sedicenti bibliofili che guardano con disprezzo di principio agli e-book. Un libro è un dispositivo di altissima tecnologia sviluppata nel corso dei secoli, da ancor prima di Gutenberg. Un e-book, pur utilissimo in alcune situazioni, non ha proprio niente in comune con un libro cartaceo fatto bene. E poi, un libro non ha bisogno di batterie per funzionare o di internet per essere riempito di testo, è pronto all’uso non appena fabbricato. Se cade per terra non si rompe, se stampato su carta decente dura secoli: quanti anni dura un tablet? Appartiene a chi lo possiede, mentre (come accade per i file mp3 comprati) i testi degli e-book sono solo concessi in licenza, non sono vostri, avete solo il diritto di leggerli su un determinato numero di dispositivi autorizzati, e non è da escludere che per una miriade di motivi a un certo punto qualcuno non decida che non ne avete più il diritto e lo faccia sparire da quei dispositivi: pensate che comodità per i regimi totalitari o per hacker burloni. Si possono copiare illegalmente togliendo la protezione, ma in questo modo si compie un reato, benché piccolo. Un libro lo posso dare a chi mi pare e nessuno verifica a quante e quali persone l’ho prestato nel corso del tempo, e tanto meno google o Amazon prendono nota dei vostri gusti, magari politicamente scorretti.

Ho qui parlato solo degli autentici libri elettronici, cioè testi puri che un dispositivo dedicato (cioè non un tablet o un pc) ricompone in pagine. Con gli e-reader si possono di solito visualizzare anche testi in pdf di libri stampati in origine su carta e che dunque seguono alcune delle principali regole tipografiche. Ho provato qualche volta a leggere un libro in pdf, ma ho trovato la cosa faticosissima, se non altro perché il pdf non è stato pensato per essere compresso in una tavoletta di pochi centimetri di lato. Se viceversa si cerca di leggere un e-book su un tablet tradizionale se ne ricavano velocemente problemi agli occhi: un tablet vi spara la propria luce addosso, se non altro gli e-reader usano la luce ambientale riflessa, come i libri.

Morale della favola. Leggete come vi pare, però tenete conto che un libro elettronico è un oggetto che a dispetto dei suoi miliardi di transistor è in ritardo di millenni rispetto a un libro, e che questo fatto si riflette sulla qualità della lettura. E poi sì, i libri sono in effetti molto più belli, anche quelli comprati d’impulso e che resteranno per sempre non letti sullo scaffale.

Guardando una fidanzata amata e profumata si ha spesso l’improvvisa certezza che la vita vale davvero la pena di essere vissuta. Certi libri, a volte, accennano alla stessa certezza.

 

(Copyright © 2021 Andrea Antonini, Berlino)

 

 

2 pensiero su “PERCHÉ UN E-BOOK NON È UN LIBRO”
  1. Cito Umberto Eco nel dire che il libro, così come la ruota, è un oggetto perfetto e non perfettibile. Per questo non sperate mai di liberarvi di lui. Esiste da sempre ed esisterà per sempre.

  2. Di recente, dopo tanti anni. mi è tornata voglia di leggere libri cartacei… mi sono anche montato una libreria girevole in soggiorno così posso andare riempiendola con i nuovi libri che acquisterò… 🙂

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