Ogni giorno due edicole cessano l’attività. Non va molto meglio alle librerie. La legge recentemente approvata in Senato prova a mettere dei paletti per limitare, sia in libreria che online, gli sconti selvaggi che hanno strangolato più d’un punto vendita. Ma tra deroghe che consentono agli editori di praticare gli sconti fino al 20% per un mese all’anno (escluso dicembre) e ai punti vendita di farlo anch’essi una volta ogni dodici mesi (con l’esclusione dei libri “freschi di stampa” usciti negli ultimi sei mesi), sembra che le scappatoie per perseverare nelle cattive abitudini non mancheranno. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini afferma che si tratta solo dell’inizio di un discorso più articolato, e aggiunge: “Credo che il passo successivo sia quello di lavorare in Parlamento, spero con una condivisione larga come su questo provvedimento, su una legge che riguardi l’intera filiera dell’editoria e sul modello del cinema aiuti tutti coloro che aiutano a produrre, scrivere e vendere libri nel nostro Paese”.

Se editori e librai si sono subito dimostrati su posizioni opposte per quello che riguarda la nuova legge, generalmente contrari i primi e favorevoli i secondi, tra gli autori permane l’insoddisfazione perché il provvedimento non tocca in nessun modo quella che è la tradizionale ripartizione degli introiti del settore che, così com’è, rischia di strangolare proprio chi i libri, d’ogni genere, li fa nascere. Come argomenta Stéphane Beaujean, direttore artistico del Festival di Angoulême in una intervista a Franceinfo di cui trovate qui la traduzione, “Bisognerebbe fare una riflessione sulla catena del libro. Se si guarda la ripartizione nella catena del libro nel secolo trascorso, si nota che la parte di ridistribuzione attribuita alle diverse maglie è evoluta nel corso del tempo. Una volta stampare un libro costava caro, oggi costa molto meno; prima bisognava stampare 30mila copie per avere un guadagno, oggi spesso basta stamparne tremila; le librerie prendevano una certa percentuale, come i distributori… editore, stampatore, distributore, libreria… la percentuale di ognuno variava in funzione dei cambiamenti dell’industria. L’unica percentuale che non è mai cambiata è quella del diritto d’autore. Bisogna fare uno studio, su questo fenomeno”.

Nel mondo del fumetto, particolarmente colpito dai cambiamenti in atto che stanno spostando la produzione dalla quasi totalità di collaborazioni a prodotti seriali da edicola (che garantivano agli autori una sorta di “stipendio fisso”) a quelle legate all’editoria libraria basata sul diritto d’autore, l’agitazione è pari alla sofferenza. Come ha dichiarato Yves Schlirf, direttore generale aggiunto della Dargaud Benelux: “Il fumetto non è un mestiere in sé. Lo diventa quando si vende”. E, con una ripartizione come quella evidenziata nello schema qui sotto, per gli autori si prospettano tempi grami.

GLI AUTORI DOVREBBERO AVERE UNA PERCENTUALE PIÙ ALTA?

Tra gli autori c’è chi chiede che nella ripartizione degli introiti si corregga anche la percentuale di chi crea l’opera, senza la quale tutto il resto della filiera non avrebbe modo di esistere. A cominciare dal bonelliano (e non solo) Gigi Simeoni: “Bisognerebbe confrontare i guadagni, non i ricavi, per capire meglio. Ma è lampante che un vergognoso squilibrio c’è, eccome se c’è. Tra tutte le figure professionali coinvolte l’autore è quello che in assoluto guadagna meno”. E chiede una decisa correzione di rotta che riconosca all’autore “minimo il 20% del prezzo di copertina. Minimo. E indipendentemente dalle svendite promozionali. 20% di ciò che è stampato sulla copertina”.

 

Ma chi, tra gli altri componenti della filiera, dovrebbe rinunciare a una parte dei guadagni a favore di chi scrive e disegna? “Distributore, editore e libraio”, risponde Luca Erbetta. “E spiego anche come: un libro è venduto a 12 euro. Il libraio ci guadagna, il distributore ci guadagna, l’editore ci guadagna. Lo stesso identico libro viene venduto a 13 Euro. Quell’euro in più va all’autore”. Ma il problema è, ovviamente, un po’ più complicato, e tocca altri elementi del comparto. A cominciare dalla distribuzione. A questo proposito, è ancora Erbetta a parlare: “Quello è il problema più grosso. La distribuzione dovrebbe essere un costo fisso, come la stampa, e non a percentuale. Perché il lavoro del distributore è basato su pesi e volumi, e non sul valore degli oggetti”.

 

In un mondo profondamente cambiato che vede le vendite online acquistare sempre più peso, anche le abitudini d’acquisto sono modificate. Il cliente non si aspetta più di pagare per un libro (o qualsiasi altro oggetto) solo il “prezzo di copertina”, ma accetta di farsi carico del costo di spedizione. Anche nella distribuzione da edicola e libreria si dovrebbe scorporare il costo organizzativo dell’Amazon di turno da quello della nuda spedizione (che resterebbe pure, e giustamente, fuori dai conteggi fiscali)?

 

Gli autori cominceranno a parlare di questi temi al Primo Incontro di Professione Fumettista (non è un’associazione, solo un “libero spazio” di dibattito in rete e fuori da essa) che si terrà il 28 marzo dalle 17.00 alle 19.00 presso Lucca Collezionando. Il cammino è appena iniziato, ma bisognerà procedere speditamente se si vuole cambiare qualcosa prima che la bufera che sta investendo il settore si scateni con tutta la sua forza.

 

 

4 pensiero su “GLI AUTORI DOVREBBERO AVERE UNA PERCENTUALE PIÙ ALTA?”
  1. Ottimo articolo, vorrei solo far notare che Amazon riconosce all’autore il 60% del prezzo di copertina per il cartaceo e il 75% per l’eBook, in più, recentemente ha varato un programma rivolto alle librerie (Kindle business) con il quale garantisce il reso gratuito e lo sconto del 35% come qualsiasi altro editore tradizionale. L’editoria tradizionale dovrà adeguarsi se non vuole perdere tutti gli autori (ci sono già casi di illustri autori che sono passati ad Amazon, è inevitabile). Non è più giustificabile riconoscere percentuali infime all’autore, in quanto i costi di stampa e di magazzino sono diventati molto più bassi. Amazon è criticabile perché elude il fisco in mezzo mondo, ma come editore, attualmente è il migliore, purtroppo.

  2. Vero. Anche se, forse, le cifre sono minori perché al netto delle spese di stampa, se non ricordo male (ho dato un’occhiata qualche mese fa perché ho anch’io intenzione di sperimentare questo canale editoriale, prima o poi) . E bisogna anche considerare che Amazon non fa nessun lavoro di editing. In ogni caso, sì, sono cifre assolutamente concorrenziali con l’8% dell’editoria tradizionale. E c’è di più: essendo produzione sua, Amazon ha interesse a promozionarla sui suoi canali, a differenza di tutto il resto dei libri che annega in un oceano di proposte indistinte.

    1. Le spese di stampa sono comprese nel 40% che si tiene Amazon (la percentuale cambia se si abbassa il prezzo di copertina proprio per questo: il costo industriale, per esempio di un libro di 135 pagine, è di € 2,00 circa, se lo metto in vendita a un prezzo più basso di € 9,99, la percentuale per l’autore scende al 40%). E’ vero che non fanno l’editing, ma il costo dell’editing non è così alto da rosicchiare il 50% del prezzo di copertina. Inoltre se l’autore vuole delle copie, paga il costo industriale + la spedizione e basta (rifacendomi all’esempio precedente, io ho ordinato 10 copie spendendo 22,00 euro compresa la spedizione a casa. Un’ultima cosa: Amazon liquida le spettanze dell’autore ogni mese, non dopo un anno come l’editoria tradizionale. Personalmente ho un libro pubblicato dalla 0111 Edizioni in quanto finalista di un concorso e se voglio delle copie in conto vendita le pago col 30% di sconto se ne ordino più di 40. Il contratto dice che se il libro vende meno di 250 copie in due anni non percepisco nulla, se le supera mi danno il 3% fino alla centesima copia, il 5% fino alla duecentesima, il 7% fino alla cinquecentesima, l’8% fino alla millesima e il 10% sopra la millesima. L’ho sottoscritto solo perché mi fa comodo a livello d’immagine per vendere gli altri pubblicati su Amazon, non certo per guadagnarci qualcosa.

  3. Ma Amazon non è un editore: è un venditore-distributore, o al massimo un editore print on demand. Non fa editing, non si occupa della copertina, e della promozione in alcun modo. Che poi molti editori non lo facciano non cambia il fatto che dare al 60% al distributore senza che esso sia mai editore, non è una gran cosa.

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