NO PASARÁN, UN FUMETTO CONTRO LA PROPAGANDA

“Tante persone studiano, fanno l’università, diventano buoni medici ingegneri avvocati, diventano funzionari deputati ministri; a queste persone io vorrei chiedere: sapete cosa è stata veramente la guerra di Spagna? Se non lo sapete, non capirete mai quel che sotto i vostri occhi oggi accade, non capirete mai niente del fascismo del comunismo della religione dell’uomo, niente di niente capirete mai: perché gli errori e le speranze del mondo si sono concentrati in quella guerra; come una lente concentra i raggi del sole e dà il fuoco, così la Spagna di tutte le speranze e gli errori del mondo si accese: e di quel fuoco oggi crepita il mondo”.
Queste poche righe tratte dal racconto “L’Antimonio” di Leonardo Sciascia (1960) spiegano da sole la portata storica della guerra civile spagnola.

Vittorio Giardino ha sempre nutrito grande interesse per la storia, come vediamo nei suoi fumetti che non cadono mai nel tono didascalico o nella superficialità. Come ha dimostrato anche con “No pasarán”, un fumetto incentrato sulla guerra civile spagnola, pubblicato per la prima volta in tre volumi nel 2000, nel 2002 e nel 2008 da Lizard Edizioni, che lo sta ristampando nel corso del 2019 nell’edizione “integrale” di Max Fridman, il protagonista che dà il nome alla serie.

Vittorio Giardino ha dovuto seguire una procedura diversa rispetto a quella dello storico perché, mentre quest’ultimo deve esaminare una messe di informazioni per ricostruire un personaggio realmente esistito, l’autore di fumetti è costretto a usare la fantasia per fare aderire il proprio personaggio al preciso contesto storico in cui si dipana la vicenda.
Rispetto, poi, al romanzo storico, per realizzare un fumetto occorre documentarsi bene anche sugli aspetti “visivi” del periodo trattato per renderlo credibile. Ogni tipo di fonte e documentazione può aiutare, anche facendo affidamento alla fortuna. Per esempio, Giardino, non sapendo se durante la guerra civile spagnola la funivia che collegava il porto di Barcellona al Mont Juic fosse in funzione, è riuscito ad avere la risposta da un giornalista che lavorava a un documentario sulla città di quell’epoca, il quale aveva scoperto che tale mezzo di trasporto operava perfino durante i bombardamenti (tavola 24 del terzo volume, vedi qui sotto).

Il titolo “No pasarán” è lo slogan che indica l’irriducibile volontà da parte dei repubblicani di resistere ai falangisti guidati dal generale Francisco Franco durante la guerra civile spagnola. Il protagonista, Max Fridman, è un personaggio complesso e sfaccettato. È un cittadino francese che vive in Svizzera con un passato da agente segreto. Disegnato spesso con la pipa, è un commerciante di tabacco ebreo in un’epoca in cui i nazisti avevano iniziato le persecuzioni razziali. L’Europa era divisa in stati democratici e dittature fasciste, con a margine la dittatura comunista in Russia.

Max Fridman lascia temporaneamente la famiglia per tornare in Spagna alla ricerca del maggiore Guido Treves (anche lui con un cognome ebreo), suo amico e precedentemente compagno delle Brigate internazionali, esercito formato da volontari che, giungendo da tutta l’Europa, appoggiavano il governo repubblicano nella guerra contro i franchisti. Lo spunto iniziale è costituito da questa ricerca, ma non ne mancano altri, come il rapporto del protagonista con Claire, giovane e intraprendente giornalista belga.
Uno degli aspetti che rende interessante questa storia è il fatto che nel campo dei repubblicani non tutti sono leali alla causa. La sparizione di Treves, i cui responsabili vengono individuati solo nelle pagine finali del terzo volume, coinvolge alcuni personaggi che cercano di impedire l’accertamento della verità. “No pasarán” è un fumetto poliziesco-spionistico, ma anche un racconto che solleva diversi interrogativi.

Uno dei temi principali è quello della propaganda politica, di come pervadesse le vite delle persone coinvolte nella guerra. Già nella prima tavola del primo volume troviamo il contrasto tra parole, significati e situazioni. La scritta che campeggia sullo stipite dell’ingresso di una caserma repubblicana è “Sin cultura ni disciplina no hay ejercito potente”, accostabile al famoso slogan dell’Italia fascista: “Libro e moschetto, fascista perfetto”. Quale cultura, quale libro per quale battaglia?
Nella stessa tavola il commissario Kusic condanna a morte il tenente Ritt con assoluta freddezza (come dimostra il gesto di accendersi una sigaretta) perché aveva abbandonato una posizione indifendibile. Altrettanto impassibile è il gendarme, il cui volto è come incartapecorito.
Nella tavola successiva il maggiore Treves salva Ritt dalla fucilazione. La conclusione di questa sequenza l’abbiamo nella terza tavola, con il confronto tra Kusic e Treves, due uomini con modi di intendere la guerra inconciliabili. Da notare, nel disegno, lo scavalcamento di campo tra la prima e la seconda striscia per marcare la violenta contrapposizione e, nel testo, i puntini di sospensione ad accrescere il pathos.

(Attenzione, nel testo che segue alcuni spoiler significativi). La nona tavola è interessante per il modo con cui viene suggerita l’origine ebraica del protagonista, semplicemente con il candelabro della menorah appoggiato sul camino.
Si noti anche lo stacco nella seconda striscia, ottenuto dal fumo della pipa che diventa quello di un treno saltato in aria, che ci trasporta dal Fridman comodamente seduto in poltrona nella sua casa svizzera alle pericolose avventure belliche vissute due anni prima in Spagna con Guido Treves.

Dopo qualche tavola, l’amico Treves viene ferito: il sangue scorre nel fumetto per la prima volta. E lo fa prepotentemente, grazie al contrasto cromatico con le spente uniformi dei soldati e il paesaggio grigio.
Più avanti Fridman e Claire, l’amica giornalista, scampano a un bombardamento aereo abbandonando in fretta e furia il treno su cui viaggiano. Claire è una reporter sicura di sé e dei principi in cui crede. Vuole andare in fondo ai fatti, non si accontenta delle notizie diffuse dalla propaganda, in questo caso repubblicana.
Questo rapporto tra verità ufficiale e verità effettiva accosta il fumetto di Giardino al romanzo “Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway (1940). Lo scrittore americano racconta di Karkov, giornalista russo inviato della “Pravda”, che non solo è un modello discutibile di giornalismo, ma sarebbe addirittura costretto ad avvelenare tre carristi sovietici rimasti feriti nel caso in cui la città nella quale sono ricoverati dovesse cadere nelle mani dei franchisti, per evitare che rimangano delle prove sul diretto coinvolgimento russo nel conflitto spagnolo. In un altro episodio del romanzo, il giornalista della Pravda apprende di una scaramuccia nella quale i falangisti sono stati messi in fuga e si affretta a scrivere un pezzo senza curarsi di accertare i fatti.

Vittorio Giardino ci mostra in questo fumetto come entrambe le parti facessero propaganda servendosi della stampa.

Il secondo volume di “No pasarán” si apre con la guerra al fronte, che irrompe con devastante potenza fin dalle prime due tavole.


Il terzo volume di “No pasarán” inizia invece con un incubo: Max Fridman sogna di essere giunto a un passo dal ritrovamento di Treves, che però è stato appena deposto in una bara improvvisata. Il rumore delle martellate del sogno sono in realtà gli uomini del colonnello Lopez, che bussano alla porta per compiere una perquisizione.


Di seguito riaffiorano le cause della ruggine tra Lopez e Fridman: un episodio presente nella prima redazione che è stato poi escluso in quella definitiva, di cui tuttavia l’autore ci lascia intuire i particolari dal momento che in appendice ci dettaglia con una serie di tavole stralciate dalla sceneggiatura. Una di esse, narrate in flashback, ci mostra nei dintorni di Aranjuez la colonna in marcia dei soldati guidati da Fridman, il quale sente il rintocco delle campane del convento di Rosales. Lopez, allora tenente e commissario, considera il gesto un segnale di avvertimento dei frati per avvertire i franchisti della loro presenza, ma Fridman non la pensa allo stesso modo: la tensione sale perché il primo ordina al secondo di far fucilare i frati intenti a pregare, mentre questi si rifiuta. Gli eccessi contro i religiosi rappresentano senza dubbio uno dei capitoli più neri di questa guerra civile.

A mano a mano che si procede nella lettura, più che l’eroe che combatte per la parte repubblicana, Fridman si rivela come un idealista che cerca a ogni costo di far prevalere l’umanità mentre tutti, perfino Treves, sembrano agire meccanicamente, interiorizzando il manicheismo indotto dalla propaganda.

Quando Fridman entra nell’ultimo appartamento occupato da Treves prima della sua scomparsa, tra le foto e gli effetti personali dell’amico gli riemergono i ricordi. In questo flashback si racconta un ennesimo atto di atrocità. Una fucilazione avallata da Treves e deprecata da Fridman, il quale insinua nell’animo dell’amico il dubbio che la crudeltà equipari le azioni dei repubblicani a quelle dei falangisti.

Nella tavola 21, Max Fridman è sui tetti dell’Eixample, intento a far perdere le proprie tracce, e qui, cinematograficamente, il pensiero non può non andare al Jack Nicholson di “Professione: Reporter”.
Nelle tavole 52, 53 e 54 la storia si avvia alla conclusione: è il capitano Delgado il responsabile della morte di Treves. A Fridman confessa il proprio tradimento, prima di essere ucciso per mano di Eddie.

La disillusione con cui Fridman guarda alla vita e ai rapporti umani è tale che queste tavole, per quanto importanti nell’economia del racconto, lo sono meno per la realtà affettiva del protagonista, che si precipita a Ginevra per assistere al saggio di danza della figlia. Sono le relazioni familiari a riconciliarci con la vita e a farci dimenticare le brutture della guerra.

Tornando al tema della propaganda, essa compare più volte e sotto varie forme in “No pasarán”. Nella forma di manifesti affissi alle pareti, che inneggiano alle forze politiche o militari coinvolte nel conflitto. Altre volte nei giornali dell’epoca con i loro titoli, come “La Vanguardia” e “Mundo obrero”.

Nella tavola 32 del secondo volume vediamo il simbolo ufficiale dello schieramento repubblicano: la bandiera.

Nel film “Ay Carmela!” di Carlos Saura (1990) la protagonista, un’attrice teatrale, viene uccisa sul palcoscenico dai franchisti mentre recita indossando proprio questa bandiera.
Leonardo Sciascia, nel citato racconto “L’antimonio”, spiega l’effetto dei manifesti propagandistici: “… voglio dire che da certe frasi che scrivevano sui muri o sui manifesti e volantini, io avevo il senso di un avvenimento già deciso, ancor prima che cominciasse l’azione che doveva deciderlo; e immaginavo che in ogni soldato della Repubblica quelle parole assumessero fatale verità e bellezza, diventassero decisione e forza. ‹‹Madrid es el baluarte del antifascismo…Teruel sera nuestro››, frasi come queste avevano per me un senso di fatalità. Le parole scorrevano a fiumane, ma ad un certo punto poche parole, una frase, venivano su come portate da un’onda alta, si incidevano con la forza della verità o della fede”.

L’antecedente letterario più celebre sul tema della guerra civile spagnola è indubbiamente il citato romanzo “Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway, rispetto al quale con il fumetto di Vittorio Giardino ci sono coincidenze di sostanza, ma talvolta anche puramente estetiche, affettive. Un esempio è costituito dal comandante Galgo del fumetto, che ha come corrispettivo il generale Golz di Hemingway. Sono entrambi militari sovietici che combattono per la causa repubblicana, e oltre il nome simile hanno entrambi il volto deturpato da cicatrici.

 

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