Il vero e buon spirito goliardico è in realtà l’attitudine giovanile di usare la cultura condita con la fantasia e l’ironia. Il miglior campione di questa tendenza positiva di esprimersi degli studenti fu Ovidio Borgondo.

Ovidio Borgondo nasce a Buenos Aires nel 1899, figlio del dottor Salvatore Borgondo di Crescentino (provincia di Vercelli), famoso medico di quei tempi conosciuto col soprannome di Diavolo zoppo. Trascorre in Argentina solo i primi nove anni di vita, poiché il padre fa ritorno in Piemonte e si stabilisce a Torino. Nel 1917 partecipa alla Grande guerra con i suoi coetanei, i “ragazzi del ’99”.

Soldato nell’artiglieria alpina, Ovidio Borgondo combatte sul monte Grappa dove contende a suon di cannonate contro il capitano tedesco Erwin Rommel, poi diventato feldmaresciallo e celebre nella II guerra mondiale per le offensive in Africa settentrionale, che gli varranno il soprannome di Volpe del deserto. La fine del conflitto lo trova compagno di convalescenza dello scrittore americano Ernest Hemingway nell’ospedale militare di Baggio presso Milano a causa del “covid” di quei tempi: l’influenza spagnola.

Borgondo si iscrive all’università di Torino nel 1921. Il padre lo obbliga a frequentare economia e commercio, ma Ovidio non ama questi studi, essendo naturalmente portato al comporre in rima, in prosa, a cantare e recitare. Diviene così uno dei più brillanti, attivi e spiritosi goliardi di Torino, sempre pronto alla burla e alla facezia improvvisata.

OVIDIO BORGONDO, CAVOUR PONTEFICE DELLA GOLIARDIA
Ovidio Borgondo, con il cravattino a farfalla, tra i suoi goliardi


Alcune sue prese in giro di docenti troppo severi diventano leggendarie, come pure inizia a circolare sul suo conto la diceria di una ricca eredità concessa a lui per studiare, ma che si estinguerebbe passando in beneficienza dopo la sua laurea. Per questo motivo converrebbe a Ovidio restare iscritto all’Università e non laurearsi mai. Ciò è falso, ma Borgondo è un perfetto animatore di svaghi e feste per la squattrinata gioventù di allora, e non c’è studente che non lo consideri una personalità carismatica.

Alcune sue prese in giro di docenti troppo severi diventano leggendarie, come pure inizia a circolare sul suo conto la diceria di una ricca eredità concessa a lui per studiare, ma che si estinguerebbe passando in beneficienza dopo la sua laurea. Per questo motivo converrebbe a Ovidio restare iscritto all’Università e non laurearsi mai. Ciò è falso, ma Borgondo è un perfetto animatore di svaghi e feste per la squattrinata gioventù di allora, e non c’è studente che non lo consideri una personalità carismatica.

OVIDIO BORGONDO, CAVOUR PONTEFICE DELLA GOLIARDIA
1923, i futuristi a Torino. Da sinistra Mondino Borgondo, Ovidio Borgondo, Filippo Tommaso Marinetti, il pittore Fortunato Depero, il musicista Rodolfo De Angelis, Valentine de Saint Pont, Benedetta Cappa moglie di Marinetti

Ovidio non è solo comico e faceto. Aderisce al movimento futurista e, all’arrivo a Torino del caposcuola del movimento, Filippo Tommaso Marinetti, lo incontra declamando certe sue strampalate “parole in libertà”, vestito e acconciato come Camillo Cavour. Da allora il soprannome “Cavur” gli resterà per tutta la vita. Lui stesso descrive l’episodio nella sua autobiografia.

Era il mese di ottobre 1921, per tutta l’estate mi ero lasciato crescere la barba, ma questo non bastava, dovevo creare un personaggio. Passai in rassegna tutti i personaggi barbuti che conoscevo, alla fine decisi che il più originale (…) era Camillo Cavour. Col rasoio a lama lavorai perciò a foggiarmi una barba a collare, poi inforcai un paio di occhialini di mia madre, tagliai all’ottocentesca un colletto inamidato di mio padre, e con un pezzo di fodera di seta nera mi annodai al collo una cravatta a sbuffo che era chiamata plastron. (…) Anche se disapprovate e contestabili, le serate futuristiche attiravano sempre un buon pubblico. Quella poi era un’occasione speciale, veniva presentato un nuovo tipo di teatro futurista definito “teatro della sorpresa” e il teatro Maffei era gremito ancor più per l’avvenimento. Ecco perciò mio fratello Mondino che prima dell’inizio della serata si aggira tra gli spettatori e annuncia con voce stentorea: «Fra poco arriverà Cavour! Questa sera avremo qui Cavour! Cavour sarà qui a momenti!». Alla fine mi affaccio alla galleria di fronte, salutando con gesti di sussiego come un vero politico.

«Ecco Cavour!» grida Mondino.
«Viva Cavour, viva il ministro!».
Appena si fa silenzio attacco con foga: «Fetentissimi passatisti, luridi come le cloache di Milano durante il colera dei Promessi Sposi!»
Risata generale.

«Noi futuristi vogliamo svegliarvi dal vostro millenario letargo di marmotte imbalsamate, scuotetevi dal vostro torpore catalettico di mummie imputridite e iniettatevi il dinamismo epilettico della nostra elettricità futurista. Vogliamo seppellirvi sotto una valanga di otto miliardi di metri cubi di letame galvanoplastico, sprofondarvi nella melma ipecacuanica delle spazzature idrofobe e immergervi in una soluzione di acido prussico e precipitato di stronzio al mille per cento. Noi futuristi vi sputiamo in faccia a tutti… ptuum!».

Il fratello di Ovidio, Sigismondo Borgondo detto Mondino, è il suo compagno di imprese, ma essendo anche attivista socialista dovrà emigrare in Francia per non essere messo al confino dal regime fascista. Mondino si stabilirà a Grenoble, dove avrà come compagno d’esilio il futuro presidente della repubblica Sandro Pertini. Ovidio stesso sarà sempre malvisto dalle gerarchie del regime, che vorrebbero irregimentare gli studenti nel Guf (Gioventù universitaria fascista), mentre “Cavur” insegna piuttosto la satira e la burla verso le autorità.

Le trasformazioni di “Cavur” sulla scena


Gli stessi aderenti al Guf offrono a Ovidio l’organizzazione di riviste goliardiche, cioè recitate da uomini anche nei ruoli femminili, e “Cavur” si rivela un ottimo capocomico, capace di scrivere e far recitare spettacoli non dilettanteschi, apprezzati dagli stessi comici professionisti del tempo: Petrolini, Macario, Totò, Vanda Osiris e persino Pirandello.

Ecco alcuni titoli di riviste tra il 1929 e il 1939: Fra gonne e colonne, Come me la godo, Va’ all’inferno, Meglio un asino vivo, Attenzione attenzione!, Giovanotti in aula. Ai copioni di alcune di queste riviste collaborano anche Nizza e Morbelli, autori dei Quattro Moschettieri, prima trasmissione radiofonica di successo in Italia, e il giovane Norberto Bobbio, non ancora filosofo né antifascista essendo egli pure nel Guf.

Dalla rivista Va’ all’inferno, il lamento del demone Caronte.

“Sono Caronte dall’occhio di bragia/ e sono bianco per antico pelo/ ma se una donna ai piedi miei si adagia/ più non mi scaldo ma resto di gelo.

Rit. – O che bel mestiero/ fare lo nocchiero/ fare lo traghetto/ del fiume sul letto.

In gioventude mia ne ho passate/ ma or son vetusto, oh lasso, son maturo,/ non mi chiedete più se eterno duro,/ lasciate ogni speranza o bimbe amate!

Rit. – O che bel mestiero/ fare lo nocchiero/ far l’automedonte/ là sull’Acheronte.

Passati son li tempi che con nave/ venivo per menarvi all’altra riva/ gridando: “Via di qui anime prave!”/ Mi mena or quinci barca più giuliva/ che motoscafo nomasi lassuso/ con cui porto i dannati alla deriva./ Poiché lo remo mio è fuori d’uso/ non batto più col remo chi s’adagia/ ma l’elica mi serve per quest’uso./ Ma si prepari ormai la dipartita/ Satana il re ne attende alla sua reggia;/ li due goliardi alla sua mensa invita,/ per l’aer fosco già il suo appello echeggia,/ dall’impazienza non sta nella pelle,/ partiam se no ei bestemmia e poi scoraggia/ l’amor che move il sole e l’altre stelle./ Jammo signò, salite in carruzzelle”.

Ovidio Borgondo tenta anche la strada del comico professionista. Per un anno fa parte della compagnia torinese Svab (Siletti-Valpreda-Alessio-Bacot) che recita in piemontese, ma la vita errabonda dell’attore non fa per lui. Si limiterà a partecipare ad avanspettacoli nei locali di Torino per raggranellare qualche soldo, e lavorerà preferibilmente con due attori di varietà: Busca e Dea Lolette, che parteciperanno come organizzatori alle riviste goliardiche.

“Cavur” si laurea finalmente nel 1940 in giurisprudenza. Durante la Seconda guerra mondiale riesce ancora a organizzare spettacoli per le truppe (recitati da suo cugino Giovanni Meriggio, futuro professore di educazione fisica in Vercelli) e qualche spettacolo di rivista, recitato necessariamente anche da ragazze, poiché gli studenti sono tutti richiamati sotto le armi.

Nel 1942 si sposa con Piera Capitani, una ragazza che ha vent’anni meno di lui, e l’anno dopo gli nasce il figlio Glauco. Dopo la guerra tenta una ripresa della rivista goliardica, ma in Io mai stato la sua satira colpisce coloro che, essendo stati fascisti, dopo il crollo del regime si sono trasformati in democratici voltando astutamente gabbana. La reazione è violenta, il teatro viene invaso e devastato.

Sarà così che nel 1947 Ovidio Borgondo deciderà di emigrare nella nativa Argentina, dalla quale non farà più ritorno, Morirà in un incidente nel 1961. Il figlio Glauco e la nipotina Ailen vivono ancora a Buenos Aires.

Dalla scuola di satira e teatro creata da Ovidio Borgondo usciranno autori come Leo Chiosso, soggettista e regista di cinema e TV, paroliere di canzoni come quelle cantate negli anni cinquanta dall’ironico “duro” Fred Buscaglione. Anche Gastone Jacobbi, uno dei fondatori della Rai di Torino nel 1954, regista di programmi della tv dei ragazzi negli anni sessanta come Tutti in pista viene da quella scuola.

La goliardia torinese, non più guidata da una figura carismatica qual’era “Cavur”, non troverà la forza organizzativa per continuare la tradizione dello spettacolo satirico goliardico. Invece a Genova la compagnia studentesca Mario Baistrocchi, nata nel 1913, è tuttora in funzione e ogni anno lancia uno spettacolo di successo locale. Si è già visto come dalla goliardia genovese e dalla compagnia Baistrocchi usciranno personalità del mondo dello spettacolo come Enzo Tortora, Paolo Villaggio, i cantanti Fabrizio De André e Bruno Lauzi, il paroliere e compositore di canzoni Calabrese e il regista Perani.

(Da: Franco Ressa, La Goliardia, Ovidio Borgondo “Cavur”, Torino, Roberto Chiaramonte editore, 2004).



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