Sonifex Andrea Antonini

Qualche tempo fa decido di comprare un cacciavite elettrico, quello che ho nel cassetto è vecchio, la batteria tiene poco e sostituirla costa più che comprare un cacciavite nuovo. Il che non è vero, però voglio un cacciavite elettrico nuovo.

Vado su Amazon e come mi avesse letto nel pensiero, ecco in prima pagina la proposta che un maschio degno di questo nome non può rifiutare: un cacciavite di nota ditta, serie professionale, con borsa portacacciavite e set di punte, batteria di scorta al litio superpotente, tutto con lo sconto del 60 per cento!

Sappiamo tutti dalle televendite che gli sconti sono spesso su prezzi arbitrari o sui prezzi consigliati al pubblico che nessuno al mondo applica, però è pur sempre il 60 per cento. Tocco di classe, Amazon mi propone gentilmente di pagare i 100 e rotti euro in cinque rate mensili senza interessi, il che nella mente del maschio diventa praticamente un regalo, i 20 euro mensili diventano invisibili.

Leggo le recensioni, entusiastiche a parte quelle di un piccolo gruppo di facinorosi che parlano di mandrino storto, di cianfrusaglia, ma sono sicuramente dei provocatori, gente inviata dalla concorrenza.

Arriva il trapano, la custodia è di stoffa che se la usasse un vero falegname si sfalderebbe in due giorni, ma il cacciavite è bellissimo. Peccato che in effetti abbia il mandrino storto, ovvero guardandolo in faccia ondeggia. Se ti limiti a girare un vitone magari non te ne accorgi, ma con viti piccole e usando il cacciavite come trapano il problema è evidente. Mando indietro e chiedo la sostituzione. Secondo cacciavite, il mandrino è storto. Aspetto qualche giorno per far smaltire lo stock di cacciaviti mal riusciti, mando indietro, terzo cacciavite, il mandrino è storto. Mando indietro, finita lì.

Eppure era della serie professionale. Se vendi tre cacciaviti difettosi a un carpentiere professionista, quello va a raccontarlo a tutti i colleghi della città, la voce gira e quell’azienda smette entro breve di fare cacciaviti. Il problema è che il carpentiere se ne guarda bene dal comprare quel cacciavite, è una questione di disturbo semantico del termine professionale, troppo spesso utilizzato anzi stampigliato sui prodotti per vendere alla gente comune roba mediocre, massimo normale spacciandola per eccellente.

Istintivamente molte persone pensano che se un dispositivo – una fotocamera, un trapano, un binocolo eccetera – è autoqualificato come professionale, significa che quell’aggeggio dispone di qualità intrinseche superiori che un professionista consiglierebbe di certo. E in effetti spesso alcune caratteristiche tecniche appaiono molto appetibili, ma sono quelle sbagliate. Se la fotocamera è marchiata professionale (Pro per gli amici) e ha 10 megapixel in più rispetto al modello inferiore, si pensa che be’, è ovvio, quei dieci megapixel fanno la differenza. Se si tratta di un trapano, magari si va a vedere il wattaggio, ed ecco che il trapano professionale ha una potenza di 500 watt superiore, e così via. Ma è un compiaciuto autoinganno.

Ciò che definisce come professionale un determinato dispositivo è il fatto di essere destinato a chi ne fa un uso professionale, ovvero ci si guadagna da vivere, e in quasi qualsiasi campo, gli strumenti di lavoro si collocano in zone per nulla appetibili dal consumatore medio. Probabilmente il vero trapano da lavoro ha un consumo inferiore, ma è comunque più potente di quello del centro commerciale. Finché sono esistite le pellicole fotografiche, i fotografi professionisti hanno usato perlopiù fotocamere prive di automatismi come l’autofocus o le varie esposizioni a priorità di tempo o di diaframma o definite da proto-IA. La macchina fotografica su pellicola in assoluto più diffusa tra i fotografi di matrimoni era la Mamiya RB67, un carcassone con il quale, quando già esistevano macchine fotografiche con fior di automatismi, misurare l’esposizione era una faccenda complicata e la messa a fuoco andava fatta a occhio su uno schermo di vetro satinato magari sotto la luce del sole. Ma la Mamiya (o la Hasselblad a livelli economici cosmici) era pensata per funzionare sempre e comunque, anche gibollata, sotto la pioggia, ricoperta di riso, sicuramente senza batterie eccetera. Quello che ne definiva la professionalità era l’indistruttibilità e soprattutto la stabilità di funzionamento anche in condizioni inusuali: se uno espone per 1/125 di secondo, quello deve essere anche se l’annoiato nipote del testimone ti ha tirato una pallonata sulla fotocamera. Ancora oggi se ne volete una strausata dovete pagare un sacco di soldi.

Comunque anche il dizionario Treccani si sbaglia: “Professionale: In elettronica, elettroacustica e altre tecniche, detto di apparecchi aventi prestazioni ben definite e in genere piuttosto elevate”. Ben definite sì, piuttosto elevate, no.

In ogni laboratorio elettronico generico esiste almeno un multimetro, che come dice il nome è uno strumento che serve per misurare diversi valori, come minimo tensione, corrente e resistenza. Nei laboratori tecnici di assistenza militari americani si usa un multimetro che è in commercio ormai da decenni, può misurare un numero limitato di valori (i multimetri cosiddetti consumer ti misurano anche la febbre, se serve), la risoluzione non è entusiasmante e la precisione è garantita in valori accettabili per uno strumento non di riferimento com’è invece un Rhode & Schwarz, poniamo l’1 per cento. Ciononostante è uno strumento professionale, non contiene parti superflue per l’uso specifico cui è destinato (come dicono gli ingegneri, ciò che non c’è non può guastarsi), è in commercio identico da molto tempo e dunque comprandolo nuovo non presenta problemi di aggiustamenti di progetto tipici nelle prime serie, è molto robusto, indifferente alle sollecitazioni meccaniche o di umidità. L’elettronico dilettante non lo comprerebbe mai, costa anche dieci volte di più dei multimetri destinati agli hobbysti, che sono persino più precisi, ma non sono professionali.

Di esempi ce ne sono decine: in ambito audio esiste una quantità incredibile di produttori di microfoni. I prezzi vanno dai trenta ai 5.000 euro al pezzo. Sono state fatte decine di prove comparative tra microfoni professionali da 2.500 euro, per esempio della Neumann, e loro imitazioni cinesi da 80 euro. Il verdetto è quasi sempre: be’, sì, il Neumann suona meglio, ma non 2.420 euro meglio. Vero, però se volete registrare vostro figlio che studia il flicorno, il cinese va benissimo, ma se avete da registrare un’orchestra di 150 persone, lo studio vi costa 500 euro all’ora e se non ce la fate in un giorno per un vostro problema tecnico nessuno vi chiamerà più, userete una sfilza di Neumann, perché sarete certi che tutti quei microfoni mostreranno le stesse caratteristiche, non è che ce ne sarà uno buono, uno boh eccetera, uno che cambia suono a seconda che ci sia vento o meno; con quasi assoluta certezza nessuno si guasterà a metà e se anche un paio dovessero cadere per terra, continueranno a funzionare e l’assistenza Neumann poi ve li rimetterà a nuovo.

NON COMPRATE ROBA "PROfessionale"
Microfoni Neumann, danno gioia anche solo a vederli


Quindi, se avete intenzione di comprare qualcosa e leggete tipo Serie PRO, pinza professionale eccetera, lasciate perdere. Di professionale c’è solo la scritta, rivolgetevi invece per un consiglio a qualcuno che quel qualcosa lo usa per vivere. La ditta del cacciavite di cui prima vende anche un cavalletto professionale destinato all’uso con il teodolite. Settanta euro per un aggeggio che dai cinesi sotto casa, identico, paghi massimo 10 euro. Se ci metti su un teodolite cade tutto per terra. I cavalletti usati dai geometri o dai topografi sono bestie di legno che non si muovono neanche a martellate e costano dai mille euro molto in su.

Mi è venuto in mente di scrivere questo monito ripensando alla mia recente brutta avventura con una fotocamera Olympus che ho usato negli anni scorsi. Il sistema MFT, Micro Four Thirds, Olympus (e Panasonic) è decisamente meno costoso di altri e promette comunque risultati paragonabili a quelli ottenuti con fotocamere a pieno formato, una promessa tecnicamente plausibile. Leggendo le recensioni (che mi sono poi reso conto essere troppo spesso di partito preso) e soprattutto vedendo l’apparente qualità costruttiva degli obiettivi Olympus serie Pro, avendo bisogno di un paio di grandangolari molto spinti avevo deciso di lanciarmi nel mondo MFT, risparmiando moltissimo rispetto agli equivalenti Nikon, la marca con cui fotografo da mezzo secolo. I primi tempi fui contento della scelta, la fotocamera, una Pen F, oltre che bellissima da vedersi mi sembrava buona e quell’obiettivo Pro da 1300 euro (contro i quasi 3.000 del Nikon) funzionava e era comodo. Ma dopo qualche tempo, a diritto di recesso scaduto, mi resi conto che nelle immagini qualcosa non andava: in quella lente così pregiata e che mi era fondamentale per quello che stavo facendo c’era qualcosa di sbagliato che non riuscivo a identificare neanche partendo dai file Raw. Spesso finivo per usare la fotocamera dello smartphone. Ma non solo, i colori prodotti dall’obiettivo professionale erano diversi dai colori prodotti da un obiettivo della stessa marca altrettanto professionale ma con focale diversa che a loro volta erano diversi da quelli prodotti dal fish-eye, ovviamente professionale: una cosa inaccettabile. Un bel giorno mi sono stufato di vivere nell’incertezza e sono tornato alla Nikon con il suo relativamente nuovo sistema Z mirrorless. Ho venduto tutto il materiale Olympus: tutto ben pagato fino all’obiettivo Pro più fico. Il negoziante mi mostra i test che fanno prima di acquistare l’usato e l’obiettivo è fuori centro, fatto male, una parte va a fuoco e una parte no. Ma la fotocamera – anche quella sedicente Pro – non era abbastanza buona da evidenziare il problema, che come detto si percepiva come qualcosa di sbagliato. Pro una cippa.

Chi lascia la via vecchia eccetera, la mie Nikon Z7II e Z5 mirrorless sono bruttine, gli obiettivi costano il triplo degli Olympus e sono di plastica, ma ora faccio foto tecnicamente perfette e se tutto andrà come è andata con le mie Nikon analogiche, anche questo materiale mi sopravvivrà. Perché chi compra un sistema che costa come sei stipendi lo userà per lavorarci o per studio, non per fare diporto fotografico, la Nikon lo sa e costruisce di conseguenza. Ho visto che la Olympus, che ora si chiama OM qualcosa, ha raddoppiato o triplicato i prezzi di fotocamere progettualmente vecchie di anni, forse un estremo tentativo di conquistare un pubblico di nicchia che la fotocamera la ostenta più che usarla; mi sento di dire che reggerà poco sul mercato.

Le cose professionali non dichiarano di esserlo.

Spesso l’apparenza inganna. Tanto tempo addietro mi ritrovai per le mani delle antenne a uso militare, mi sembravano degli appendini di quelli che ti dà la tintoria. Il tecnico dell’esercito mi disse che sì, non avresti dato un centesimo per quelle antenne (americane), eppure erano state sul tetto della caserma per trent’anni senza la minima manutenzione. Scoprii così nella sua concretezza il magnifico mondo dell’ingegnerizzazione: ciò che fa la differenza in un prodotto è per metà il progetto, e per l’altra metà la qualità del materiale usato. C’è poi la terza metà, di estensione variabile, la mano d’opera specializzata, che nell’assemblaggio di uno smartphone non esiste, nel montaggio di un orologio Patek Philipp Grand Complication (un milione e otto, di euro ovviamente) è tutto. Tutte cose intrinsecamente costose e che nessun packaging di lusso attribuirà magicamente a un prodotto scarso. Fatevi domande sui prezzi ridicoli di tanti prodotti cinesi.

Per contro, sempre per l’apparenza che inganna, in Italia anni fa esisteva una ditta di antenne a conduzione familiare. A differenza di quelle americane quelle antenne erano uno spettacolo, massicce, indistruttibili, con dettagli costruttivi raffinati, imballate con cura. Ma non funzionavano. Ricevevano quasi decentemente ma trasmettevano zero, perché il produttore aveva messo assieme metalli incompatibili, che una volta a contatto scatenavano reazioni chimiche che trasformavano il conduttore in un isolatore. Quella ditta ci ha messo trent’anni a fallire, erano bravi nel marketing. Credo che nelle loro pubblicità dicessero: per uso professionale.

Comprate quello che funziona, non quello che proclama di essere il migliore, cioè pro.

E questo è tutto ciò che c’è da dire sull’argomento.

“E no Antonini, devi ancora spiegare che cos’è quell’orribile coso nella foto di apertura dell’articolo”.
Ah sì. Quasi certamente il marchio Sonifex è sconosciuto anche tra quelli di voi che trafficano con l’audio, per diletto o lavoro. Ecco, la Sonifex è una azienda inglese sconosciuta al pubblico, ha prodotto e penso produca ancora buona parte delle attrezzature audio usate dalla Bbc. Sono brutte, tutte uguali con il marchio di gomma semidura appiccicato sul frontale rosso che sbiadisce negli anni, ma sono anche di qualità eccellente e nettamente superiore a quella dei nomi commerciali blasonati Pro che girano; siccome non le conosce nessuno, alle aste del materiale dismesso dalle broadcasting si portano via per poche decine di euro, contro le centinaia o migliaia che costano nuove. Quello in foto è un dettaglio di un preamplificatore microfonico stereo. Ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa, visto che gli chassis sono tutti uguali. A proposito di pro.

(Testo e immagini Copyright © 2023 Andrea Antonini, Berlino).


4 pensiero su “NON COMPRATE ROBA “PROfessionale””
  1. Qual è la marca del multimetro usato dagli americani? Sospetto sia la stessa del mio multimetro, comprato 50 anni e ancora perfettamente funzionante.

    1. l’ICE 630R (R come Record, diceva la pubblicità), aveva un vantaggio rispetto agli altri multimetri, o tester, non usava un commutatore rotativo per la selezione dei campi di misura, il che eliminava il principale problema dei tester, l’usura dei contatti striscianti del commutatore. Il mio lo comprai direttamente alla ICE in via Rutilia a Milano, che era allora praticamente in aperta campagna, dove le operaie e gli impiegati erano tutti rigorosamente in grembiule nero, telefoni di bachelite. Come saprai, il problema di quello strumento era la batteria da 3 volt introvabile, adesso credo ne mettano una da 9, ma non penso lo facciano più in Italia. Ciao.

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