MUSSOLINI E FUMETTO, FASCISTA PERFETTO?

In Italia il fumetto è legato al regime di Mussolini dal suo stesso atto di nascita, anche se si parla spesso di una presunta forte ostilità del fascismo nei suoi confronti: in realtà questa era dovuta dagli intellettuali in generale, al di là delle correnti politiche a cui appartenevano.

Già nel lontano 1908, nell’Italia liberale, i personaggi dei fumetti creati in America a fine Ottocento vengono presentati dal Corriere dei Piccoli con l’evirazione dei balloon (le nuvolette) per essere corredati dalle ormai anacronistiche didascalie con rime baciate.

Ecco alcune pagine del primo numero del Corriere dei Piccoli del 1908. Apre Mimmo / Buster Brown di Richard Felton Outcalt (autore anche di Yellow Kid), mentre Frederick Burr Opper (autore anche di Fortunello / Happy Hooligan) lo troviamo a pagina 13 con Checca / Maud. Gli italiani Attilio Mussino, autore di due tavole, e Antonio Rubino, in questo numero presente solo con alcune vignette in bianco e nero, non sono comunque da meno degli americani. “Sfogliando” questo Corrierino ci rendiamo conto come doveva essere un settimanale per bambini secondo il pensiero degli intellettuali dell’epoca. Data la convinzione dura a morire che i fumetti da soli non vadano bene perché poco educativi, troviamo pagine di testo (pur illustrate) ancora nel Topolino degli anni Duemila! Tutti gli altri periodici di fumetti che presentavano pagine di testo sono falliti da tempo, in Italia come nel resto d’Europa (gli americani li hanno eliminati sul nascere, mentre i giapponesi ci sono arrivati tra gli anni cinquanta e sessanta).


La rottura con la stucchevole tradizione ottocentesca avviene solo dal 1934, quando la Nerbini (casa editrice che ha sostenuto Mussolini dai tempi in cui era socialista) lancia il settimanale L’Avventuroso, con fumetti d’azione finalmente dotati di nuvolette.

In questo caso mi limito alla prima pagina: il resto lo trovate nella splendida serie di articoli illustratissimi dedicati a L’Avventuroso di Leonardo Gori. I balloon irrompono fragorosamente sulla scena italiana dalla prima tavola di Flash Gordon disegnata da Alex Raymond.


Grazie al grande successo de L’Avventuroso, i fumetti iniziano a dilagare nelle edicole, e anche se non credo che il settimanale arrivi a vendere mezzo milione di copie, come affermano alcuni, di certo influenza la società, proponendo, insieme al cinema, un “immaginario” più vivace e vario rispetto a quello di un Paese contadino ancora profondamente cattolico.

Il regime fascista nutre davvero avversione per il fumetto? Intanto il “fascismo” non è un’ideologia strutturata, è quello che pensa in un dato momento Benito Mussolini, il quale oggi manda l’esercito al confine per impedire all’allievo Adolf Hitler di conquistare l’Austria e il giorno dopo si allea con lo stesso allievo pensando di guadagnarci qualcosa. Non risulta che Mussolini leggesse fumetti, sappiamo invece che i suoi figli più piccoli ne sono grandi divoratori e che lui non contrasta in alcun modo la loro passione.

Cosa dovrebbero vederci di male i fascisti nei fumetti, poi? Il biondo Flash Gordon combatte Ming, una sorta di bieco cinese a capo di uno Stato feudale, il quale rappresenta iconograficamente il nemico perfetto dei colonialisti fascisti. Ci sono, è vero, serie di fumetti piene zeppe di criminali, come quella di Red Barry, e sappiamo che la rappresentazione della delinquenza è invisa a Mussolini. Però, a guardare bene, questi criminali non albergano nella “sana” Italia fascista, piuttosto allignano nell’America capitalista o plutocratica, come viene chiamata dai fasci.

In alto e in basso: vignette di Red Barry pubblicate da “La Risata”, settimanale della futura Casa Editrice Universo (zanzate dagli articoli pubblicati su Giornale POP di Leonardo Gori)


Parlare degli Stati Uniti consumisti per dire quanto siano moralmente marci non è affatto estraneo alla letteratura in voga nell’Italia fascista: in quegli anni si traducono scrittori americani fortemente critici nei confronti del proprio Paese. Si tratta della famosa “altra America” (presunta buona) che gli intellettuali italiani, cambiando opportunamente partito di riferimento, riproporranno nel dopoguerra sempre opponendola alla (presunta cattiva) America capitalistica.

Anche nei giornali si parla con piacere degli aspetti più sordidi dell’America per mettere in cattiva luce l’idea stessa di democrazia, per esempio descrivendo la disdicevole usanza, durata fino all’inizio degli anni trenta, di linciare pubblicamente i supposti criminali neri in alcuni Stati del Sud.

Per tornare ai fumetti, i malviventi vengono sempre puniti in maniera esemplare dall’eroe di turno o dalla mano invisibile del destino.
Quindi, ripetiamo, cosa dovrebbero trovarci di male i fascisti, a parte una rappresentazione a volte “eccessiva” della violenza?

Sopra e sotto: vignette di Radio Patrol, la striscia di Eddie Sullivan e Charles Schmidt pubblicata in Italia da “L’Avventuroso” (fregate dagli articoli di Leonardo Gori)


Semmai stupisce che non sia intervenuto con decisione l’allora potentissimo Vaticano: è bastata, per esempio, l’incazzatura del papa per indurre l’ateo Mussolini a chiedere agli editori di rendere meno scollacciate le illustrazioni di Gino Boccasile e compagni nei periodici satirici come “Grandi firme”, peraltro destinati agli adulti. Invece per i fumetti, spesso violenti e qualche volta scollacciati pure loro, non c’è nessuna protesta a noi nota da parte di Pio XI.

Vignetta della strip X9 con donna scollacciata, pubblicata da “L’Avventuroso”: soggetto di Dashiell Hammett, sceneggiatura di James H.S. Moynihan e disegni di Alex Raymond (ciulata pure questa dagli articoli di Leonardo Gori)

Un vero problema per i fumetti è rappresentato dalla tendenza del governo fascista di dare retta agli “esperti”, in questo caso ai pedagogisti.
I pedagogisti (come tutti gli uomini di cultura italiani dell’epoca) considerano il fumetto un pugno nello stomaco alla nostra tradizione letteraria per l’infanzia, la quale respinge sdegnata i dialoghi piazzati all’interno di nuvolette svolazzanti tra disegni troppo movimentati, compiacendosi, invece, delle poesiole o, al massimo, delle didascalie in bella prosa eventualmente sormontate da graziose illustrazioni. Il tutto, s’intende, per raccontare storielle edificanti.
Insomma, vogliamo o non vogliamo coltivare armoniosamente la sensibilità estetica dei fanciullini? Ecchecazzo.

In realtà i pedagogisti vengono ascoltati fino a un certo punto, dato che per anni il fascismo permette la pubblicazione di fumetti anche molto crudi limitandosi a chiedere ogni tanto moderazione agli editori.
Però quando Mussolini decide di dare un taglio alle importazioni, sia per la mania del protezionismo tipico dei nazionalisti sia per prepararsi a qualche guerra (che immagina comunque di impegno limitato e non troppo gravose), quale giustificazione migliore si può adottare delle vecchie accuse lanciate dai pedagogisti, per intervenire con mano pesante sui fumetti facendoci pure bella figura tra la gente colta?

Il fatto che nel momento in cui ci si allea con la Germania di Hitler il ministero preposto ordini di dare un taglio alla produzione americana di film, musica e fumetti, senza comunque ottenerlo pienamente fino allo scoppio della guerra, non significa che questa produzione sia veramente invisa al fascismo.
Negli anni duemila sono stati pubblicati i diari di Clara Petacci (sui quali non ci sono dubbi di autenticità perché conservati sin dalla fine della guerra nell’archivio di Stato), dove possiamo leggere le vere opinioni di Mussolini, non quelle date alla stampa per motivi propagandistici. Vi leggiamo che Mussolini considera i film italiani, che pure ha sostenuto grandemente con la fondazione di Cinecittà, delle schifezze in confronto a quelli americani. Non era quindi tra quelli che, ieri come oggi, sostengono la superiorità artistica del cinema europeo. Se poi Mussolini fa dire ai suoi ministri il contrario dipende solo dalle ragioni economiche e di politica internazionale che abbiamo visto.
Le spiegazioni che accompagnano questo tipo di decisioni sono, in realtà, delle scuse elaborate in maniera tale da essere ben accolte dal pubblico intellettuale. La stessa casta spaccamarroni che cambierà bandiera dopo la caduta del fascismo per poter continuare a inveire contro la cultura popolare d’oltreoceano almeno fino agli anni sessanta, con poche voci dissonanti per lo più della generazione successiva: Elio Vittorini, Gianni Rodari, Oreste Del Buono e Umberto Eco.

Davanti alla prospettiva della guerra alla fine si bloccano davvero i fumetti americani, facendo una eccezione iniziale per Topolino e pochi altri (“Eccetto Topolino” è il titolo di un libro fondamentale sullo sviluppo del fumetto in Italia scritto da Leonardo Gori, Fabio Gadducci e Sergio Lama, che tra breve uscirà in una nuova edizione aggiornata: da non perdere per nessuna ragione al mondo!). Mussolini salva Topolino soprattutto perché considera Walt Disney un genio. Quando i soldati italiani trovano una copia del film animato “Fantasia” in un accampamento inglese del Nordafrica, la spediscono al duce che se lo guarda ben bene trovandolo fantastico. E non c’è alcun dubbio che, in precedenza, Mussolini abbia ricevuto l’adorato Walt Disney in persona nella propria abitazione privata, data la dettagliata testimonianza di uno dei figli.

Strano peraltro come i dittatori siano tutti appassionati di Walt Disney. In Germania, dove i forti dazi voluti dal nazismo rendono ben presto antieconomica l’esportazione dei prodotti Disney, il ministro della Propaganda Joseph Goebbels regala una serie di cartoni animati contrabbandati di Topolino ad Adolf Hitler suscitando il suo entusiasmo. Anche Khomeyni, che nel 1979 farà sprofondare l’Iran nel fanatismo sciita, è un ammiratore dei cartoni di Topolino.
A me, invece, i tecnicamente perfetti cartoni di Topolino non piacciono affatto: preferisco di gran lunga quelli trasgressivi e più divertenti di Braccio di Ferro realizzati dal rivale Max Fleischer, proiettati con meno clamore anch’essi nell’Italia fascista.

Un “fumetto”, definito “cineromanzo”, pubblicato dal settimanale cattolico “Il Vittorioso” nel 1944: la storia di Colombi e Chiletto ha le didascalie in prosa al posto delle nuvolette. Di passaggio, si noti la censura dell’ultimo momento sulla frase “Viva Savoia!” resasi necessaria perché da alcuni mesi esistevano due governi italiani: quello monarchico del Sud controllato dagli Alleati e quello repubblicano del Centro e del Nord controllato dai tedeschi. La redazione si trovava a Roma

Durante la Seconda guerra mondiale i fumetti italiani, per disamericanizzarsi del tutto, debbono tornare a usare le didascalie al posto delle nuvolette, come succedeva prima degli anni trenta. Mentre nei Paesi europei occupati dai nazisti, dove i pedagogisti rompono meno o comunque non vengono ascoltati, i fumetti continuano a uscire più belli che mai con le nuvolette regolamentari (si veda, tra gli altri, Tintin del collaborazionista Hergé). Anche il cinema francese fiorisce, si pensi allo scabroso “Il corvo” (1943) del presunto collaborazionista, ma sicuramente grande regista, Henri-Georges Clouzot.

 

Mussolini eroe dei fumetti americani?

Benito Mussolini è molto amato dagli italiani suoi contemporanei, almeno finché non perderà la guerra. Anche all’estero il dittatore fascista viene considerato uno dei più grandi statisti del mondo, se non il più grande. Negli anni prima della guerra Mussolini è idolatrato dal giovane John F. Kennedy fino al maturo Winston Churchill, passando per il pacifista Gandhi. I motivi risalgono alla paura suscitata dalla salita al potere dei comunisti in Russia e dai successivi anni prerivoluzionari che hanno quasi travolto l’Italia.


A partire dal 1919, quindi dopo la fine della Prima guerra mondiale, la parte dei socialisti che aveva osteggiato fin dall’inizio il conflitto (il Partito comunista italiano nascerà da una costola del socialismo nel 1921) organizza ogni giorno manifestazioni più o meno violente contro chi, come Mussolini, lo avevano sostenuto. Si inneggia ai disertori e vengono oltraggiati i reduci, con scene che ricordano l’inizio del primo film di Rambo. L’Italia è l’unico Paese vincitore dove non vengono organizzati festeggiamenti nel primo anniversario della fine della guerra, per timore che accada l’apocalisse. I socialisti, dopo avere vinto le elezioni in diverse città, cominciano a incitare apertamente il popolo alla rivoluzione, alla distruzione della proprietà privata. Gli uomini in divisa soli per strada vengono regolarmente pestati a sangue, e qualcuno finisce pure ammazzato. Il sistema ferroviario è in mano agli estremisti, che lo usano in maniera politica vietando, per esempio, ai membri delle forze dell’ordine di salire sui vagoni. D’altra parte i treni accumulano ore di ritardo o non viaggiano affatto. I netturbini, in questo disordine, pur percependo lo stipendio raramente puliscono le strade, facendo accumulare la spazzatura. E a volte le città finiscono nel buio, perché gli elettricisti incrociano le braccia. Telefonia e poste cadono a loro volta in preda al caos. Agli oratori non socialisti viene spesso impedito di tenere comizi e sempre di più si sente un grido: “Vogliamo la dittatura del proletariato come in Russia”. Gli imprenditori, per paura dell’avvento del comunismo, accettano le continue richieste di aumenti di salario, anche quando finiscono per essere antieconomiche. Alcuni edifici pubblici vengono occupati, senza che la polizia reagisca per evitare il bagno di sangue. La situazione è anche peggiore nelle regioni dove i socialisti sono più forti, come l’Emilia-Romagna: qui è del tutto impossibile per gli esponenti degli altri partiti esprimersi liberamente e gli imprenditori devono sottostare a ogni tipo di angheria. Chi cerca di rifiutarsi alle imposizioni viene “boicottato”: diventa cioè un appestato non più in grado di svolgere alcuna attività professionale, perché tutti lo evitano per non avere guai.

Gli agitatori ottengono anche diritti sacrosanti per i lavoratori, ma la maggioranza degli italiani non vuole lo Stato comunista. Benito Mussolini, un politico spregiudicato con un passato nell’estrema sinistra e un presente tra i nazionalisti, fiuta l’aria che tira e coglie l’occasione: il Partito fascista, dopo due anni di sostanziale inerzia (è stato fondato nel 1919), passa all’azione. I fascisti contrastano con violenza i socialisti e gli appena nati comunisti, trovando l’immediato sostegno degli imprenditori, che li finanziano, e la poco dissimulata simpatia da parte dell’amministrazione statale. Oggi può stupire che infine, nel 1922, Mussolini venga chiamato dal re per formare il governo, ma per molti italiani dell’epoca è una decisione salutare: finalmente i treni arriveranno in orario.
(Che quella di Vittorio Emanuele III sia invece una decisione terribilmente sbagliata sono davvero in pochi a capirlo: per l’inizio della Resistenza occorrerà aspettare fino alla fine del 1943, con l’invasione dell’Italia meridionale da parte degli Alleati, l’arresto di Mussolini, l’alleanza militare con gli ex nemici decisa dal governo Badoglio e la calata dei tedeschi).

L’ammirazione di Mussolini negli anni venti e trenta investe Hollywood e, io credo, anche gli autori dei fumetti americani, o almeno alcuni. Quando Chester Gould inizia a disegnare il suo famoso sbirro, ha in mente la Chicago in cui vive, dominata dai gangster che impongono le loro regole anche alla politica locale. Chi può salvare la città dal caos? Chi può essere il “benefico” Mussolini di Chicago? Un personaggio che finisce presto per somigliargli per la mascella squadrata, il tratto distintivo del look mussoliniano: Dick Tracy (del quale ho parlato diffusamente QUI).


La mascella squadrata più o meno ce l’ha già Captain Easy di Roy Crane (un eroe capostipite del fumetto avventuroso purtroppo dimenticato a vantaggio dei fumetti fotografici di Hal Foster) ed è stata ripresa dai personaggi di Terry e i pirati di Milton Caniff (che all’inizio si ispira a Crane), ma solo la “deformazione mascellare” dell’eroe di Chester Gould arriva alle estreme conseguenze geometriche assimilabili a certi grafismi usati per rappresentare sinteticamente il volto del duce. La mascella di Dick Tracy è considerata eccezionale anche dagli stessi americani, come dimostra, per esempio, la parodia che ne fa Al Capp con Fearless Fosdick.
In seguito la mascella fortemente squadrata verrà ripresa da altri personaggi dei fumetti, come il citato Red Barry di Will Gould e Batman di Bob Kane, il quale rappresenta la versione supereroistica di Dick Tracy.


Il cerchio si chiude quando nel 1938 Vincenzo Baggioli e Carlo Cossio creano il Dick Tracy de noantri chiamandolo Dick Fulmine, a sua volta modello per il futuro Tex Willer come spiego QUI. Gli disegnano il mascellone dell’eroe americano forse nemmeno sospettando la derivazione mussoliniana, sempre ammesso che vi sia. Quando arriva il divieto di importare fumetti stranieri si racconta che i funzionari del ministero di Cultura popolare (MinCulPop) vogliano vedere all’opera Cossio per convincersi che il disegnatore sia veramente italiano.
Quella della “prova di disegno” davanti ai funzionari è forse una leggenda popolare, raccontata anche in altri Paesi (in Olanda viene tirato in ballo Marten Toonder).

Insomma, a un certo punto i fascisti arrivano a maltrattare i fumetti per motivi economici e bellici, più che “morali”. Colpendo così anche alcuni personaggi che, attraverso un contorto passaggio transoceanico, forse omaggiano graficamente (e contenutisticamente) il loro duce come “impareggiabile uomo d’ordine”.

I pedagogisti, e gli intellettuali in genere, continuano la loro crociata contro il fumetto anche dopo la Seconda guerra mondiale, trovando sostegno sia nella Democrazia cristiana al potere sia nel Partito comunista all’opposizione. Nel tentativo di rendere i fumetti “meno diseducativi” possibile, negli anni cinquanta i due maggiori partiti italiani fanno sentire la loro voce sulla scia della “caccia alle streghe” innescata in America dallo psicologo socialista Fredric Wertham e cavalcata anche lì dalla politica: dal microscopico Partito comunista locale fino alla potente destra repubblicana. Arrivando, sia in America sia in Italia, all’istituzione di organismi fortemente censori.
Questo per ribadire come l’avversione verso il fumetto non fosse monopolio dell’epoca fascista.

Bisognerà attendere gli anni ottanta, anche se Neil Postman c’era già arrivato nei sessanta con il saggio “Ecologia dei media” e addirittura il drammaturgo Friedrich Schiller nel Settecento con le “Lettere sull’educazione estetica dell’uomo”, perché i pedagogisti riconoscano finalmente ai bambini il diritto di divertirsi senza il dovere di imparare per forza qualcosa.

 

Di Sauro Pennacchioli

Contatto E-mail: info@giornale.pop

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