MICHAEL SKAKEL, NON SI PROCESSA UN KENNEDY

La famiglia Kennedy ha dato agli Stati Uniti d’America un presidente, John Fitzgerald, un ministro della Giustizia, Robert (Bob), e un senatore, Edward (Ted). Tre fratelli che, oltre alla passione per la politica, ne hanno avuta una altrettanto forte: quella per le ragazze. Stando alle voci, John aveva ceduto la sua amante più famosa, Marilyn Monroe, al fratello Bob. La carriera politica di Ted subì un arresto quando, in stato di ubriachezza, causò un incidente automobilistico nel quale morì una sua amica.

I Kennedy hanno conosciuto anche grandi sventure, dato che John e Bob sono stati uccisi in due attentati politici, nel 1963 e nel 1968. Una doppia dannazione, quella delle donne e quella del sangue, che sembra abbattersi anche sulle nuove generazioni dei Kennedy e sui loro parenti acquisiti. Tra questi ultimi, il caso più clamoroso è quello di Michael Skakel, nipote di Ethel, la vedova di Bob.

Michael nasce il 19 settembre 1960 a Greenwich, nello stato del Connecticut, in una splendida villa affacciata sull’Atlantico. La cittadina è il paradiso di finanzieri e professionisti, ad appena un’ora di macchina da New York. Michael è uno dei sette figli di Anne Reynolds e di un industriale del carbone, Rushton Skakel, fratello della moglie di Bob Kennedy.

Un testimone ricorda così l’infanzia infelice di Michael: «Era un bambino sensibile, che non aveva vita facile a scuola essendo l’alunno più piccolo e debole. A casa andava anche peggio, dato che il padre era un alcolista violento che lo picchiava».
Quando mamma Anne muore per un cancro al cervello, il dodicenne Michael si sente in colpa: crede che sia successo perché non aveva recitato abbastanza preghierine. Scompare così l’unica figura familiare che lo amava e lo seguiva, dato che il padre, a parte il caratteraccio, non essendo mai in casa lascia i sette figli a babysitter e tutori.

Da questo momento Michael inizia a bere alcolici di nascosto e peggiora negli studi, nei quali, peraltro, non aveva mai brillato perché soffre di dislessia, l’incapacità di leggere correttamente. A scuola sono continue bocciature, benché a casa venga seguito dai migliori insegnanti privati. Michael non dà retta a nessuno e perde le staffe sempre più facilmente, diventando violento.

Questo non sembra proprio il ritratto di un giovane appartenente a una delle famiglie più ricche e potenti d’America, destinato, almeno in teoria, ad avere tutte le fortune dalla vita. Nei primi anni settanta, la villa accanto a quella degli Skakel viene acquistata dai Moxley, una famiglia milionaria giunta dalla California. Gli occhi di Michael si riempiono di desiderio quando vedono la loro figlia, Martha, una coetanea bella e bionda che un giovane dei dintorni definisce così: «È una di quelle ragazze che fanno brillare la luce quando entrano in una stanza».

La sera del 30 ottobre 1975, Martha si aggrega ad alcuni amici per andare a suonare i campanelli del quartiere spruzzando la schiuma da barba su chi apre la porta. Un tipico scherzo innocuo della vigilia di Halloween.
Dagli Skakel non c’è il padre, sempre in viaggio di lavoro, così a riceverli è Michael. Il quale, scorgendo Martha in mezzo al gruppo, invita tutti a entrare per improvvisare una festicciola.

In casa ci sono solo un paio di altre persone: il fratello maggiore Thomas e il loro tutore, Kenneth Littleton, che però è chiuso nella sua stanza. Il lentigginoso Michael si lancia subito nel corteggiamento di Martha, ma lei, forse perché lo trova troppo piccolo (entrambi hanno 15 anni), gli preferisce Thomas, il rubacuori della famiglia, dal quale accetta di essere baciata.

Alle 21.30, Martha viene vista per l’ultima volta mentre si apparta in un angolo buio della villa insieme a Thomas. Il giorno successivo, il corpo senza vita della ragazza viene trovato sotto l’albero che divide il grande giardino della villa degli Skakel da quello dei Moxley. Le sono stati abbassati i pantaloni e la biancheria intima, ma non risulta che abbia subito violenza carnale. Vicino c’è una pesante mazza da golf, e dall’autopsia risulta che la ragazza è stata colpita selvaggiamente alla testa e alla gola con questo attrezzo. La mazza è dello stesso tipo e della stessa marca del set trovato dalla polizia in casa Skakel.

Gli investigatori sospettano di Thomas, essendo stato visto per ultimo con Martha, ma anche di Michael, che ci aveva provato con lei senza risultato. Interrogati, i due fratelli dicono che, nel resto della serata, sono usciti in macchina insieme. Non ci sono prove contro di loro e le indagini si rivelano inconcludenti. Del resto, la polizia cerca sempre di non disturbare troppo i ricchi abitanti della zona.

La mamma di Martha, Dorothy, accusa esplicitamente la potente famiglia imparentata con i Kennedy di avere fatto insabbiare il caso. La donna offre una taglia di 50mila dollari, aumentata poi a 100mila, ma nessuno si fa avanti per denunciare l’assassino. Ormai la storia è solo un brutto ricordo quando, a 18 anni, Michael viene arrestato per guida in stato di ubriachezza e per aver quasi investito il poliziotto che tentava di fermarlo. Per evitargli altri guai con la legge, il padre lo manda alla Elian School di Poland Spring, nel Maine, un collegio esclusivo dove, per la modica somma di 44mila dollari all’anno, i professori tentano di recuperare giovani alcolizzati o tossicomani.

Gli ospiti dell’istituto vengono invitati, come terapia, a sfogarsi lanciando urla selvagge e a parlare liberamente degli episodi che hanno procurato loro dolore. Due anni dopo, Michael lascia la Elian School per dedicarsi allo sport. Partecipa a gare nazionali di chilometro lanciato, una specialità sciistica che consiste nello scendere nel minor tempo possibile da un pendio molto inclinato.

Solo nel 1993, a 33 anni, prende la laurea in Letteratura al Curry College del Massachusetts, un’università specializzata per gli studenti con difficoltà di apprendimento, e l’anno successivo inizia a lavorare come volontario alla campagna per la rielezione del senatore Ted Kennedy, facendogli da autista.

Subito dopo, viene assunto dal cugino Michael Kennedy come direttore dei programmi internazionali di una importante società filantropica. Intanto ha sposato Margo Sheridan, una giocatrice professionista di golf. Nel 1988 i due hanno un figlio, George, ma poco dopo divorziano. Nel 2000, venticinque anni dopo la tragedia, Michael Skakel viene accusato dal procuratore di Greenwich dell’omicidio di Martha Moxley.

L’imputato è ormai un quarantenne sovrappeso e semicalvo, dall’aria perennemente triste. Riceve la notizia a Hobe Sound, la località della Florida dove è andato ad abitare. Proprio da quelle parti, nel 1991, il suo caro cugino William Kennedy Smith era stato incriminato per stupro, anche se poi, tra lo stupore generale, era riuscito a farsi assolvere. Forse senza preoccuparsi molto, dato il precedente, Michael va a costituirsi in Connecticut.

Ammanettato e portato alla centrale di polizia, viene rilasciato dopo aver versato una cauzione di mezzo milione di dollari. Michael scopre che il procedimento contro di lui è stato riaperto due anni prima da George Thim, un giudice che voleva riparare alla superficialità delle indagini precedenti, aspramente contestate dai giornali e da tre libri.

 

Il giudice ha interrogato quaranta testimoni, in particolare i compagni di Michael all’Elian School dove, tra il 1978 e il 1980, era stato mandato a disintossicarsi dall’alcol. E uno di loro, Gregory Coleman, ha riferito che, quando seguivano la terapia che imponeva loro di sfogarsi a proposito delle passate esperienze negative, Skakel aveva ammesso di aver ucciso la ragazza: «Non mi condanneranno mai», aveva aggiunto, «perché sono un Kennedy».

Nel 2002, durante il processo, il costoso team degli avvocati della difesa cerca di provare che, al momento dell’omicidio di Martha, l’imputato si trovava da un cugino. Ma questo alibi smentisce i due precedenti. All’inizio Michael aveva sostenuto di essere andato in giro in auto con il fratello Thomas e negli anni successivi aveva cambiato versione dicendo di essere andato a letto. Siccome non riusciva ad addormentarsi, era uscito per arrampicarsi su un albero davanti alla casa dei Moxley. Da quel punto, avrebbe tirato dei sassolini alla finestra di Martha per cercare di svegliarla ma, non avendo ricevuto risposta, si era masturbato lì dov’era, sull’albero. Non l’aveva detto prima perché se ne vergognava. Questa sua seconda dichiarazione si era rivelata interessante, dato che il cadavere della ragazza era stato trovato proprio sotto l’albero che divide il giardino degli Skakel da quello dei Moxley.

Per l’accusa, Michael era ubriaco e pazzo di gelosia per essere stato rifiutato da Martha, che gli aveva preferito Thomas. Del resto, non era la prima volta che il fratello gli portava via una ragazza. Dopo aver perso il controllo, sempre secondo l’accusa, aveva ucciso Martha con la mazza da golf.

Secondo i sondaggi, l’opinione pubblica americana non crede che gli imputati ricchi e potenti siano puniti come meritano per le loro malefatte. Invece il 7 giugno 2002, a sorpresa, dopo un mese di processo e tre giorni di camera di consiglio, la giuria dichiara Michael Skakel colpevole di omicidio. Il giudice lo condanna da un minimo di 20 anni di carcere fino all’ergastolo, a seconda del comportamento che terrà in seguito. E stabilisce che, nel caso di una condotta esemplare, potrà ottenere la libertà vigilata già dal 2012, dopo soli 10 anni.

«Vorrei poter dire che sono stato io», urla Skakel trattenendo a stento le lacrime, «così la famiglia Moxley troverebbe pace. Ma non sarebbe la verità». «Dedico questo giorno a mia figlia», mormora invece sommessamente mamma Dorothy uscendo dall’aula. «Giustizia è fatta, anche se non riavrò indietro Martha».

L’avvocato Robert Kennedy Junior, figlio dell’omonimo politico assassinato e cugino di Michael, definisce tutto il processo “un aborto di giustizia”. Un uomo innocente, secondo lui, è finito in prigione a causa di una campagna diffamatoria imbastita dai media solo per il gusto di vedere condannato un membro del clan dei Kennedy. E sostiene che il vero colpevole potrebbe essere Kenneth Littleton, il tutore dei figli della famiglia Skakel, che era presente la sera del delitto.

Diventato uno dei difensori del cugino, Kennedy chiede che la sentenza venga revocata, perché non doveva essere emessa da un tribunale ordinario ma da quello dei minorenni, dato che Michael è stato giudicato per un delitto avvenuto quando aveva 15 anni. Tra l’altro, il tribunale per i minori non lo avrebbe potuto condannare a più di quattro anni di reclusione. Ma il ricorso non viene accolto.

Il 23 ottobre 2013, Michael Skakel è stato sottoposto a un nuovo processo dopo che un giudice ha ritenuto inadeguata la difesa accordatagli nel 2002 dal suo avvocato. Il mese successivo Skakel venne rilasciato in regime di semilibertà, dietro una cauzione di 1,2 milioni di dollari, con l’obbligo di essere sempre monitorato da un dispositivo Gps e il divieto di lasciare il Connecticut senza autorizzazione. L’autorizzazione deve averla ottenuta, perché si trasferisce nel vicino stato di New York e lì è rimasto fino a oggi.

Nel 2016 una sentenza conferma la condanna, ma nel 2018 viene ordinato un nuovo processo per Michael Skakel, che ancora deve essere celebrato.

 

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Di Sauro Pennacchioli

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