Il 9 gennaio del 1873 morì a nemmeno 65 anni d’età, nel villaggio inglese di Chislehurst dove si era auto-esiliato, Charles Louis Napoléon Bonaparte, meglio conosciuto come Napoleone III, imperatore dei francesi.

Si era da poco sottoposto a due sfortunati interventi di litotrissia (intervento per eliminare i calcoli renali), che avevano aggravato le sue già precarie condizioni di salute, tanto che la morte lo colse fra atroci dolori provocati da quello che l’autopsia avrebbe rivelato essere un calcolo renale della grandezza di “un uovo di piccione”.

Emblematico fu il destino di questo personaggio, condannato dai posteri a una veloce “damnatio memoriae” a differenza del suo ben più famoso zio Napoleone I, passato alla storia come uno dei massimi strateghi militari e politici che abbiano mai calcato le scene mondiali.

Se quest’ultimo dall’immaginario collettivo sarebbe stato considerato come “il Grande”, al primo, causticamente ribattezzato “il Piccolo” da Victor Hugo, non fu mai perdonata l’ingloriosa sconfitta subita a Sedan nel 1870 a opera dei prussiani.

Al giovane Charles l’ingombrante parentela risultò più d’impiccio che d’aiuto, costretto come fu con entrambi i genitori prima e poi, dopo la loro separazione, con la sola madre Ortensia de Beauharnais, a peregrinare in giro per l’Europa per tutta la durata della Restaurazione borbonica e, poi, sotto il regno di Luigi Filippo d’Orleans.

In Italia nel 1831 aderì alla Carboneria, fantasticando su una possibile liberazione del Paese dagli stranieri e sulla sua conseguente unificazione.

Si trasferì poi in Inghilterra, dove orchestrò due maldestri tentativi di colpo di stato da attuarsi in Francia, il secondo dei quali gli costò la condanna a sei anni di reclusione in una fortezza della Piccardia, dalla quale riuscì a evadere in maniera rocambolesca travestito da operaio, per rifugiarsi di nuovo a Londra.

Poté rientrare a Parigi soltanto nel 1848, quando una nuova rivoluzione costrinse Luigi Filippo ad abdicare con la conseguente proclamazione della Repubblica.

Charles ne approfittò per candidarsi all’Assemblea Costituente e poi a quella Nazionale, risultando sempre eletto.

Forte del suo nome, tentò subito il “colpaccio” presentandosi alle elezioni presidenziali di quello stesso anno, e anche qui vinse in modo quasi plebiscitario dopo aver proposto un programma politico per certi versi conservatore, perché basato su parole d’ordine quali religione, famiglia, proprietà, e sotto altri aspetti progressista, con la promessa di pensioni di vecchiaia per tutti, oltre a una sostanziale ridistribuzione della pressione fiscale.

Quando però, secondo il dettato costituzionale, avrebbe dovuto lasciare la carica, con il golpe del 2 dicembre 1851 sciolse l’Assemblea Nazionale, mise sotto controllo i giornali e represse nel sangue i pochi tumulti popolari scoppiati qua e là, inviando i soggetti più facinorosi nei terribili bagni penali della Guyana.

Per darsi un’aura di legalità organizzò un plebiscito popolare che sancì il trionfale ritorno dell’Impero. Con lui la Francia ricevette un impulso eccezionale in materia di politica economica, che consentì al Paese di crescere a tassi a doppia cifra percentuale grazie a un aumento esponenziale dell’export e delle produzioni industriale ed agricola, favorito anche dalla rapida estensione della rete ferroviaria e dallo sviluppo dei trasporti marittimi.

In politica estera intraprese la vittoriosa Guerra di Crimea, ma soprattutto, dopo gli accordi siglati nell’estate del 1858 a Plombières con il Conte di Cavour, con la campagna militare del 1959 realizzò il suo sogno di giovane carbonaro, contribuendo in maniera decisiva all’unificazione del nostro Paese e alla sua liberazione dal giogo austriaco.

Cadde infine nella trappola tesagli dal cancelliere prussiano Bismarck, che fece di tutto per farsi dichiarare guerra ben sapendo che il suo esercito era di gran lunga più numeroso e meglio attrezzato di quello francese. Così la guerra franco-prussiana del 1870 si trasformò in un trionfo per i tedeschi, che infersero il colpo di grazia ai loro avversari a Sedan, facendo prigioniero lo stesso Napoleone III che, coprendosi di vergogna agli occhi dei suoi connazionali, si consegnò ai nemici.

Fu la sua fine politica e personale, che l’obbligò a un’ultima fuga in Inghilterra, dove avrebbe trascorso nel semi-anonimato gli ultimi due anni di vita, tormentato da incessanti crisi di coscienza oltre che dai calcoli renali che l’avrebbero portato alla tomba.

NAPOLEONE III
“Ritratto di Napoleone III di Francia” di Franz Xaver Winterhalter, 1855. Museo Napoleonico, Roma





3 pensiero su “NAPOLEONE III, L’UNIFICATORE DELL’ITALIA”
  1. Caro Pagani, dimentichi la restaurazione armata dello stato Pontificio nel 1849 contro la repubblica di Mazzini e Garibaldi. Ciò provocò anche l’attentato di Orsini nel 1858 con 8 morti e 156 feriti. La successiva guerra del 1859 venne interrotta sul più bello, dopo la vittoria decisiva di Solferino, e Napoleone III perse così il credito che aveva in Italia.

  2. Altre notizie: Napoleone III approfittando della guerra di secessione negli USA invase il Messico, ma non poté tenerlo, e l’imperatore-fantoccio, Massimiliano d’Asburgo, venne fucilato.
    Da recenti ricerche sul suo DNA, risulterebbe che non era un vero Bonaparte, ma il figlio di un amante della madre Ortensia Beauharnais.

  3. L’Italia gli è stata assai poco riconoscente, piazze, monumenti, nessuno. Credo anche in nome di quell’anticlericalismo che non poteva sopportare la protezione accordata al Papato, una costante nella storia di quella grande nazione che nemmeno un Napoleone poteva trascurare. L’odio che poi nutrivano per lui i democratici, Garibaldi in testa, e la presunzione degli altri di aver fatto tutto da soli fece il resto. Eppure senza di lui non solo la Lombardia ma anche le Due Sicilie non sarebbero cadute. Nel secondo caso per le sue imposizioni che azzopparono il già fragile giovane Francesco II e le sue ambiguità che successivamente ne minarono la conduzione della guerra.

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