MORENO BURATTINI, LA MENTE DI ZAGOR

Scambiamo due chiacchiere con Moreno Burattini, sceneggiatore di fumetti, illustratore, scrittore, critico, curatore di mostre, libraio e collezionista di comics e autore teatrale, nato il 7 settembre 1962 a San Marcello Pistoiese, ma trasferitosi giovanissimo a Firenze. Burattini ha voluto rispondere ad alcune domande che gli abbiamo posto.

Da sempre appassionato di “letteratura disegnata”, oggetto anche della sua tesi di laurea, dà vita nel 1985 alla fanzine “Collezionare”. È su quelle pagine che crea il suo primo personaggio, Battista il Collezionista. Nel 1992 è tra i fondatori della prozine “Dime Press”, dedicata ai temi bonelliani. Dall’inizio della sua carriera a oggi ha contribuito con articoli alle più importanti riviste specializzate e ha pubblicato vari libri di critica fumettistica, numerosi saggi, interventi e prefazioni. Ha organizzato numerose mostre in svariate sedi. Alla sua attività di critico e sceneggiatore va inoltre aggiunta quella di conferenziere sul linguaggio e sulla storia del fumetto e insegnante di sceneggiatura in corsi e lezioni tenuti in tutta Italia. La sua attività di sceneggiatore professionista ha inizio nel 1990 sulle pagine della rivista “Mostri” della Acme, dove compare una miniserie di racconti di ambientazione medievale disegnati da Stefano Andreucci. Seguono poi numerose sceneggiature per “Intrepido”, “Il giornale dei Misteri”, “Cattivik” e “Lupo Alberto”, personaggio per cui scrive tre serie di successo: “Le maialate di Enrico La Talpa”, “McKenzie Memories” e “Vite da Talpe”.

Il suo esordio sotto il marchio Bonelli è datato maggio 1991, quando escono contemporaneamente il suo primo special di Cico dal titolo “Cico Trapper” e la sua prima storia di Zagor, “Pericolo Mortale”. Si inaugura così una nutrita serie di avventure e di speciali zagoriani a sua firma che da allora proseguono a essere scritte e pubblicate ininterrottamente.

Dal 2001 Burattini è anche assistente di redazione e lavora presso la Casa editrice. Sempre per la Bonelli, Burattini ha scritto storie del Comandante Mark. Nel 1995 gli sono stati attribuiti due premi prestigiosi: il Premio Anafi come miglior soggettista e il Premio “Fumo di China” come miglior autore umoristico. Durante l’edizione 2003 di Lucca Comics si aggiudica il prestigioso Gran Guinigi, e datato marzo 2006 è il premio Cartoomics-If, entrambi come miglior sceneggiatore.

Per i pochi lettori che non ti conoscono, potresti spendere due parole per presentarti, dirci qualcosa della multinazionale del fumetto per la quale lavori e sul ruolo che svolgi al suo interno?

Non riesco a considerare la Sergio Bonelli Editore una “multinazionale” del fumetto perché per me è casa mia, e i miei colleghi, con cui lavoro gomito a gomito in redazione, sono amici, se non addirittura famigliari, che condividono con me la passione per ciò che facciamo con spirito e dedizione da azienda artigianale. In ogni caso la proprietà è tutta italiana, anche se abbiamo collaboratori di vari paesi e pubblichiamo i nostri fumetti in mezzo mondo. Questo mio sentirmi parte di una grande famiglia più che di una “industria” deriva dai primi anni in cui Sergio Bonelli mi ha chiamato a lavorare con lui (il mio primo contatto professionale è datato 1989) quando in via Buonarroti a Milano il clima era davvero quello di un ambiente domestico e io ho trovato la mia collocazione naturale. Oggi i tempi sono cambiati e temo ci siano ormai due Bonelli: quella che ancora fa i fumetti lavorando a mano su ogni vignetta, e quella che produce materiali multimediali di ogni genere realizzati fuori dalla redazione, di cui spesso non so nulla finché non li vedo. Diciamo comunque che io continuo a fare il mio lavoro di sempre, che è quello che mi piace e l’unico che so fare: scrivere storie e curare, oltre alle mie, le tavole degli altri collaboratori dello staff di Zagor. Quindi seleziono i progetti, mi accerto che siano condotti a termine nel migliore dei modi in relazione alle nostre capacità, approvo o faccio correggere testi e disegni, quindi presento sul tavolo del direttore gli albi già pronti per la stampa, nei tempi giusti perché le scadenze vengano rispettate. Mi occupo anche della promozione del personaggio nelle varie kermesse fumettistiche e in Rete. A questa attività redazionale si affianca la mia attività casalinga di scrittore di circa mille pagine di sceneggiatura ogni anno.

Agli albori della tua carriera nel campo della nona arte nel 1985 hai creato una fanzine, “Collezionare”. Puoi raccontare la sua genesi e le vicende che l’hanno portata, nel 1992, a diventare la rivista “Dime Press”?

“Collezionare” era davvero una “fanzine” nel senso originale del termine: fans magazine, rivista fatta da appassionati, non da professionisti. Inizialmente scrivevamo gli articoli con la macchina da scrivere e stampavamo pochissime copie con il ciclostile a manovella. Con il tempo, la piccola testata, “voce” di un Club del Collezionista che aveva sede nei locali di una parrocchia di Campi Bisenzio, è cresciuta e noi che la curavamo siamo passati all’impaginazione a computer e alla stampa in offset. Dopo aver iniziato a partecipare con un nostro stand alle mostre-mercato che riuscivamo a raggiungere, ci siamo fatti conoscere anche al di là della provincia di Firenze. Con i nostri “speciali” monografici dedicati a personaggi e autori come Carl Barks, Zagor, Alan Ford, abbiamo venduto centinaia di copie, oltre ogni rosea previsione, nonostante l’artigianalità dei prodotti. Alla fine, eravamo così impegnati dal dover seguire le spedizioni via posta di chi ci richiedeva le pubblicazioni che non siamo stati più in grado, pochi e mal organizzati come eravamo, di gestire la troppa crescita della nostra rivista. Serviva una casa editrice vera e propria che ci supportasse. L’abbiamo trovata nella Glamour di Antonio Vianovi, che fu entusiasta di accogliere la nostra proposta di trasformare la fanzine in una testata professionale, tutta dedicata alla produzione Bonelli, appunto “Dime Press”. Per alcuni anni, fu un vero e proprio successo editoriale, da cui comunque mi distaccai a un certo punto perché troppo impegnato con il mio lavoro su Zagor.

Su “Collezionare” ha esordito il tuo primo personaggio a fumetti: Battista il collezionista. Chi è e quali sono le sue caratteristiche?

Battista nacque per caso per riempire uno spazio vuoto sul primo numero di “Collezionare”. Feci la caricatura di uno degli amici del “Club del Collezionista”, Enrico Cecchi, e inventai al volo un nome buffo. Sul numero due, pensai di rendere Battista protagonista di strisce umoristiche all’americana, mettendo a fuoco le sue caratteristiche: quelle di un maniaco del collezionismo disposto a tutto pur di mettere le mani su un pezzo mancante. Attorno a lui ho iniziato a far muovere alcuni comprimari: la fidanzata Michelina, l’amico Filiberto, il rivale Salvatore il Raccoglitore. Dopo le strip vennero le storie lunghe, che inizialmente disegnai io, poi feci illustrare da alcuni disegnatori più bravi di me, come Francesco Bastianoni e Paolo Campinoti, destinati a divenire professionisti (il primo su Nathan Never, il secondo in casa Disney). Dopo una ventina di storie, ho reso Battista “avversario” di Cattivik in ben tre avventure scritte da me e illustrate da Giorgio Sommacal. In seguito altri giovani autori si sono “impossessati” del personaggio e hanno realizzato, con la mia benedizione, alcune storie apocrife: la più recente è da poco uscita su “Sbam!”, una rivista telematica scaricabile dal Web.

Quando è nata la tua passione per Zagor e quando hai deciso che questo sarebbe stato il personaggio a cui dedicare il resto della tua carriera?

La mia passione per Zagor è nata da bambino, quando lessi per la prima volta alcune sue avventure, scritte da Guido Nolitta e disegnate da Gallieno Ferri, e ne rimasi folgorato. Poiché ho scoperto fin dalle elementari che il mio più grande sogno era quello di diventare uno scrittore, è stato fatale accostare questa ambizione a quella di scrivere fumetti e in particolare storie dello Spirito con la Scure, l’eroe da me più amato. Ricordo che divoravo le avventure del Re di Darkwood e mi dicevo: “Ma quant’è bravo Guido Nolitta! Come vorrei essere in grado di inventare racconti così avvincenti, come fa lui”.

Hai scritto sia fumetti comici sia realistici. Quali differenze hai trovato nell’approcciarti a questi due ambiti?

Il mio approccio è istintivo in entrambi i casi: ho letto così tanto umorismo e così tanta avventura che mi viene naturale esprimermi secondo i ritmi del tipo di narrazione che sto affrontando. È come quando qualcuno suona a orecchio. Poi non c’è dubbio che, razionalizzando, riesco a rendermi conto delle differenze con cui ci si deve approcciare ai due diversi ambiti. E non c’è dubbio che sia il genere umoristico quello più difficile. Scrivendo scene realistiche hai molte scelte a disposizione, per far ridere c’è una strada sola: quella di scrivere con i tempi giusti. Se sbagli una virgola, una intonazione o il momento, la scena comica non fa più ridere. Quella realistica ha un bersaglio più ampio su cui far centro.

Quali diversità ci sono nello scrivere fiction rispetto ai fumetti?

Si utilizzano dei codici diversi. Si fa riferimento a modelli differenti. Io quando scrivo una pagina di sceneggiatura “penso” a fumetti. Vedo già la tavola disegnata. Non sono in grado di pensare in modo cinematografico o televisivo, o almeno capisco che chi scrive fiction per mestiere sa farlo meglio di me. Perciò non mi interessa cambiare medium. E sono convinto che anche i più bravi sceneggiatori di fiction siano consapevoli delle difficoltà che avrebbero loro nel cimentarsi con i fumetti. Si tratta di assecondare ciascuno il proprio talento.

Oltre a occuparti di Zagor come editor e a sceneggiare le sue avventure hai svolto attività di critico di fumetti, illustratore, e scrittore di narrativa e di aforismi. Puoi fornire un breve cenno su ciascuna di queste tue occupazioni?

Sgombro subito il campo dall’equivoco che io possa essere un illustratore, se non per gioco. Non so disegnare e non voglio rubare il mestiere a nessuno. È vero che ho realizzato i disegni di un libro per bambini, “Un nuovo amico per il signor Stravideo”, scritto da Bruno Santini, ma si tratta un divertissement fatto per una persona a cui sono legato da decennale amicizia. Più che “critico” mi sento uno “storico” del fumetto, dato che mi sono dedicato a tracciare disamine su autori e personaggi inserendoli nel giusto contesto. Persino la mia tesi di laurea è stata di argomento fumettistico: in questo caso, sulle tecniche di sceneggiatura. Dunque mi sono anche cimentato come, mi si passi il termine, semiologo. Ho scritto anche decine e decine di articoli per le più svariate destinazioni. Come autore di narrativa, confesso limitatezza della mia produzione: qualche racconto e un solo romanzo, uscito però in due diverse edizioni e pubblicato anche all’estero, dedicato comunque a Zagor. Gli aforismi invece sono un approdo recente dopo tanti anni in cui ne ho coltivato la passione come lettore e collezionista di quelli altrui. Da qualche mese è uscita una antologia dal titolo “Utili sputi di riflessione” in cui ho raccolto oltre duemila massime e minime, battute e giochi parole pubblicati precedentemente su Twitter e Facebook. Il volume è andato benissimo al punto che è praticamente esaurito.

Qual è la tua giornata tipo?

Se sono a Milano, arrivo in ufficio alle nove e ne esco alle diciotto e trenta (con una pausa per il pranzo). Tornato a casa, dopo cena aggiorno i miei due blog, scrivo articoli o leggo fino a tardi. Nei weekend, che trascorro in Toscana, sceneggio le mie storie. Sono uno molto veloce nel riempire le pagine bianche, e di solito “buona la prima”, per cui macino una gran quantità di lavoro.

Il numero 600 di Zagor, uscito qualche mese fa, riporta sulla costolina il numero 651. Puoi spiegare ai lettori questo mistero?

Zagor comparve in edicola nel giugno del 1961 nel formato a “a striscia” tipico dell’epoca. Nel luglio del 1965 le strisce di Zagor iniziarono a venire ristampate in veste gigante all’interno della serie-contenitore denominata “Collana Zenith”, a partire dal n° 52. Questa collana, inaugurata nel 1960, aveva fino ad allora, cioè fino al n° 51, ospitato appunto delle ristampe di testate a striscia, come Honfo, Kociss, Giubba Rossa o Un Ragazzo nel Far West. Il successo di Zagor nel formato ad albo fu tale che da allora la collana è rimasta sempre appannaggio dello Spirito con la Scure. Negli anni Settanta le strisce hanno cessato le pubblicazioni e le storie inedite sono stare realizzate appositamente per la Zenith. Però, è rimasta la numerazione in costolina con il numero aumentato di 51 unità, croce e delizia di tutti i collezionisti. Una volta mi fu chiesto di spiegare tutto ciò persino nella rubrica gestita dalla Treccani sulle pagine de “Lo Specchio” della Stampa.

Su questo numero tornano gli Akkroniani e si da inizio a un ciclo di storie che vedono il ritorno in scena del professor Hellingen. Puoi spendere qualche parola su questi personaggi e presentare ai lettori gli autori di questa avventura (Jacopo Rauch, Marco Verni e Gianni Sedioli)?

Gli Akkroniani sono una razza aliena (proveniente dal pianeta Akkron, appunto) ideata da Guido Nolitta nell’ultima storia di Zagor uscita a sua firma. In quella avventura, divenuta un cult, gli extraterrestri si alleano con il professor Hellingen, uno dei più pericolosi nemici dello Spirito con la Scure. Il Re di Darkwood riesce a sconfiggerli grazie alle armi magiche lasciate in eredità da un antico “eroe rosso”, che già in passato aveva affrontato e battuto gli stessi avversari. Jacopo Rauch ha proposto di far tornare sulla scena questi alieni nel n° 600, numero speciale a colori, dato che ogni numero “centenario”, fermi restando i disegni di Gallieno Ferri, è sempre stato appannaggio di un diverso sceneggiatore (Nolitta per primo, poi Sclavi con il n° 200, Toninelli con il n° 300 e così via). Questa volta toccava a lui, che se lo merita per la sua lunga militanza zagoriana, e si è giocato la carta extraterrestre, con ottimi risultati, secondo me. Dato che tornavano gli Akkroniani, mi è sembrato una buona mossa far tornare anche Hellingen: i disegni sono stati affidati a Gianni Sedioli (matite) e Marco Verni (chine), che in coppia formano un team molto apprezzato dai lettori e sortiscono risultati più convincenti che ciascuno preso singolarmente, sommando i rispettivi talenti.

Perché, secondo te, la Sergio Bonelli Editore dopo anni di “immobilismo” ha deciso di uscire in libreria con volumi delle sue pubblicazioni?

L’ “immobilismo” bonelliano in realtà non c’è mai stato perché la Casa editrice ha sempre sperimentato le formule più diverse fin dai tempi della collana “Un uomo un’ avventura” passando per le riviste “Pilot” e “Orient Express” fino ad arrivare alle miniserie. Tuttavia è vero che finché c’è stato Sergio la produzione era concentrata sui prodotti da edicola. Oggi, visto che la edicole stanno scomparendo e non sono più un canale sufficiente a garantire aumenti di fatturato (pur restando il veicolo principale della nostra distribuzione), è stato giocoforza diversificare le proposte. Diversificazione che non si limita ai volumi da libreria ma anche a produzioni audiovisive e multimediali, a gadget e a un variegato merchandising.

I primi libri usciti nella collana da libreria: “Tex Vendetta indiana” e “Zagor la marcia della disperazione” raccolgono storie classiche in cima alle preferenze dei lettori delle due collane. Condividi questa scelta o avresti gestito la pubblicazione in altro modo?

Le prime uscite in libreria hanno proseguito le due linee della Mondadori, che per anni ha proposto materiale Bonelli sia informato Oscar che in volumi strenna cartonati e a colori. Così, se “Vendetta indiana” e “La marcia della disperazione” sono state confezionate in bianco e nero e in brossura, ci sono stati due cartonati, uno dedicato a Tex e uno a Mister No, pubblicati a colori: esattamente secondo la consuetudine mondadoriana, nel rispetto di una tradizione premiata dai lettori. Subito dopo però si sono avuti anche libri bonelliani del tutto diversi, come il grosso tomo di “Greystorm”, la riproposta a colori del primo romanzo a fumetti dedicato a Dragonero, la riedizione di due episodi delle “Storie” di Paola Barbato e via dicendo, a testimonianza di un ventaglio di offerte e di formati piuttosto ampio. Dal punto di vista zagoriano avrei preferito cominciare subito con un cartonato o un omnibus dedicati allo Spirito con la Scure, ma è solo questione di tempo: ci arriveremo. Sulla scelta de “La marcia della disperazione” niente da dire, è il classico dei classici.

Hai lavorato sia con pilastri del fumetto italiano che con giovani autori. Vedi delle nuove leve che secondo te potranno raccogliere il testimone di grandi artisti come, per fare un esempio, Gallieno Ferri?

Gallieno Ferri è il decano dei grandi autori del fumetto popolare, quello che davvero è passato sotto gli occhi di tutti e ha forgiato i sogni e i gusti di intere generazioni di lettori in Italia e all’estero. I giovani autori sono destinati a incidere molto di meno, qualunque sia il loro talento (e ce ne sono alcuni dal talento immenso), perché il fumetto si avvia a essere un prodotto di nicchia.

È innegabile il grande successo di autori come Sio e Zerocalcare che hanno cominciato a farsi conoscere diffondendo i proprio lavori su internet. Alla luce di questa considerazione ti chiedo cosa ne pensi e come vedi l’utilizzo della rete nel campo dei fumetti.

Il successo di Sio e di Zerocalcare (li leggo e li ammiro entrambi) mi fa piacere e mi stupisce al tempo stesso. Mi stupisce non perché non lo meritino, ma per le dimensioni, per i numeri. Mi dico, fra me: ma se si possono raggiungere cifre del genere di venduto, perché, non so, un volume di Silver (per citare un nome a caso) o uno del Bone di Jeff Smith non ottengono gli stessi risultati, non essendo di inferiore qualità? Cioè, perché gli acquirenti di Sio e di Zerocalcare non leggo anche altri fumetti, se non in piccola misura? Se lo facessero, i titoli fumettistici e i graphic novel in testa alle classifiche sarebbero molti di più. La risposta è appunto: non si tratta di un successo fumettistico in senso stretto ma del risultato di una popolarità raggiunta attraverso la Rete. Un fenomeno di divismo telematico. Io appartengo però a un’altra generazione, che predilige un diverso approccio e confesso senza alcuna difficoltà che non sarei in grado di rivolgermi alle platee cibernetiche (bravo chi ci riesce): mi limito a usare Internet come veicolo di informazione per far arrivare a chi mi segue la notizia di un albo o di un libro in cui ho messo lo zampino, e che si può trovare, per la gioia degli amanti della carta, in edicola o in libreria.

Da autore ormai affermato che consigli daresti agli aspiranti fumettisti?

Di non farsi troppe illusioni circa gli spazi a disposizione in un mercato sempre più ridotto, ma di provarci se si è animati dalla stessa passione che avevo io. Avendo come linea guida un forte senso di autocritica sulle proprie capacità: bisogna essere i primi, e più severi, giudici di sé stessi. In Rete comunque si trovano consigli assai più circostanziati di queste poche parole, e io stesso ne ho dispensati alcuni sul mio blog “Freddo cane in questa palude”.

C’è una domanda che non ti é stata posta a cui vorresti rispondere?

Mi fa solo piacere ricordare come nel 2015 abbia festeggiato i miei primi venticinque anni di attività. Per un ragazzino che sognava di fare questo mestiere, è stato un bel traguardo.

Un pensiero su “MORENO BURATTINI, LA MENTE DI ZAGOR”
  1. Ciao Moreno.
    Posso sapere qualcosa del tuo libro edito da Cut-up Publishing?
    Sono quello che ristampava le storie di Rebuffi. Ci siamo conosciuti l’ultima Lucca Comics, se non sbaglio…!
    Un abbraccio.
    Luca

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