Ötzi

4500 anni fa, più o meno, il faraone Cheope ordinava la costruzione della Grande Piramide e i neolitici erigevano, in quel di Stonehenge, il complesso megalitico che, con i suoi significati astronomici, ancora affascina tanta parte dell’umanità.

Ma lui, “der Mann aus dem Eis”, “l’Uomo venuto dal Ghiaccio”, riposava già da sei secoli nelle nevi eterne.

Ci era affondato nel IV millennio a.C. mentre s’inerpicava a 3210 metri sul livello marino e attraversava una conca situata nelle Alpi Retiche orientali, nei pressi del Monte Similaun.

Era ben equipaggiato e indossava comodi gambali in pelle di capra fissati in vita con una sorta di giarrettiera, un perizoma anch’esso in pelle caprina cucito con filo di tendini animali e infine una sopravveste di morbida pelle di pecora tagliata in quadrotti di colore chiaro e scuro elegantemente alternati.

Si trattava di indumenti consumati dall’uso, segnati dal sudore e marcati qua e là dalla presenza di qualche pidocchio.

In testa portava un caldo berretto di pelle d’orso e ai piedi un paio di scarpe di buona fattura, realizzate in corde di libro di tiglio su una tomaia in pelle di cervo.

Con sé portava un’ascia di rame, un pugnale della lunghezza di 13 cm richiuso nel fodero, un arco in legno di tasso con tanto di faretra e frecce, e infine una gerla paragonabile a uno dei nostri moderni zaini.

Difficile dire perché si trovasse lassù, ma la spiegazione più probabile è che stesse precipitosamente fuggendo da qualcuno, quello stesso qualcuno con il quale si era da poco scontrato in un furioso corpo a corpo, riportando una profonda ferita alla mano destra.

Certo è che su quelle vette l’Uomo venuto dal Ghiaccio, incredibilmente, non era solo come forse sperava, bensì tallonato da vicino da quell’implacabile nemico che, dopo averlo raggiunto, ebbe infine la meglio su di lui.

La causa del suo decesso infatti, come svelato dalla Tac eseguita sulla mummia nel 2001, risiede nella freccia probabilmente dalla punta avvelenata che lo raggiunse nella regione scapolare sinistra, conficcandosi nel corpo a soli 15 mm dal polmone, sino a provocarne la morte in pochi minuti.

In altre parole, si tratta del primo “cold case” della storia, cioè del primo caso di assassinio di cui siano state rinvenute le evidenze, commesso per giunta in un luogo dove, ancora oggi, non è facile avventurarsi.

Anche per questo motivo Ötzi (come da tempo è familiarmente chiamato “der Mann aus dem Eis”) poté riposare indisturbato per circa 5 millenni nella sua tomba ghiacciata, al riparo dalle intemperie e preservato dalla decomposizione, sino a quando, per un caso fortuito, una coppia di turisti tedeschi avventuratisi fuori dal sentiero stabilito, alle 13,30 del 19 settembre 1991, si rese conto con sgomento che quello che sporgeva parzialmente dalle neve non era un cumulo d’immondizia, bensì il cadavere di un uomo.

Frettolosamente trasportato all’Istituto di Medicina Legale di Innsbruck, perché in un primo momento si credette che quello fosse territorio austriaco, nell’incredulità generale Ötzi fu sottoposto a tutta una serie di analisi che consentirono di determinarne con certezza la veneranda età, collocandolo nel ristrettissimo numero dei progenitori della umanità dei quali si siano rinvenuti reperti biologici così ben conservati.

A distanza di qualche tempo, misurazioni più accurate appurarono che il suo ritrovamento avvenne a soli 92,56 metri al di qua del confine di Stato, potendolo pertanto dotare di quel passaporto italiano che nel 1998 avrebbe consentito il suo ritorno a Bolzano, dove fu accolto come una “star”.

Da allora riposa in una cella frigorifera costruita su misura per lui all’interno del Museo Archeologico dell’Alto Adige, dove lo si può incontrare stando in punta di piedi su una sorta di predella, in qualità d’indiscusso protagonista di un interessantissimo percorso multimediale a tema che consente ai visitatori di fare un metaforico salto all’indietro nel tempo di circa 5000 anni.



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *