Ho avuto due padri, quello naturale autorevole medico e scienziato, e quello spirituale scrittore, giornalista, fumettaro. Fino a ieri era vivo con il nome di Mino Milani.

Era nato a Pavia il 3 febbraio 1928, passata la guerra nei suoi anni verdi, preferisce gli studi letterari a quelli scientifici. Già nel dopoguerra per un letterato la vita non è facile, ma lui si arrangia lavorando per la locale biblioteca, e poco per volta scrivendo qualcosa riesce a farsi notare.

Verso la fine degli anni cinquata entra nell’editoria per ragazzi. Il miglior trampolino di lancio è il glorioso Corriere dei Piccoli: inizia una saga solo scritta, quella del cowboy Tommy River. Ma la testata si sta svecchiando, ai quadretti con le rime baciate del signor Bonaventura subentrano i fumetti, e le matite sono quelle di Uggeri, Battaglia, Di Gennaro, Toppi, Nidasio, Cimpellin, Hugo Pratt.

Milani fornisce i testi per storie su episodi del Risorgimento, ma anche riduzioni di classici famosi come l’Isola del Tesoro, la Freccia Nera, Fanfulla, Sandokan (rimasto incompiuto). Talmente abbondante è la sua produzione da dover apparire con pseudonimi per non far figurare un monopolio.

MINO MILANI, IL MIO SECONDO PADRE

Qui entro in campo io, ragazzino che legge il Corriere dei Piccoli prima e dei Ragazzi poi, si istruisce sulle figure disegnate, sviluppa il suo gusto in quest’arte, e alla fine non potrà più staccarsene diventando non solo appassionato, ma emulo dello scrittore pavese, specie quando dopo il 1971 entra nel mondo dei fumetti attraverso le fiere dei comics a Lucca.

MINO MILANI, IL MIO SECONDO PADRE

 

Nei successivi anni settanta sono il giovane e fidato ricercatore storico di Hugo Pratt, ma non basta. Lui capisce che la mia fantasia va sviluppata, mi spinge a chiedere consiglio a quel suo sceneggiatore, così in quell’estate del 1981 ottengo un appuntamento nella casa dell’ormai famoso Mino Milani. Mi reco in un incredibile regno di libri e cimeli, un grande stanzone con le finestre che danno sulla chiesa di San Pietro in Cieldoro, la tomba del grande teologo Sant’Agostino.

 

Come si fa a scrivere un fumetto da far disegnare? Alla mia domanda Mino non fa discorsi teorici, ma mi mette in mano le veline di una sua storia da poco pubblicata: la battaglia di Gettysburg tra i nordisti e i sudisti, che aveva disegnato Tacconi. Mi congeda con molti incoraggiamenti.
Io studio, mi esercito, qualcosa realizzo poi esce una testata dichiaratamente prattiana, Corto Maltese, diretta da Fulvia Serra. Nel 1983 Pratt mi aveva già fatto conoscere il suo pupillo Milo Manara, la Serra nel 1986 mi accoppia con sua sorella Nives, ancora acerba come segno, ma destinata a migliorare.

Il resto delle iniziative fumettistiche personali è un discorso a parte. Man mano che mi impratichisco del mestiere cresce la stima verso il maestro di Pavia, che è sempre lieto di accogliermi quando torno a fargli visita. Certamente come storico ho talvolta delle differenze ideologiche rispetto a lui.
Mino Milani è innamorato di Garibaldi, lo considera come un mago nella storia italiana, io molto meno. L’eroe dei due mondi era valente come condottiero e trascinatore di uomini dietro un’idea di libertà, ma a mio avviso sprovveduto come politico e uomo di mondo.
La sua vera natura era quella del marinaio, mai fermo in un luogo, pronto da un giorno all’altro a imbarcarsi per mete fin troppo lontane, senza curare un fine stabilito, e abituato a trovare donne in ogni porto, che potevano essere quelle giuste, come la valorosa Anita, o quelle sbagliate, come la contessina che voleva sposarlo per coprire una sua gravidanza indesiderata.

Gli anni passano, Milani si afferma sempre più come romanziere, io resto a volare basso con i miei studi di storia ed archeologia. Il fumetto mi serve sì, ma come divulgazione, ottimo veicolo per diffondere facilmente conoscenze, specie ai giovani.

La scorsa estate ci sentiamo un’ultima volta per telefono. Gli anni gli pesano, e la sua vita famigliare non è stata soddisfacente, Due mogli lo hanno entrambe lasciato vedovo, e il figlio della prima moglie, tanto desiderato, è morto poco dopo il parto.
Gioco allora la mia carta, qualcosa che mi tenevo dentro da tempo: “Mino, tu non sei solo il mio maestro, ma un altro mio padre, perché tu mi hai cresciuto con le tue cose scritte e fumettate”. Milani un po’ si consola e risponde: “Ero triste, adesso di meno”.

La sua vita è stata lunga, ma non priva di difficoltà, una volta tentò anche il suicidio, ora ha trovato la pace e speriamo l’apprezzamento postumo di tutta la sua opera.

 

 

3 pensiero su “MINO MILANI, IL MIO SECONDO PADRE”
  1. Mi spiace davvero apprendere questa notizia…Mino Milani, una delle colonne principali di quel Corriere dei Piccoli/dei Ragazzi che ha accompagnato la mia adolescenza.
    R.I.P.

  2. Ho amato molto Mino Milani, anche per me il mio secondo padre, quello spirituale, quello quindi che più mi ha insegnato il senso della vita. Ogni volta che l’ho letto, o più spesso riletto, ho sempre ritrovato il fedele compagno di viaggio che sapeva condurmi alla scoperta di grandi emozioni.
    Gli volevamo bene noi pavesi a Mino. Lo ho frequentato spesso alla presentazione dei suoi “libri di San Siro”, l’incontro annuale che era ormai, da una trentina d’anni, diventata una simpatica consuetudine in occasione del giorno del santo patrono di Pavia e della pubblicazione del romanzo dedicato alla cittadinanza. Ci si ritrovava alla sala dell’Annunciata, al Broletto o più spesso nelle sale della Biblioteca dell’Università, i luoghi rappresentativi della sua città che ha sempre amato molto. Lo ricordo sorridente davanti a noi, affezionati lettori, a parlare come si parla ad una riunione di vecchi amici che si ritrovano dopo un anno, commosso per l’affetto che i suoi concittadini gli dimostravano. Si finiva la serata, dopo aver chiacchierato di un po di tutto tranne che del libro, con la consueta dedica, le strette di mano ed un arrivederci all’anno prossimo.

    La sua sterminata produzione letteraria ha attraversato tutto il secolo scorso spaziando tra diversi generi. Grande storico, saggista, narratore, dichiaratamente propenso a scrivere per i ragazzi che lui amava molto, lo ricordiamo anche come formidabile autore, ai tempi in cui lavorò per il Corriere dei Piccoli, di grandi storie a fumetti.
    Se dovessi consigliare una lettura a chi ancora non lo conoscesse direi: leggetevi “Quei due anni d’amore e di guerra”, potreste conoscere l’uomo, la sua adolescenza, e i sentimenti, le paure, le aspettative di una generazione che ha vissuto la giovinezza in un periodo così drammatico. Potreste capire il senso dell’amore per la vita, per la sua città e per le sue origini.

    “Vivo in questa casa da sempre, avevo cinque mesi quando mi ci hanno portato. Era l’estate del 1928. Pavia era una città piena di di silenzio e di giardini. Per me, la parola trasloco no ha senso, so che cos’è il trasloco, ma non ne ho esperienza: lo so per sentito dire, insomma…..Dormo nella stessa camera in cui dormii e strillai infante; lavoro nello studio che fu di mio padre, con le finestre aperte sulla piazza di san Pietro in ciel d’oro, che prende il suo bel nome dalla celebre basilica romanica. Eì lì, davanti a me, con la sua facciata solenne, i mattoni rossi che in certi momenti o in certe sere, quando il cielo è già blu fitto, pare s’accendano, splendendo come tenue brace, consumando rapidamente la luce del sole che hanno imprigionato…….In questa casa è nato mio fratello Giuseppe detto Puccio, a quei tempi non si usava nascere in ospedale, e sono morti mio padre, mia madre, mio fratello Mario, Eugenia. Spero di morirvi nuovamente anch’io, meo tempore, e sarebbe l’estrema gioia possibile….”
    Il destino, un destino talvolta avverso, stavolta ti ha accontentato.
    Ciao Mino.

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