Apollonio di Tiana ha fama di essere un sant’uomo, avendo guarito un bambino dal morso di un cane idrofobo e liberato la città di Efeso dalla peste, almeno così sostengono i suoi discepoli. Vive nel primo secolo dopo Cristo nelle terre dell’Impero romano: nato in una regione dell’attuale Turchia, Apollonio si trasferisce per qualche tempo a Roma.

Apollonio di Tiana

 

Proprio a Roma un giorno vede passare il corteo funebre di una ragazza morta poco prima delle nozze. Guardando il fidanzato piangente e l’afflizione generale dei parenti, Apollonio sembra commuoversi. Ordina di posare la bara in modo che possa mettere fine alle lacrime. Si avvicina al cadavere, lo tocca e sussurra qualche parola finché, all’improvviso, la ragazza riprende vita lanciando un grido.

L’antico biografo di Apollonio, Filostrato, ci racconta questo evento senza mettere in dubbio il miracolo della resurrezione. Noi invece, meno inclini al misticismo, immaginiamo il costo notevole del “gioco di prestigio”, innanzitutto per pagare la famiglia della ragazza. Ma di certo Apollonio, dopo questo numero nel cuore della capitale dell’Impero, diventerà richiestissimo: numerosi personaggi altolocati gli domanderanno consulenze spirituali di ogni genere, ripagandolo abbondantemente dell’investimento iniziale.

La biografia di Apollonio scritta nell’antichità da Filostrato

 

Il numero della resurrezione doveva essere stato studiato fin nei minimi particolari, perché non avrebbe potuto essere replicato, almeno in quella città. Alla seconda resurrezione, infatti, i presenti gli avrebbero detto: “Aspetta un momento, controlliamo se la ragazza è morta davvero”.

Nelle regioni orientali dell’Impero romano le figure dei santoni erano popolari come nell’India dei fachiri di pochi decenni fa. Ricordo un sacerdote cattolico che raccontava sbalordito di avere visto un santone indù infilarsi un coltello nelle gambe e poi estrarlo come se niente fosse. La spiegazione di questo “miracolo” l’ho letta nel libro biografico di un inglese del quale ora mi sfugge il nome. Da giovane l’inglese era diventato assistente di un santone indiano e poté quindi scoprirne i segreti. Il trucco del coltello necessita di due elementi: una sostanza chimica spalmata sulle gambe che a contatto del metallo diventa rosso-violacea dando l’impressione di pelle lacerata (sostanze del genere sono conosciute sin dall’antichità) e un banale coltello con lama retrattile.

Apollonio ha studiato a Tarso, la città dell’attuale Turchia meridionale dove pochi anni prima è nato Paolo, il fondatore della Chiesa cristiana. Apollonio racconta di avere imparato i segreti dei magi in Mesopotamia e quelli dei bramini in India, ma chissà se è vero. Ritornato nell’Impero romano, dal Medio Oriente si sposta a Roma. Viaggia molto, come tutti i santoni come lui, portandosi dietro il codazzo dei discepoli che lo aiutano a mettere in pratica i suoi numeri. In cambio dei giochetti di prestigio fatti passare per miracoli, profezie e dubbie guarigioni, Apollonio ottiene elemosine dal pubblico meravigliato e occasionali elargizioni da qualche riccona superstiziosa. Nel 93 viene processato a Roma per un grave delitto, ma riesce a dileguarsi evitando la probabile condanna a morte, magari sulla croce. Tornato in Medio Oriente, muore davvero di morte naturale nel 96. I suoi discepoli giurano che poi è risorto per tornare tra loro, salendo in cielo in un secondo tempo.

Da morto Apollonio diventa oggetto di culto, in particolare viene adorato perdutamente da Giulia Domna, l’imperatrice romana di origine mediorientale della dinastia dei Severi, che all’inizio del terzo secolo contribuisce grandemente a far precipitare il razionale impero romano nella superstizione. Il figlio di Giulia, l’imperatore Caracalla, in onore di Apollonio fa costruire un tempio. Nella foga dei cambiamenti religiosi, i Severi alla fine tolgono addirittura Giove dalla cima degli dei per mettere al suo posto il Sole Invitto. Un imperatore di questa dinastia adora perfino un sasso, usanza comunque tipica nella regione siriana di provenienza (e ancora oggi un sasso viene adorato dai musulmani alla Mecca, in Arabia Saudita, come manifestazione del divino). In questo oscuro terzo secolo, dove l’Impero romano diventa irriconoscibile assomigliando sempre di più al medioevo, anche per le divise dei soldati, a un certo punto sbuca un effimero imperatore arabo, Filippo, che pare adori Gesù Cristo.

Questi imperatori in genere durano pochi anni, data l’instabilità di un impero sempre più malandato. All’inizio del quarto secolo vince definitivamente la religione sponsorizzata dall’imperatore che riesce a regnare per molti anni fondando una dinastia: Costantino. Dapprima indeciso se votarsi al Sole Invitto o al cristianesimo, alla fine Costantino sceglie il secondo, probabilmente perché si tratta di una religione strutturata con un clero come lo zoroastrismo della vicina Persia, l’unico vero Stato organizzato confinante a cui i romani possono guardare per trarre ispirazione dalle sue istituzioni.

Così, secoli dopo la sua morte, uno dei tanti mistici errabondi del Medio Oriente viene messo un po’ casualmente a fondamento della religione di Stato. Dell’unica religione, perché tutte le altre vengono vietate per legge.

Questo brillante destino non è toccato ad Apollonio di Tiana, però.

Di Sauro Pennacchioli

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