MUSICA E FUMETTO DAI BEATLES A DE ANDRÉ

Musica e Fumetto sono forme di espressione più o meno complementari, che proprio per questo possono sembrare inconciliabili.
Ovviamente la musica in sé non può contenere immagini e le storie a fumetti non possono produrre suoni (per unire dimensione visiva e sonora si deve necessariamente ricorrere a trasposizioni teatrali, animate o cinematografiche), eppure questi due media apparentemente lontani hanno interagito spesso e in vari modi.

Un primo punto di contatto consiste nel testo, le parole che entrambi utilizzano regolarmente in forme più o meno sintetiche ed evocative e, in certi casi, non è quindi troppo difficile trasporre le canzoni in immagini.

Vari fumettisti hanno usato testi di canzoni come didascalie, per esempio l’autore underground Robert Crumb, che ha disegnato brevi storie surreali basate su brani blues, o l’illustratore Charles Vess, che nel volume “Ballads” (Ballate) del 1997 ha trasformato alcuni brani della tradizione celtica e britannica in fumetti dallo stile minuzioso e raffinato quanto quello di antiche incisioni.

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O ancora il disegnatore Claudio Villa, che in un breve episodio fuori serie di Dylan Dog del 1996 ha reso in immagini il brano “Le Vie dei Colori” di Claudio Baglioni. Altro caso di fumetto ispirato a una canzone è il volume “Unico indizio le scarpe da tennis”, di Davide Barzi, Marco Villa e Sergio Gerasi. Una storia noir che prende spunto dal brano di Enzo Jannacci “El portava i scarp del tennis”.

A vantaggio di chi sa leggere uno spartito, a volte è inserita a margine delle sequenze a fumetti anche la precisa scrittura delle note musicali, come in certi episodi di Ken Parker di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, in uno dei quali a cantare è una sosia di Marilyn Monroe.
Lo stesso accade in diverse storie di Cinzia Leone, i cui fumetti sono spesso accompagnati da una vera e propria colonna sonora scritta.

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Benché accada più di rado, niente vieta di usare brani originali: un episodio del 1947 dell’ironica serie poliziesca The Spirit di Will Eisner e il romanzo a fumetti fantapolitico V for Vendetta di Alan Moore e David Lloyd contenevano una canzone inedita, con tanto di spartito, scritta dallo sceneggiatore e solo in seguito incisa in un disco.

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Altri fumettisti si sono cimentati nella trasposizione di intere opere liriche, avvantaggiati dalla forma narrativa di questo settore musicale. Della “Tetralogia dell’Anello dei Nibelunghi” di Richard Wagner esistono due versioni a fumetti, una di Roy Thomas e Gil Kane, e un’altra più lunga di P. Craig Russell.

Russel è un autore specializzato nella “lirica disegnata”, che ha adattato in immagini con stile meravigliosamente cesellato varie opere, da “Parsifal” a “Il Flauto Magico”, fino a “I Pagliacci” e a “Cavalleria Rusticana”.

In Italia, nello stesso genere, va segnalata una serie di quattro opere verdiane adattate a fumetti in modo estroso e originale dallo sceneggiatore Stefano Ascari e dai disegnatori Alberto Pagliaro e Cesare Buffagni. In quest’ultimo caso gli albi a fumetti sono anche stati allegati ai relativi Cd musicali, il ché ne fa una proposta editoriale abbastanza innovativa per l’Italia, ma non una novità assoluta.

Tra i fumetti allegati a dischi si possono citare anche un albo del mutante Wolverine disegnato dall’artista inglese John Bolton in allegato al disco “Wolverine Blues” degli Entombed; il fumetto “Break the Chain” di Kile Baker con allegata una cassetta del rapper Krs-One; il volume “Heroes of Blues, Jazz & Country” di Robert Crumb con allegato un Cd di brani scelti dall’autore: e il piccolo album a fumetti “Noir” di Altan, dall’insolito formato quadrato perché allegato all’omonimo disco jazz del trombettista Enrico Rava, che è anche protagonista della vicenda disegnata.

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D’altronde diversi disegnatori di fumetti si sono dedicati in parallelo alle copertine di dischi, a partire da Guido Crepax, autore anche di un esplicito omaggio alla musica jazz con l’album a fumetti “L’Uomo di Harlem”, passando per l’artista underground americano Richard Corben, fino all’illustratore inglese Dave McKean, autore di affascinanti collage di foto e disegni.
MUSICA E FUMETTO DAI BEATLES A DE ANDRÉIn casi più rari, si è assistito a tentativi di fusioni sperimentali tra dischi e fumetti, fino a trasformare gli interni della copertina in un libro per immagini vero e proprio, come nel caso dell’Lp “Il Grande Sogno” di Roberto Vecchioni, illustrato da un’intera squadra di grandi fumettisti (Andrea Pazienza, Hugo Pratt, Milo Manara, Moebius e Sesar), o del disco “From Beyond the Grave!” illustrato da John Romita.

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Ovviamente possiamo trovare copertine dalla grafica fumettistica, o con sopra gli eroi stessi dei fumetti, anche su alcuni dischi che ai fumetti si sono direttamente ispirati, come “Ken” di Pippo Pollina, esplicito omaggio alla saga western dello scout Ken Parker, o come “La ballata di Tex Willer”, un 45 giri pubblicizzato nel 1980 sugli albi di Tex.

Altri brani, come “Tex” dei Litfiba, sono solo vagamente ispirati ai fumetti omonimi, mentre dischi a tema ufficiali sono stati composti per le versioni cinematografiche di fumetti, come la colonna sonora di “Flash Gordon” realizzata dai Queen, o quella di “Batman” firmata da Prince per il film di Tim Burton del 1989.

Non si contano poi le sigle televisive, soprattutto per le serie animate tratte da fumetti, sigle per lo più realizzate appositamente ma non sempre, come il brano “Planet O”, il cui 45 giri fu ridistribuito con in copertina un’immagine tratta dal fumetto Lupin III di Monkey Punch, solo dopo essere stato usato come sigla dell’omonima serie animata.

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Un po’ più rari sono i personaggi dei fumetti che agiscono in ambito musicale: si va dalla cantante mutante Dazzler, creata nel 1980 da Tom DeFalco e John Romita Jr., che ha il potere di trasformare la musica in energia luminosa, all’eroina Gea, ideata nel 1999 da Luca Enoch, che oltre a lottare contro demoni di altre dimensioni suona in un complesso rock.

Capita che qualche personaggio si dedichi alla musica saltuariamente, come l’androide Ranxerox creato da Stefano Tamburini e Tanino Liberatore, che alla fine del primo episodio del 1981 si esibisce in un musical cantando e ballando dopo aver registrato nella sua memoria artificiale l’intero repertorio di Fred Astaire, o la giovane protagonista della serie horror House of Secrets del 1996, che inizialmente compone testi di canzoni per un gruppo grunge.

Anche nei fumetti della rivista francese Metal Hurlant, uscita nel 1974, sono apparse spesso storie con musicisti in cui si esasperano atteggiamenti ed eccessi del mondo dello spettacolo, un genere in cui si è specializzato in particolare Alain Voss, autore dell’album Heilman, su un cantante dal look nazista.

Quando nel 1977 è uscita l’edizione Usa della testata, Metal Hurlant è stato tradotto Heavy Metal, collegandosi così a un genere musicale ben preciso (siamo sicuri che tale espressione fosse già diffusa? noi di quegli anni ricordiamo l’hard rock – NdR), e nell’edizione italiana della rivista è uscito uno speciale “Metal Extra” interamente dedicato al rock.

In Italia cantanti immaginari apparsi in storie simili, slegate da una serie, sono stati Francesco Stella, la cui stralunata carriera pop ambientata in un’immaginaria Italia del futuro è stata dipinta splendidamente da Andrea Pazienza in poche grandi vignette dell’omonima storia uscita nel 1979 sulla rivista Cannibale.
Oppure Tristan Homer, rockstar del futuro con la faccia di Jim Morrison protagonista del fumetto “Primo in Classifica” di Albano, Lavagna e Liani, apparso nel 1992 sulla rivista Cyborg.

Un altro fumetto con un rapporto molto stretto con la musica è la miniserie dark The Crow (Il Corvo) di James O’Barr, ispirata da un’esperienza dell’autore e da un fatto di cronaca, ma anche dalle canzoni dei Joy Division e dei Cure, i cui testi furono riportati in appendice agli albi originali, o citati nei titoli dei primi capitoli della storia.

Gli stessi Cure collaborarono alla colonna sonora del film tratto dal fumetto, che fu affidata a vari gruppi dark e rock, per cui, nel caso de Il Corvo, fumetto e musica finirono per ispirarsi a vicenda, interagendo sempre più strettamente grazie a una versione cinematografica la cui regia fu affidata non a caso ad Alex Proyas, specializzato nella direzione di videoclip musicali, mentre lo stesso protagonista, Eric Draven, nel film divenne un musicista rock. Del resto, a una versione di questo fumetto in tiratura limitata del 1993 era stato anche allegato un CD del complesso dei Trust Obey, di cui faceva parte lo stesso O’Barr.

Non mancano gli autori di fumetti che si sono cimentati in campo musicale: alcuni sono stati chitarristi e cantanti, come l’artista multimediale Jim Steranko e il disegnatore underground Vaughn Bodé, altri hanno composto canzoni, come gli sceneggiatori italiani Giancarlo Berardi, Tiziano Sclavi e Gianfranco Manfredi.

O come l’inglese Alan Moore, che è stato anche cantante in un gruppo chiamato “The Emperors of Ice Cream”. Vari testi delle canzoni di quest’ultimo sono stati poi adattati a fumetti nei volumi “Liriche di Sangue”, illustrato dallo spagnolo Juan José Ryp, e “Magical Mystery Moore”, opera di altri suoi connazionali, mentre Moore stesso ha prodotto con i musicisti David J e Tim Perkins dei Cd sperimentali di performance dal vivo, a loro volta adattati a fumetti da Eddie Campbell.


Tra i cantautori-fumettisti più famosi si può ricordare Francesco Guccini, che alla fine degli anni sessanta ha scritto le sceneggiature di una serie di fumetti di fantascienza e di alcuni caroselli animati in collaborazione con l’amico disegnatore Bonvi.

Anche Don Backy si è cimentato più volte nel campo del fumetto ispirandosi alle proprie esperienze discografiche, ma con risultati non eccelsi. Un altro cantautore, Luciano Ligabue, è arrivato al fumetto indirettamente con il suo romanzo di fantascienza “La neve se ne frega”, uscito nel 2004 e adattato a fumetti nel 2008 da Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli.

Il versatile Davide Toffolo riesce a condurre due carriere in parallelo, come autore di romanzi a fumetti e come membro del gruppo musicale “Tre allegri ragazzi morti”, con buoni risultati in entrambi i campi.

Gli “Allegri ragazzi morti” nel 1999 sono stati poi protagonisti di una fantasiosa serie a fumetti dello stesso Toffolo, ma non è l’unico caso in cui un gruppo o un cantante reale ha ispirato un fumetto.

La prima apparizione di Cattivik, abbozzata da Bonvi alla fine degli anni sessanta, vedeva questa perfida caricatura degli eroi neri perseguitare il gruppo dell’Equipe 84, ma anche altri fumettisti hanno dedicato storie a cantanti noti, come il già citato fan del blues Robert Crumb, o i francesi Philippe Manoeuvre e Serge Clerk, che nella serie Rock City, uscita su Metal Hurlant tra gli anni settanta e ottanta, hanno rievocato a fumetti la carriera di vari gruppi musicali dell’epoca, come i Blondie e i Cramps, ma stravolgendone completamente la biografia.

Su una falsariga simile, a metà tra realtà e fantasia, sono due storie a fumetti su veri cantanti rock, scritte dal giornalista musicale Red Ronnie e disegnate da Ghiro sotto la supervisione di Bonvi, che sono uscite a puntate nel 1981 sul supplemento “Strisce e Musica” del quotidiano La Nazione, con l’intento di denunciare il cinismo dello show business e le manipolazioni mediatiche del potere.

Nello stesso periodo, il fumettista che si è più specializzato in campo musicale è Massimo Cavezzali, un autore che prende in giro i cantanti più noti con caricature dallo stile scarno ma efficace, sia in semplici vignette o tavole pubblicate su riviste specializzate che in volumi dai titoli scherzosi, come “Piglia e Dalla in Concerto”, “A Ovest di De Gregori” e “Rock, Amore e Chewingum”, usciti tra il 1981 e il 1982.

Da parte sua, la Marvel Comics negli anni settanta ha pubblicato un album a fumetti dei Beatles e altri sul gruppo rock glamour dei Kiss.
Sull’albo Time Spirits, edito dalla sezione Epic della Marvel, nel 1985 è apparso lo spirito di Jimi Hendrix, una delle migliori citazioni di una rockstar all’interno di una serie a fumetti.

In seguito è stata varata la linea Marvel Music, dedicata a fumetti collegati alla musica. L’opera più importante di questa etichetta è probabilmente The Last Temptation (L’ultima tentazione), una affascinante miniserie horror del 1994, di Neil Gaiman e Michael Zulli, prodotta insieme all’omonimo concept album del cantante hard rock Alice Cooper.
Questi appare nel fumetto come un demoniaco imbonitore teatrale, che rende schiavo chi accetta di partecipare al suo spettacolo (un monito a non vendersi allo show business per ambizioni di successo).

L’editrice americana indipendente Revolutionary Comics nei primi anni novanta ha pubblicato una linea di fumetti sulle rockstar realizzata da esordienti, mentre è stato curato da autori più esperti un albo del 1992 intitolato al cantante Prince, rappresentato come un eroe che usa la chitarra e l’energia della musica come una sorta di superpoteri.

Passando a un fumetto italiano di vent’anni dopo, è fantasiosa anche la serie in quattro volumi iniziata nel 2013 Punk is Undead, di Paolo Baron e Ernesto Carbonetti, in cui, seguendo la moda del momento, alcuni famosi cantanti e musicisti rock scomparsi da tempo resuscitano sotto forma di zombie.

Tra i fumetti più fedeli alla reale vita dei cantanti, uno degli esempi più affascinanti è senz’altro un episodio del detective Alack Sinner del 1990 intitolato “Billie Holiday”, degli argentini Carlos Sampayo e José Muñoz, una storia dallo stile sintetico ed evocativo dedicata alla travagliata esistenza della più famosa cantante blues.

Anche negli ultimi tempi non è raro trovare in volume biografie a fumetti di cantanti famosi, più che altro scomparsi come Jim Morrison o Giorgio Gaber, o un’antologia di storie a fumetti dedicate ai Beatles e non manca neanche “La storia del rock a fumetti” e “La storia del metal a fumetti” (realizzate dall’esperto del settore Enzo Rizzi sotto il titolo “Heavy Bone”, con un paio di pagine sulla biografia di ogni gruppo).

Dal punto di vista artistico, anche solo per l’alta qualità delle immagini, i due libri più interessanti del genere usciti negli ultimi anni sono forse Uomo Faber, in cui la vita di Fabrizio De André è rievocata in modo leggero e poetico, e The Fifth Beatle: the Brian Epstein Story, sui retroscena poco noti di come un intraprendente manager dilettante rese i Beatles il gruppo più famoso del mondo.

Uomo Faber, scritto dal giornalista Fabrizio Càlzia e dipinto ad acquerello e mezza tinta da Ivo Milazzo, è un esempio di come il linguaggio del fumetto può sfruttare tutte le elaborate soluzioni grafiche e di montaggio messe a punto nell’ambito della produzione seriale, per raccontare ed evocare in modo efficace quegli stessi sentimenti e sensazioni interiori che trovano espressione nelle canzoni di un grande autore come De André.

Qui il fumetto non appare né subordinato a un altro media né didascalico nella descrizione di fatti reali, come troppo spesso succede, ma usando un linguaggio puramente visivo narra di come Fabrizio De André poco prima della sua ultima tournée torni a visitare i luoghi della sua infanzia, gli stessi che gli hanno ispirato alcune delle sue canzoni, per poi addormentarsi e sognare, in un misto di passato e futuro, di realtà e immaginazione, alcuni dei momenti salienti della sua vita, momenti importanti più in senso personale e poetico che anagrafico o storico.

Ciò che si rievoca qui, in un contesto familiare e colloquiale, è la sensibilità umana dell’artista De André, le cui parole sono in parte ricavate dalle interviste o dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto. Non si ripercorrono le tappe fondamentali della sua carriera, né le ispirazioni artistiche o le molte collaborazioni musicali (anche se, in quanto amici, appaiono ovviamente alcuni suoi colleghi, come Mauro Pagani e Andrea Parodi), ma si cerca idealmente di far riaffiorare dalla sua memoria, liberamente rielaborate, le esperienze più intime e sentite, quelle che probabilmente costituivano l’humus di emozioni, scoperte, necessità interiori e relazioni umane che lo hanno reso ciò che era e che ancora continua a essere per tutti noi, grazie alla profondità delle sue canzoni.

Nel sogno, le immagini dei suoi ricordi si alternano rapidamente l’una all’altra, con improvvisi salti di tempo, dalla partenza forzata dalla casa rurale della sua infanzia, in cui aveva passato gli anni più felici, all’ingresso del piccolo Fabrizio nella scuola elementare di Genova, con le immagini del futuro pestaggio della scuola Diaz che si sovrappongono a quelle del massacro del “Fiume Sand Creek” cantato in una sua canzone, dagli “scontri” verbali col professore ipocrita che frequenta di nascosto le prostitute di “Via del Campo” all’incontro con il futuro prete contestatore Don Andrea Gallo, dalla frequentazione abituale delle persone più discriminate per la loro diversità al riconoscimento definitivo della propria indole anarchica, dal rifiuto del perbenismo borghese, ma anche del fanatismo politico, ai giorni della Sardegna, del lungo sequestro e della liberazione insieme a Dori Ghezzi, fino alla scelta finale del ritorno a una vita agreste in cui ritrovare la serenità perduta del passato, brevemente interrotta da un viaggio per mare in cui non manca l’incontro fortuito con una delle tante tragedie che insanguinano il Mediterraneo, né l’aiuto di una figura paterna opportunamente camuffata che lo salva da sé stesso riportandolo a casa.

Ad aleggiare su tutto, alla fine, ritorna proprio l’importanza del rapporto padre-figlio, in particolare quello difficile tra Fabrizio e suo padre, Giuseppe De André, con il quale sembra essere riuscito a riconciliarsi definitivamente solo dopo la sua morte, anche cercando di non ripetere gli stessi errori nel rapporto con il proprio figlio Cristiano.

Difficile dire in quanti o quali punti della storia la grande padronanza visiva di Ivo Milazzo abbia salvato l’andamento del racconto, data l’inesperienza fumettistica dello sceneggiatore. Comunque, essendo messo nettamente in secondo piano l’aspetto della precisione e della coerenza storica, non si può dire che si tratti di una vera e propria biografia a fumetti e più d’un passaggio può apparire un po’ sibillino, per chi non conosca già almeno gli elementi essenziali della vita di De André.

Più che un accurato romanzo a fumetti, di quelli che oggi si chiamano anche “fumetti di realtà”, diciamo che si tratta di un lungo racconto per immagini che si svolge per lo più in una soffusa dimensione onirica, in cui le regole della realtà sono sospese, o, se vogliamo, di un giusto e riuscito tentativo di fare della poesia a fumetti, volendo ricordare l’autore che più di ogni altro è considerato un poeta della canzone.

“Il quinto Beatle: la storia di Brian Epstein”, scritto da Vivek J. Tiwary, sceneggiatore e produttore in vari campi, e splendidamente dipinto da Andrew C. Robinson, artista specializzato in copertine, è un altro bellissimo romanzo a fumetti che condivide con Uomo Faber il fatto di schierarsi dalla parte di chi è discriminato, in questo caso per le proprie inclinazioni sessuali.

Il protagonista, Brian Epstein, ebreo e omosessuale, ha dovuto accontentarsi nella sua breve vita di poche torbide relazioni clandestine con soggetti poco raccomandabili che si approfittarono di lui, rischiando costantemente il carcere a causa delle leggi omofobe del suo paese, il Regno Unito, in cui perfino un grande scrittore come Oscar Wilde ebbe la carriera e la vita distrutte da una pesante condanna per omosessualità.

Nonostante tutta la sua solitudine e fragilità, e le troppe pillole contro l’ansia che lo vediamo assumere continuamente nel corso della storia, Epstein, questo giovane imprenditore che gestiva brillantemente il negozio di dischi di famiglia a Liverpool, dopo aver sentito suonare in un seminterrato una rock band semisconosciuta di nome Beatles, intuendone il potenziale si lancia da un momento all’altro nella carriera di manager musicale, ripetendo a tutti che i quattro diventeranno “più grandi di Elvis”.

È difficile valutare quanto siano stati determinanti, nel successo dei Beatles, la sensibilità e l’intraprendenza di Epstein, visto che, come si vede nella storia, quando li incontrò il loro stile era completamente diverso e molto più aggressivo. Avevano giubbotti di pelle e pettinature con il ciuffo, come i tipici rockers dell’epoca. Dicevano parolacce sul palco, fumavano in pubblico pur essendo giovanissimi e la loro musica aveva un sound più duro (che però i fan del rock puristi potrebbero considerare migliore in quanto meno commerciale).

Grazie alle accurate ricerche di Tiwary, per il quale questo personaggio è stato una vera e propria fonte di ispirazione, scopriamo come fu proprio Brian Epstein, prendendo spunto dall’eleganza dei toreador, a imporre ai Beatles il loro abbigliamento da “bravi ragazzi” e la loro pettinatura a caschetto, un look insomma più rassicurante e apprezzabile dal grande pubblico, insieme al divieto di fumare o fare qualsiasi altra cosa di sconveniente (e per quanto fosse lasciato loro il completo controllo artistico sulle canzoni, chissà che questo non abbia influito indirettamente anche sugli arrangiamenti musicali).

Dopo aver trovato con difficoltà una piccola etichetta disposta a mettere i Beatles sotto contratto (nonostante le sue conoscenze nel settore non riuscì a convincere nessuna grossa casa discografica del valore della band), visto che la casa madre non faceva loro nessuna propaganda Epstein profuse le risorse del negozio per sostenere la carriera dei suoi protetti, ordinandone i dischi in grandi quantità e facendo richiedere continuamente i loro brani alla radio dai suoi dipendenti.

Una volta famosi in Gran Bretagna, ottenne di farli esordire degnamente alla tv americana, solo perché chiese un compenso ridicolmente basso.
Insomma, senza il suo aiuto i Beatles avrebbero rischiato di restare una oscura rock band come tante, nota solo a una ristretta cerchia di fan a Liverpool.

Questo romanzo a fumetti svela questi retroscena con una grafica accattivante e retrò che, a ogni immagine, dalle vignette più piccole, in cui prevale la narrazione in tempo reale, alle grandi illustrazioni a tutta pagina, che condensano periodi più lunghi in eleganti composizioni pop, rimanda costantemente allo stile degli anni sessanta.

Inoltre, mette a confronto due opposti approcci allo show business, uno avido del tutto disinteressato all’aspetto artistico, come quello incarnato dal tronfio e volgare manager texano di Elvis Presley, e uno più onesto e rispettoso del valore e dell’indipendenza artistica degli autori, come quello rappresentato da Epstein. Il quale, prima di scomparire prematuramente, protesse in ogni modo i Beatles accollandosi la responsabilità e i rischi di tutti gli aspetti organizzativi e imprenditoriali e arrivando a rifondere di nascosto dei mancati guadagni di tasca propria, quando gli sembrava di non aver fatto a sufficienza l’interesse dei suoi artisti.

Di fatto, è proprio con la morte di Epstein, con la scomparsa di questo “quinto Beatle” evidentemente indispensabile, che per il quartetto di Liverpool iniziarono i problemi. Trovandosi a un tratto a dover gestire da soli una carriera di tale portata e gli enormi profitti che ne derivavano, emersero le rivalità di leadership tra Lennon e Mc Carthy, che fino a quel momento erano state accantonate per collaborare amichevolmente e proficuamente dal punto di vista artistico.
Senza più Epstein a prendersi cura di loro, fu solo questione di tempo prima che giungesse anche la fine dei Beatles come gruppo.

 

 

(Da Segreti di Pulcinella).

 

 

 

2 pensiero su “MUSICA E FUMETTO DAI BEATLES A DE ANDRÉ”
  1. a memoria, a proposito del nome della rivista Heavy Metal, nel 1977 in USA il termine “Heavy Metal” era già parecchio diffuso, grazie a alcuni critici musicali americani (Rolling Stone e Creem) che l’avevano introdotto nelle loro recensioni sin dalla fine degli anni Sessanta; sarà poi a inizio anni Ottanta, con l’heavy metal delle origini ormai defunto, che la storiografia musicale cercherá di definirne la fisionomia stilistica, mentre fino a quel momento era in effetti stato intercambiabile con un hard rock dalle sonorità particolarmente feroci (nel 1977 si stava già entrando nel punk);
    è però pur vero che secondo alcuni autori il nome della versione americana fu scelto anche per altre suggestioni non musicali e perché l'”hurlant” originale non è propriamente urlante in senso letterale: non a caso il nome della rivista francese fu inventato da Mandryka, autore del fondamentale Cetriolo mascherato, che nei testi del Cetriolo giocava su una grafia per assonanze e nonsense; gli studiosi sono piuttosto concordi nel ritenere che l’hurlant della pubblicazione faccia più riferimento a un rumore, persino a una sorta di ululato o di mugghiare che a un vero e proprio metallo che urla; tradurre hurlant con howling o screaming avrebbe probabilmente tradito la vaghezza dell’intenzione originale, tanto valeva cambiar tutto; va anche ricordato che il significato originale di heavy metal è da ricondurre alla tavola degli elementi, con tutte le simbologie connesse;

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