Come si realizza la copertina di un fumetto? Disegnando, ovviamente.
La copertina è il biglietto da visita di una pubblicazione e, soprattutto nei tempi passati, quando le edicole era piene zeppe di testate, una copertina azzeccata poteva spostare dall’una all’altra le spesso limitate risorse economiche del pubblico pagante.
Per questo il ruolo di copertinista è sempre stato molto ambito, e gli editori hanno sempre avuto cura di scegliere per questa mansione artisti dotati di un tratto grafico d’impatto.
Nel tempo, molte copertine di pubblicazioni a fumetti sono diventate così iconiche da essere riprodotte in cartoline, poster, magliette; o sono state oggetto di omaggi, rivisitazioni, meme, manipolazioni più o meno autorizzate.

Oggi che si disegna con mezzi digitali e si stampa con tecniche sofisticate, ci sono molti sistemi per rendere glamour la copertina di un fumetto e includervi ogni tipo di elemento visuale; nei tempi antichi, invece, l’abilità era essenzialmente grafica. Tuttavia c’è sempre stato chi ha tentato di creare copertine più originali, unendo al disegno propriamente detto elementi iconografici diversi, in grado di dare originalità all’opera o di sperimentare tecniche nuove.
Dal mondo del fumetto vintage, o del fumetto per boomer, o chiamatelo come volete, ecco degli oggetti che sono stati inseriti in copertine di fumetti, contribuendo a renderle più originali.

Giornale quotidiano
Prima di internet, prima delle notizie che arrivano in tempo reale sul cellulare o sullo smartwatch, c’è stato il quotidiano cartaceo. Diffuso in forma capillare, venduto anche per strada dai cosiddetti “strilloni”, era lo strumento principale di informazione. Sui quotidiani americani è nato anche il fumetto in senso moderno. In molti film del passato (Quarto potere del 1941, tanto per citarne uno), mostrare le prime pagine di un quotidiano, vero o fittizio, era il modo per indicare lo scorrere del tempo o l’impatto pubblico di una notizia.

Jack Kirby, uno dei padri del fumetto di supereroi americano, utilizzò un giornale quotidiano per una delle sue copertine più note, quella di Captain America Vol. 1 n. 109 (1969), apparso in prima edizione italiana su Capitan America n. 25 con il titolo “L’eroe che fu”.
Mettendo a confronto l’edizione originale americana con quella italiana, si può notare come quest’ultima ne abbia in qualche modo, forse inconsapevolmente, alterato il significato. In quella americana, infatti, si legge la data del giornale (8 dicembre 1941) ed è stata modificata la testata (cioè la scritta Captain America) facendola apparire come se fosse il titolo di un articolo. L’Editoriale Corno usò invece la grafica standard della testata e non si curò che in questo modo “spariva” non solo la data, ma anche un pezzo della pagina di giornale.
Qui sotto sono messe a confronto le due copertine: chi si voglia armare di lente di ingrandimento potrà notare anche che nell’originale si legge la scritta “Soviet Union” sulla spalla di Cap, a sinistra, mentre nella versione italiana la scritta è sparita.

 



Non è noto come fu esattamente conseguito il risultato finale dal punto di vista tipografico. Sul sito internet della nota casa d’aste Heritage risulta venduta qualche anno fa la tavola originale di questa copertina, firmata da Kirby per le matite e Syd Shores per gli inchiostri, ma su di essa c’è il solo disegno del personaggio. Il giornale dovette essere aggiunto in fase di stampa, o forse incollato su una copia del disegno.

Ma perché fu scelta proprio quella pagina, e di che quotidiano si tratta? Ecco una riproduzione, dove si comprende bene anche perché vi fosse la scritta “Soviet Union”, facente parte di una cartina geografica. Chi volesse con più facilità verificare la corrispondenza tra la pagina e la copertina, si concentri sulle parole “Guam bombed”, nella parte in altro a destra.

 


Si tratta del New York Times, uno dei più prestigiosi e diffusi quotidiani a stelle e strisce. La data è quella di un giorno drammatico per gli stati Uniti: vi viene riportata la notizia dell’attacco giapponese a Pearl Harbour (avvenuto il giorno prima, come è normale per i giornali).

Fu il momento che segnò l’inizio delle ostilità per la potenza americana, che fino a quel momento si era mantenuta neutrale, anche se, come sanno gli appassionati di fumetti, il personaggio di Capitan America era stato creato ancor prima, e sin dalla copertina del numero uno, nel marzo del 1941, aveva dato un pugno in faccia a Hitler.
Curiosità geografica: l’isoletta di Guam, che come riporta il giornale fu bombardata al pari di Pearl Harbour, ospita oggi il “Pacific War Museum”, al cui interno è esposta anche la riproduzione di un
albo proprio di Capitan America.

Lo schema di copertina con il personaggio che “esce” da una pubblicazione sottostante è stato utilizzato altre volte, e tra gli altri dallo stesso Kirby. Un esempio, qui sotto, è la copertina di Marvel Premiere n. 35 (1977), dove il poco noto personaggio dell’Uomo 3-D viene fuori da una pagina non di giornale, ma dello stesso fumetto; si tratta in particolare della seconda pagina della storia, tradotta anche in Italia e apparsa sulla testata Gli Eterni.

 

Francobolli

Oggi è difficile farlo credere ai giovani, ma c’è stata un’era giurassica in cui i francobolli erano un oggetto utilissimo (venivano inviate milioni di lettere, commerciali o amichevoli), bello (vi ci sono dedicati anche grandi artisti, come l’italiano futurista Giacomo Balla, o l’austriaco Kolo Moser, citato in tutti i libri sullo stile liberty), gradito ai ragazzini che ne facevano collezione. Moltissime testate a fumetti proponevano francobolli come gadget allegati, o dedicavano ai francobolli pubblicazioni specifiche.
Nulla di strano, dunque, che siano stati utilizzati anche per arricchire copertine. L’esempio mostrato qui risale al 1971. Si tratta del n. 163 di Satanik, serie italiana di successo creata da Max Bunker e Magnus, in edicola dal 1964 al 1974, più volte ristampata anche in tempi moderni.

Il copertinista della serie, Luigi Corteggi, scelse una strada non semplice: immagini a tempera, non sempre comprensibili dal pubblico più giovane, spesso prive di qualunque collegamento con la storia interna, ma molto evocative per la loro bellezza e per la capacità di valorizzare anche solo una parola del titolo creando con esso affascinanti accostamenti visuali. Oggi gli originali sono molto apprezzati dai collezionisti.
La copertina del n. 163 si basa solo su un primo piano della protagonista della serie, con una buffa penna d’oca. L’aggancio con il titolo, “Vendita per corrispondenza”, è data dall’inserimento in copertina di undici veri francobolli, due dei quali non ben identificabili perché coperti dalla scritta “Contiene autoadesivi fustellati” (a proposito, quanti di voi da piccoli avevano capito cosa diavolo significasse “fustellati”?).

 


Come siano stati scelti i valori bollati in questione non è agevole ricostruirlo; si tratta di otto esemplari italiani, due svizzeri, uno statunitense, tutti usati (cioè con il timbro postale, staccati dalle buste su cui erano stati appiccicati, e dunque di minor pregio rispetto a quelli nuovi) e di modestissimo valore collezionistico: difficile dunque che avessero un significato specifico collegato all’episodio del fumetto. Per quanto riguarda gli italiani, si riconoscono due esemplari della serie detta Michelangiolesca, uno della serie Siracusana, tre celebrativi dedicati al Festival dei due mondi di Spoleto, alla introduzione del Codice di avviamento postale, alla associazione Rotary. Sicuramente un elemento grafico di richiamo, considerando che all’epoca si trattava di oggetti familiari ai lettori, che rendevano la copertina piuttosto originale.

Una curiosità: l’esemplare svizzero in basso a destra è l’unico non allineato rispetto agli altri e si presenta ruotato in modo da risultare parzialmente illeggibile. Forse un errore in fase di stampa e non una scelta voluta, visto che il resto della copertina è perfettamente simmetrico. È dedicato, anche se il nome non si legge, alla città di Neuchatel e fa parte della stessa serie di antichi edifici di quello collocato a sinistra, dedicato invece a Basilea. Oggi, in quest’ultima città ha sede il “Cartoonmuseum Basel”, una istituzione dedicata al fumetto, alla caricatura e al cartone animato.

 

Libri

Collocare un personaggio in movimento sulle pagine di un libro. L’idea è sicuramente di buona resa scenica, e un esempio nostrano lo troviamo nel notissimo personaggio di Tex. Attenzione, però; non nella serie detta “gigante”, partita nel 1958, che ancora mensilmente compare in edicola, ma in una di quelle che la precedettero, a mo’ di prova generale del grande formato, che prendeva gradualmente il posto dell’antico formato “a striscia”.

Ci interessa in questo contesto la serie comunemente denominata “1 – 29”, nata nel 1954 come esperimento di recupero di albi in precedenza editi sempre sotto forma di raccolta, nel formato detto “Albo d’oro”. Il n. 28, penultimo della serie, presenta la copertina di nostro interesse, con Tex Willer e Tiger Jack che galoppano in primo piano su uno sfondo costituito dall’estratto di un racconto. Di quale opera si tratti non è agevole ricostruirlo, anche a causa della poca nitidezza dell’immagine.

La conformazione del testo, raccolto su strette colonne, fa pensare non a un libro nel senso che comunemente oggi diamo al termine, ma a un fascicolo o a una pagina di una rivista. Potrebbe trattarsi forse di un “pulp”, una di quelle riviste di poche pretese letterarie, che costavano poco e erano stampate su cartaccia, ma grazie a copertine di grande impatto e a racconti dallo stile narrativo asciutto e senza fronzoli sono entrate nel cuore di larghi strati di lettori, e vengono ancora oggi ristampate o studiate come parte della cultura popolare americana.

 


Le copertine delle varie serie di Tex, opera praticamente di due soli disegnatori (Aurelio Galleppini e Claudio Villa) dal 1948 ad oggi, sono sempre state un ottimo biglietto da visita per la pubblicazione. Alcune, particolarmente iconiche, sono note anche al di fuori della cerchia dei lettori del personaggio, ma va detto che gli esperimenti grafici sono stati assai limitati, e “Caccia ai banditi” rappresenta un esemplare più unico che raro.

 

Fotografie

Collocare una fotografia sullo sfondo di personaggi disegnati è una tecnica utilizzata in qualche occasione nelle copertine della casa editrice Marvel. Ecco due esempi in versione originale americana: Sub-Mariner vol. 1 n. 7, del 1968, e Daredevil vol. 1 n. 45, dello stesso anno.

 


In entrambi i casi gli autori delle fotografie non sono accreditati, e non è noto perché si sia scelta quella specifica immagine.
Nel volume curato da Roy Thomas per l’editore Taschen, “The Marvel age of Comics 1961 – 1978”, quanto a Sub Mariner si afferma che Stan Lee, all’epoca direttore di tutte le testate della casa editrice, aveva bocciato la precedente copertina, che in fretta e furia era stata sostituita con quella fotografica.
Nel caso di Devil, invece, il disegnatore Gene Colan aveva in effetti mostrato, nella storia dell’albo cui si riferisce la copertina, una avvincente scena di lotta sulla Statua della Libertà, ovviamente ricorrendo al solo disegno.

 


Le copertine qui mostrate come esempio non vanno confuse con quelle interamente fotografiche, che pure hanno una certa tradizione nel mondo del fumetto. Ci sono state collane storiche che sono partite con la copertina disegnata e sono proseguite con quella fotografica; un esempio è la serie Young Romance, che lanciò negli Stati Uniti il fumetto “rosa” e fu un enorme successo nella seconda metà degli anni Quaranta. Del resto il passaggio dal disegno alla fotografia, all’epoca, fu comune anche ad altre testate non a fumetti.

Ed a proposito di copertine interamente fotografiche, qualcuno può dubitare che quella qui sotto riportata (Toxic Avenger n. 3, 1991) sia la più brutta copertina della Marvel mai pubblicata?

 

 

Di tutto un po’

Mr. Distric Attorney è una serie di albi a fumetti sconosciuta da noi ed apparsa negli Usa tra il 1948 e il 1959, ispirata ad una serie radiofonica. La copertina del primo numero presenta, sullo sfondo del disegno, una pagina di calendario. Elemento decisamente originale, anche se forse ancora più affascinanti sono certe copertine basate su giochi puramente grafici, come quella del terzo numero, dove un ring pugilistico (tipico luogo di malefatte) si incrocia con il profilo di una pistola.

 


I rapporti tra fumetto e musica sono stati declinati in svariati modi; uno è quello di mettere in copertina uno spartito musicale. Lo ha fatto Batman su Detective Comics n. 142, del 1947.

 


Qualche anno prima, nei tempi della Seconda guerra mondiale, moltissimi albi americani avevano mostrato in copertina i war stamps e war bonds, francobolli e buoni emessi dal ministero del tesoro per finanziare lo sforzo bellico. Ecco due esempi tratti da Funny Animals n. 20 (1944, editore Fawcett) e Popular Comics n. 101 (stesso anno, editore Dell).


Oggi, lo abbiamo già detto, questi pioneristici esperimenti possono far sorridere, e magari fanno storcere il naso al pubblico più affascinato dall’innovazione, che crede nelle leopardiane “magnifiche sorti e progressive” anche in relazione alla creazione di fumetti.

L’uso del computer e, magari, dell’intelligenza artificiale, consente di inserire nella copertina tutto ciò che si vuole. Si parte dal disegno ma si realizza una immagine perfetta, ricca di effetti speciali, nella quale non si distingue più il tratto umano / a mano dell’artista, dai immagini prese da fotografie o da altre componenti.

Ma questa è un’altra storia e dovrà essere raccontata un’altra volta…

 

 

© Francesco Lentano

 

 

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