Nei fumetti della prima metà del Novecento, così come negli altri mass media occidentali dello stesso periodo, gli africani erano spesso visti come selvaggi pericolosi e ingenui, che potevano aspirare a diventare civili solo sottomettendosi all’autorità dei colonizzatori bianchi.

 

Gli eroi del colonialismo

Sia nel mondo dei sogni del Piccolo Nemo, creato da Winsor McCay nel 1905, sia nella precedente serie di Rudolph Dirks, Bibì e Bibò (The Katzenjammer Kids), incentrata su una famiglia di coloni tedeschi in Africa, gli indigeni sono dei pagliacci più o meno  feroci che fanno da contorno alle disavventure dei protagonisti.

Anche il primo eroe africano dei fumetti, il piccolo Bilbolbul, creato nel 1908 dall’italiano Attilio Mussino sulle pagine del Corriere dei Piccoli, sarebbe solo una macchietta stereotipata se le sue avventure non fossero arricchite da geniali metamorfosi grafiche, che danno sostanza fisica a qualunque metafora verbale.

NERI E ALTRE ETNIE NEI FUMETTI

Quanto alla minoranza afroamericana, nella stragrande maggioranza dei fumetti dell’epoca semplicemente non appariva e nei rari casi in cui si vedeva era descritta in modo pesantemente caricaturale.

La serie comica Las Aventuras del Negro Raùl, creata dall’argentino Arturo Lanteri nel 1916, mostra i tentativi frustrati di prendere parte alla società dei bianchi da parte del maldestro e bistrattato protagonista.

Una eccezione riguarda gli Indiani d’America: Little Growling Bird in Windego Land (La piccola Uccello Ringhiante nella terra dei windego), realizzata da S.N.T. Crichton, nel 1907, è incentrata sull’amicizia tra una bambina indiana e una bambina bianca.

Questa serie di tavole anticipa di trent’anni quella dell’indianino disneyano Little Hiawatha, che dall’omonimo cartone animato passerà ai fumetti nel 1940 e a cui seguiranno nei decenni successivi altri piccoli nativi americani creati da autori di vari paesi, a partire dalla versione infantile dell’indio patagone Patoruzù, un eroe comico notissimo in Sudamerica, creato dall’argentino Dante Quinterno nel 1931.

Ma tra gli anni venti e quaranra erano ancora casi rarissimi.
Gli appartenenti a minoranze etniche nei fumetti di quei tempi per lo più facevano “colore”, sia che fossero minacciosi, come i servitori orientali del patrigno miliardario dell’Orfanella Annie, sia che fossero semplicemente buffi, come il cuoco cinese del giovane avventuriero Terry Lee.

Eppure anche solo rappresentare in termini positivi una minoranza etnica al fianco di un eroe particolarmente amato poteva contribuire a combattere dei radicati pregiudizi, così come i suoi eventuali nemici o servitori di colore potevano contribuire a sostenerli.

A questo proposito il belga Hergé nella serie di Tintin, iniziata nel 1929, offre punti di vista opposti.
L’episodio Tintin in Congo riflette la mentalità colonialista verso gli africani. Mentre nella storia Il Loto Blu, del 1931, Tintin stringe una sincera amicizia con un ragazzino orientale di nome Tchang, che in Francia è diventato così famoso da essere immortalato su francobolli e monete, ispirato a un autentico amico cinese dell’autore.

Parlando con Tchang è lo stesso Tintin a esprimersi contro i pregiudizi che bianchi e cinesi nutrono gli uni verso gli altri. Il personaggio di Hergé trae ispirazione dallo scoutismo cattolico dell’epoca e oscilla, quindi, tra paternalismo e sentimenti di amicizia verso gli altri popoli.

Nei fumetti tratti da cicli d’avventure letterari, come quello di Tarzan di Edgar Rice Burroughs e quello di Conan di Robert Erwin Howard, le popolazioni nere sono rappresentate come feroci cannibali, così come venivano rappresentate nei romanzi e nei racconti originali dei primi decenni del Novecento.
Alcuni fumettisti, almeno a partire dagli anni settanta, hanno preferito sorvolare sui dettagli più imbarazzanti.

NERI E ALTRE ETNIE NEI FUMETTI

Per esempio Joe Kubert, riadattando il primo romanzo di Tarzan, modificò radicalmente una scena in cui l’eroe intrappolava un africano e lo uccideva a sangue freddo, trasformandola in uno scontro leale tra due guerrieri.

Lo sceneggiatore dei fumetti di Conan, Roy Thomas, si mantenne più fedele ai racconti di Howard, ma fece disegnare in campo lungo una scena in cui l’eroe barbaro uccideva un cannibale alle spalle, in modo da renderla meno evidente. In altri episodi, gli affiancò degli amici di colore come compagni di lotta e ambientò un suo lungo ciclo di avventure nel Continente nero.

Anche nelle storie di Tim e Spud (Cino e Franco), le tribù africane erano regolarmente sottomesse a capi, re o regine bianchi. Mickey Mouse, nella storia del 1937 “Topolino e il Gorilla Spettro” diceva esplicitamente ai portatori africani che lui era il loro padrone e loro i suoi servi, mentre in un dialogo che fu sostituito in una ristampa del 1969, faceva parlare di tutt’altro.

Altrettanto autoritario e paternalista verso gli indigeni, visti ancora come ingenui e superstiziosi, era agli inizi il pur affascinante e benevolo giustiziere The Phantom (L’Uomo Mascherato), creato dallo sceneggiatore Lee Falk nel 1936, che, come Tarzan, imponeva la sua legge di uomo bianco sulla “giungla” facendosi passare per un essere soprannaturale.

L’altro eroe di Falk, l’ironico ed elegante mago Mandrake, fin dalla sua creazione nel 1934 era sempre accompagnato dal forzuto servitore africano Lothar. Da principio descritto come un bonaccione lento di comprendonio, si fece più intelligente e fu rivestito con abiti moderni, al posto della pelle di leopardo che indossava prima. Smise in pratica di essere un assistente pittoresco ma intellettualmente subordinato a Mandrake, per assumere un ruolo di amico alla pari.

Così Guran, il capo dei pigmei agli ordini di Phantom, assunse sempre più un ruolo di confidente e di vecchio saggio, al posto della caratterizzazione da rozzo “selvaggio ignorante” che aveva all’inizio.

Molto peggio erano i fumetti italiani del periodo coloniale in epoca fascista, tra gli anni trenta e quaranta. Si va dalle tristi tavole comiche di De Seta, che mostrano africani ammaestrati da piccoli balilla, abissini presi a manganellate da italiani ed ebrei che rubano la merenda ai bambini.

Nei fumetti realistici come “Di un’altra razza”, di Giacomo Ponticelli, sono narrate e rappresentate le disgrazie a cui va incontro un italiano per aver sposato una donna turca.
Invece un eroe dalla mascella mussoliniana come il forzuto Dick Fulmine, creato da Baggioli e Cossio nel 1938, per lo più malmenava delinquenti cinesi, ebrei, neri e sudamericani.

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Invece in America, tra i personaggi delle strisce avventurose, c’era anche un cinese: Charlie Chan, ispettore di Honolulu. E c’era Lone Ranger, un pistolero mascherato bianco nato alla radio nel 1933 e trasposto a fumetti nel 1938, che aveva un amico indiano, che pur chiamandosi per qualche strano motivo Tonto era sempre rappresentato con rispetto e dignità.

In Italia, dopo la guerra, i diritti dei pellirosse venivano difesi da Tex, in Argentina dal Sergente Kirk e in Francia da Blueberry. Tex, tra l’altro, nel 1950 sarà il primo protagonista bianco a sposare un’indiana, la principessa navajo Lilyth, battendo sul tempo il film dello stesso anno L’amante indiana di Delmer Davis e distinguendosi così da eroi precedenti come Tarzan e Phantom, che pur regnando su popoli indigeni compiono lunghi viaggi per trovarsi una moglie della propria “razza”.

Un altro giustiziere mascherato nato alla radio è The Green Hornet (Calabrone Verde), che appare in albi a fumetti nel 1940 accompagnato dal partner e autista giapponese Kato. Quest’ultimo personaggio, soprattutto nella versione televisiva del 1966 in cui sarà interpretato da Bruce Lee, finirà per rubare la scena al protagonista, contribuendo a combattere, oltre al crimine, anche le discriminazioni contro gli orientali.

 

Eroi neri piccoli e grandi

Una delle prime serie a fumetti che testimoniano la consistente presenza della minoranza afroamericana negli Usa è quella del detective mascherato The Spirit, creata da Will Eisner nel 1940, in cui fin dall’inizio appare un ragazzino nero di nome Ebony che ben presto diventa l’assistente dell’eroe.

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La sua rappresentazione e quella degli altri afroamericani è però caricaturale, secondo lo stereotipo del “bovero negro” del Sud ingenuo e confusionario. L’autore rimedia in parte nel dopoguerra, conferendo a Ebony uno spazio sempre maggiore, approfondendo la sua psicologia e facendone in pratica il primo personaggio afroamericano protagonista di interi episodi comici davvero elaborati ed espressivi.

Ma nonostante le buone intenzioni, non riesce a liberarlo del tutto dalla caratterizzazione che gli aveva dato all’inizio. Alla fine, nel 1949, preferisce sostituirlo con un analogo personaggio bianco.

Però sempre Eisner anni dopo realizzerà un fumetto ispirato a una storia africana, “Sundiata – A Legend of Africa”, sulla vita di un bambino che crescendo diventa il liberatore e fondatore dell’impero del Mali.

Soprattutto, essendo ebreo, Eisner realizza romanzi a fumetti contro l’antisemitismo, come “Fagin the Jew” (Fagin l’Ebreo), in cui l’omonimo personaggio di Charles Dickens è mostrato sotto una luce meno negativa, e “The Plot” (Il complotto), sulla falsità del documento “I protocolli dei savi di Sion”.

Un altro piccolo afroamericano è protagonista della serie per bambini Bumbazine and Albert the Alligator, creata da Walt Kelly nel 1943, ma il bimbo nero scompare poco dopo e il titolare delle storie diventa l’opossum Pogo, mentre la serie cambia sede e contenuti trasformandosi in una striscia satirica per adulti.

Durante gli anni cinquanta, contemporaneamente ai primi film western filoindiani, come L’ultimo Apache di Robert Aldrich, appaiono diverse serie a fumetti con protagonisti gli Indiani d’America.
Negli Stai Uniti, Apache Kid di John Buscema, American Eagle di John Severin e Turok di Paul S. Newman. In Italia Kociss, Yado e Zà la Mort scritti da Gianluigi Bonelli. Inoltre, l’umoristico Oumpah-Pah dei francesi Goscinny e Uderzo, e Winnetou, realizzato nel 1963 dal tedesco Walter Neugebauer.

Con gli anni sessanta cominciano a diffondersi fumetti con personaggi interrazziali su un piano di parità, come la serie comica La Ribambelle (La Combriccola), creata nel 1962 dal belga Jean Roba, e le strisce di Wee Pals (Piccoli Amici), create nel 1965 dall’afroamericano Morrie Turner.

Sempre nel 1965 appare il primo albo statunitense con protagonista assoluto un eroe afroamericano, Lobo, un cowboy nero ricercato per un omicidio che non ha commesso

L’anno seguente Stan Lee e Jack Kirby creano sulle pagine dei Fantastici Quattro il primo supereroe nero: Black Panther (Pantera Nera), sotto il cui costume si cela T’Challa, re dell’immaginario stato africano di Wakanda, una nazione piccola ma dotata di una tecnologia superiore.

Apparso in seguito anche nelle storie di altri supereroi della Marvel, la Pantera Nera finisce per trovare una sua collocazione nei Vendicatori, con cui combatte tra l’altro la setta razzista dei Figli del Serpente, arrivando poi a ottenere una sua serie personale scritta da Don McGregor. È l’autore nel 1989, insieme al disegnatore Gene Colan, del ciclo intitolato “Panther’s Quest” (La ricerca della pantera), in cui l’eroe nero va in Sudafrica scontrandosi con l’apartheid, la politica di separazione razziale del governo dell’epoca.

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Nel 1967 appare, come nemico di Aquaman, il supercriminale Black Manta (Manta Nera), che insieme ad altri dello stesso gruppo etnico, vuole stabilire un regno sottomarino nell’oceano per sfuggire alle discriminazioni razziali del mondo di superficie.

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Nelle strisce avventurose per i quotidiani americani nel 1968 arriva Dateline: Danger! (da noi intitolata “Inviati Speciali”), con i testi di John Sunders e i disegni di Alden Mc Williams. Troviamo un personaggio nero e uno bianco che collaborano alla pari, in questo caso due giornalisti.

Un’ennesima coppia interrazziale si forma nel 1969, quando a Capitan America viene affiancato l’afroamericano Falcon, che per un certo periodo avrà il nome inserito nella testata della serie.

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Nello stesso periodo negli albi di Spider-Man (l’Uomo Ragno) vengono trattati i problemi razziali, insieme ai movimenti di protesta con personaggi di colore, come il giornalista Joe “Robbie” Robertson, apparso dal 1967.

Nel 1970, nella striscia comica Beetle Bailey di Mort Walker, che prende in giro la vita militare, dopo vent’anni dall’inizio della serie appare il primo soldato afroamericano, il tenente Jackson Flap, che esordisce chiedendo perché non ci siano altri neri nella caserma.

Nello stesso anno esordisce la striscia satirica Doonesbury di Garry Trudeau, inizialmente ambientata in un campus universitario, tra i cui personaggi troviamo l’attivista nero Calvin, costantemente impegnato a protestare per i diritti civili, e il piccolo afroamericano Rufus, a cui il protagonista Mike Doonesbury dà ripetizioni, ma che, vivendo nel ghetto, è per certi versi più maturo del suo insegnante bianco.

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Sempre nel 1970 appaiono due strisce con protagonisti assoluti degli afroamericani: Quincy di Ted Shearer, su un ragazzino di periferia, e Friday Foster di Lawrence e Longaron, su una bella fotografa che vedrà terminare la sua serie dopo appena quattro anni, benché nel 1975 ne venga tratto un film.

Escono anche albi con protagonisti appartenenti ad altre minoranze etniche, come l’indiano bianco (e quindi non proprio indiano – NdR) Firehair (Capelli di Fuoco) di Joe Kubert, per la Dc Comics nel 1969, e il giustiziere indiano Red Wolf (Lupo Rosso) di Gardner Fox e Syd Shores, per la Marvel nel 1972.

Soprattutto si impone il longevo Shang-Chi, Master of Kung-Fu, un eroe cinese creato nel 1973 da Steve Englehart e Jim Starlin, sulla scia del successo dei film di Bruce Lee.

Shang-Chi è un personaggio complesso, un lottatore esperto e letale ma anche sensibile, riflessivo e altruista, che tenta di staccarsi da vecchi stereotipi a cui però è ancora in parte legato, essendo il figlio ribelle del genio del male Fu-Manchu, arcicriminale cinese apparso in un ciclo di romanzi contro il “pericolo giallo” scritti dall’inglese Sax Rohmer dagli anni dieci del Novecento.

Ha forse resistito meglio al passare del tempo la serie degli albi di Luke Cage, Hero for Hire (Luke, Eroe a Pagamento), creata nel 1972 per la Marvel da Archie Goodwin e George Tuska, in cui il protagonista è un afroamericano di Harlem condannato ingiustamente all’ergastolo.
Sottoposto in prigione a un esperimento, acquista una notevole forza e una semi-invulnerabilità, poteri che gli permettono di evadere e di rifarsi una vita sotto un altro nome, come “supereroe in affitto”.

Chi invece non si fa mai pagare per aiutare il prossimo è Skorpio, un originale giustiziere afroamericano dei bassifondi di New York, creato nel 1974 dagli argentini Eugenio Zappietro ed Ernesto Garcia Seijas. Una serie in cui, per una volta, un eroe nero è assistito da un comprimario bianco, l’aitante prete d’origine irlandese padre Flanagan.

Un eroe nero horror è Blade, l’uccisore di vampiri, che esordisce nel 1973 sugli albi di Tomb of Dracula di Marv Wolfman e Gene Colan, per poi diventare protagonista di proprie saltuarie avventure dall’anno seguente e arrivare al successo presso il grande pubblico dal 1998, con i film a lui dedicati.

A volte i supereroi neri esordiscono come sostituti provvisori degli eroi bianchi.
L’architetto nero John Stewart, nel 1972, viene arruolato nel corpo intergalattico delle Lanterne Verdi come riserva dell’agente del settore terrestre Hal Jordan, all’interno di uno storico ciclo di avventure della serie Green Lantern scritto da Denny O’Neil e disegnato da Neal Adams, in cui vengono affrontate varie problematiche sociali, politiche e anche razziali.
Stewart avrà poi l’occasione di sostituire Jordan come membro stabile della Lega della Giustizia, formata dai principali supereroi della Dc Comics.

Altri gruppi della Dc e della Marvel d’ora in poi comprenderanno supereroi di colore, a partire da Forever People (Gli Immortali), una specie di hippy alieni creati da Jack Kirby nel 1971.

A costoro segue la seconda formazione degli X-Men, ideata nel 1975 da Len Wein e Dave Cockrum con membri di vari paesi, di cui la mutante afroamericana Ororo Munroe, detta Storm (Tempesta), diverrà in seguito il leader, sfidando così sia i pregiudizi razziali sia quelli sessuali.

Un altro supereroe sostituto è l’afroamericano Jim Rhodes, apparso nel 1979, che da pilota personale dell’inventore miliardario Tony Stark passa a indossare al suo posto l’armatura di Iron Man quando Stark cade preda dell’alcolismo e quando viene dato per morto.

Un ennesimo sostituto di colore di un eroe bianco è Jason Rusch, che nel 2004 diventa il secondo Firestorm dopo la morte del primo, un supereroe nucleare della Dc Comics dotato della facoltà di trasmutare gli elementi, creato nel 1978.

Curiosamente in seguito il Firestorm originale resuscita e i due personaggi si fondono in un’unica entità: un bianco e un nero che acquistano superpoteri condividendo lo stesso corpo.

 

Coppie miste e afroamericani geniali

Con gli anni settanta nei fumetti arrivano anche le prime storie d’amore tra bianchi e neri. Negli albi della serie Marvel Killraven, nata nel 1973 e ambientata in un futuro dominato dai marziani, si innamorano l’ex-gladiatore afroamericano M’Shulla e la biologa bianca Carmilla Frost.

Per la cronaca il primo bacio interrazziale della storia del fumetto americano appare nell’episodio del luglio 1975, disegnato da P. Craig Russell. Lo sceneggiatore naturalmente è Don McGregor.
In un episodio successivo della stessa serie appare anche un gruppo di afroamericani rifugiatisi nel sottosuolo per allontanarsi dalle discriminazioni subite nel mondo di superficie.

Un rapporto molto più breve è quello che lega il malinconico detective bianco Alack Sinner, creato per la rivista italiana Alterlinus nel 1974 dagli argentini José Munoz e Carlos Sampayo, a una ragazza nera di nome Enfer, nell’episodio “Città Oscura”. Qualche tempo dopo scoprirà di aver avuto una figlia da lei.

Matrimoni interrazziali con relativa prole si moltiplicano nei fumetti western dopo l’uscita, nel 1972, del film Jeremiah Johnson (in Italia Corvo Rosso non avrai il mio scalpo) di Sidney Pollack, in cui Robert Redford interpreta un mountain man che sposa un’indiana.

Lo stesso accade subito dopo a tre personaggi dei fumetti: Buddy Longway, creato nel 1972 dal belga Derib; Jonathan Cartland, realizzato dal 1974 dai francesi Harlé e Blanc-Dumont; e Ken Parker, pubblicato dal 1977 dagli italiani Berardi e Milazzo.

Del resto unioni tra uomini bianchi e donne indiane si erano già viste nei fumetti italiani, oltre che nel già citato Tex, nella Storia del West di Gino D’Antonio del 1967, tra i cui protagonisti trova posto anche l’afroamericano Abele.
In un episodio della Storia del West, “Croce di Fiamma”, si mostrano anche  le violenze del Ku Klux Klan ai danni degli ex-schiavi del Sud.

A questo proposito, merita di essere citato l’episodio di Ken Parker “Adah”, in cui Berardi e Milazzo ripercorrono la vita di una ex-schiava dimostrando come sempre grande sensibilità umana e poetica, perfino nel raccontare le peggiori atrocità.

Restando in ambito western, nel 1976 è l’indiano cheyenne Watami, creato quattordici anni prima dagli argentini Héctor G. Oesterheld e Jorge Moliterni, ad avere una storia d’amore con una donna bianca, che però muore anche se il suo fantasma continua a vegliare su di lui.
Una situazione abbastanza simile si ripete brevemente nella serie Wakantanka, iniziata sempre da Oesterheld nel 1977.

Più leggera e scanzonata è la serie di Gino D’Antonio del 1984 Bella e Bronco, su una coppia mista di simpatici lestofanti del West: un indiano civilizzato e una sensuale bionda. Quest’ultima nel primo numero supera i propri pregiudizi rendendosi conto che il sesso non è diverso anche se fatto con un pellerossa.

Intanto nel 1977 la Dc Comics risponde a Luke Cage e a Black Panther della Marvel, dedicando una testata a Black Lightning (Fulmine Nero), dotato del potere di controllare i campi bioelettrici. La serie chiude dopo un solo anno, ma l’eroe è recuperato cinque anni dopo come membro degli Outsiders guidato da Batman.

Sono un ragazzo nero e una ragazza bianca i supereroi Cloak and Dagger (Cappa e Spada), apparsi per la prima volta nelle storie dell’Uomo Ragno nel 1982 e poi protagonisti di una propria serie. Due giovani che a causa di una droga sperimentale acquistano il potere di manipolare rispettivamente le tenebre e la luce e che usano tali facoltà per combattere i trafficanti di stupefacenti.

Sempre nel 1982, l’umorista Berke Breathed crea le strisce della serie Bloom County: tra i bambini che ne sono protagonisti appare il piccolo afroamericano Oliver Wendell Jones, che è un genio del computer capace di incredibili invenzioni ed esperimenti informatici ai limiti del fantascientifico.

Ma è forse l’ambito musicale quello in cui sarebbe più difficile mettere in dubbio le grandi capacità degli interpreti afroamericani, a cui non a caso alcuni fumettisti hanno tributato doverosi omaggi.

Tra il 1975 e il 1984, l’autore underground Robert Crumb racconta a fumetti la vita leggendaria di alcuni musicisti neri di blues. Un altro musicista nero, ma di jazz, è il protagonista de “L’uomo di Harlem”, pubblicato da Guido Crepax nel 1979. Il jazzista vive una storia d’amore mancata con una ragazza bianca, cercando di salvarla dai gangster.

Nel 1990, nella storia “Blues” di Sergio Toppi, il fantasma di un sassofonista afroamericano esce da una vecchia foto e se ne va in giro a suonare, evocando altri spettri del passato. Nello stesso anno Munoz e Sampayo narrano a fumetti la vita della grande cantante nera Billie Holiday.

Passando al poliziesco, troviamo un paio di coppie interetniche in stile Starsky e Hutch.
Una è quella di Detectives Inc., una miniserie dalla grafica sperimentale incentrata sulla collaborazione tra un investigatore bianco e uno nero, pubblicata nel 1985 da Don Mc Gregor e Marshall Rogers.
L’altra è quella di Nick Raider, una serie italiana meno raffinata ma più longeva iniziata nel 1988, in cui l’omonimo poliziotto della squadra omicidi fa coppia con l’agente afroamericano Marvin Brown.

Rientrano nella fantascienza sociologica due serie in cui i conflitti etnici sfociano nel futuro in vere e proprie guerre razziali: Jeremiah, creata nel 1978 dal belga Hermann Huppen, e Give Me Liberty, pubblicata nel 1990 da Frank Miller e Dave Gibbons.

La protagonista di quest’ultima, la giovane afroamericana Martha Washington, dotata di istintive abilità informatiche, dopo essere riuscita a evadere da un ghetto, prima impara a sopravvivere per strada e poi si arruola nelle forze armate statunitensi, che dopo la nomina di un presidente liberal-democratico vengono impiegate per difendere l’ecosistema contro gli eserciti delle multinazionali.

Nel 1993, dopo la provvisoria morte di Superman, tra coloro che tentano di sostituirlo c’è il nuovo supereroe Steel (Acciaio), sotto la cui armatura tecnologica si cela lo scienziato afroamericano John Henry Irons, che l’anno seguente diventa titolare di una sua serie.
Steel, oltre che contro le bande di strada, combatte le compagnie produttrici di armi e droga. Dalla sua serie è stato anche tratto un film.

Sempre nel 1993, un gruppo di fumettisti afroamericani realizza l’etichetta Milestone Comics per la Dc Comics, che produce quasi esclusivamente testate dedicate a supereroi di colore: Icon, un alieno mutaforma dotato di poteri ancora più vasti di quelli di Superman; Static, l’ennesimo afroamericano dai poteri elettromagnetici; Hardware, un altro eroe nero in armatura considerato uno dei più brillanti scienziati del pianeta; e il gruppo multiculturale Blood Syndacate, composto da superumani di varie etnie.

Aaron McGruder, un altro fumettista afroamericano, nel 1996 crea la striscia The Boondocks (Le Benefiche Accuse), in cui fa satira sulla politica e la cultura americana attraverso gli arguti commenti del protagonista, il piccolo nero radicale Huey Freeman, approdato poi in tv nel 2005 sotto forma di cartone animato.

Contemporaneamente, nella serie horror House of Secrets (La casa dei segreti), realizzata per la Dc Comics nel 1996 da Steven Seagle e Teddy Kristiansen, compare un tribunale spettrale in cui il ruolo dell’avvocato difensore è svolto dal fantasma di Ruby, una giovane afroamericana dell’Alabama che trent’anni prima è stata brutalmente aggredita, accecata e assassinata per aver fatto l’amore con un ragazzo bianco.

Un altro eroe di colore, Michael Holt, atleta e inventore, esordisce nel 1997 nella Società della Giustizia con il nome di Mister Terrific. Creatore di dispositivi miniaturizzati di intelligenza artificiale, Mr. Terrific ricopre il ruolo di presidente del gruppo ed è considerato uno dei tre uomini più intelligenti del mondo.

Nel 1999 Alan Moore e Chris Sprouse, con la serie di Tom Strong creano quella che si potrebbe considerare una versione antirazzista dei vecchi eroi pulp, con il protagonista, nato nel 1900 e rimasto orfano, che viene allevato dagli indigeni di un’immaginaria isola caraibica e in seguito sposa la principessa locale Dalhua, avendo una figlia da lei, la geniale e scapestrata adolescente di colore Tesla Strong.

Tutti su quell’isola si nutrono di una radice che ne accresce la longevità e ne potenzia l’intelligenza, rendendoli in pratica fisicamente e intellettualmente superiori alla maggioranza dei bianchi.

In un episodio Alan Moore si diverte a creare una realtà alternativa in cui il padre di Tom è un marinaio nero invece di uno scienziato bianco e quindi l’eroe stesso, la prima volta che va negli Stati Uniti negli anni venti, deve scontrarsi con i pregiudizi locali per il colore della sua pelle.

Tra gli ultimi protagonisti di colore di un fumetto si può citare anche l’avvocatessa Pepper Russell, creata nel 2008 da Luciano Secchi e Dario Perucca, il primo personaggio afroamericano a cui sia stato intitolato un albo italiano.

Favolosa e tormentata è infine l’intensa storia d’amore tra l’araba Dodola e il nero Zam, nel romanzo a fumetti Habibi, pubblicato nel 2011 dall’americano Craig Thompson, che attinge a piene mani alle tradizioni mistiche mediorientali nel raccontare come il rapporto tra i protagonisti, due giovanissimi schiavi in fuga, si evolva gradualmente da un legame protettivo di tipo materno.

Ritrovandosi dopo una lunga separazione entrambi prigionieri nell’harem di un sultano, la loro passione spirituale si dimostrerà capace di superare e trascendere ogni cosa, in un sentimento espresso dal titolo che in arabo significa “mio amato”.

 

I razzisti nei fumetti di oggi sono ormai relegati al ruolo di cattivi, come l’assassino Bloodsport, apparso nelle storie di Superman nel 1993. Il quale non solo massacra tutti i neri che incontra, ma anche i bianchi che hanno rapporti con loro…

 

 

(Da Segreti di Pulcinella).

 

 

 

2 pensiero su “NERI E ALTRE ETNIE NEI FUMETTI”
  1. Ricordo anche, negli anni ’70 sul Corriere dei Ragazzi, Tomboy, ex schiavo che diventa giustiziere mascherato nel West, con i disegni di Nadir Quinto.

  2. Ricordo ” The Boondocks”, la striscia pubblicata dal 1996 ( anche in Italia su “Linus”) e da cui è stata tratta anche una serie animata.

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