Sono ormai sei mesi che Mercurio Loi svolge le sue peripatetiche investigazioni nella Roma ottocentesca. Un tempo sufficiente per cercare di capire dove stia andando e se, per caso, non abbia sbagliato strada.

Per evitare malintesi, occorre dire subito che il risultato dell’impegno creativo e artistico dello sceneggiatore e ideatore del personaggio, Alessandro Bilotta, e dello staff di disegnatori e coloristi che lo coadiuva è decisamente di buona qualità, facendone una delle pubblicazioni narrativamente e graficamente migliori della casa editrice. Nonostante questo, l’impressione è di trovarsi davanti a un prodotto sbagliato, a un treno avviato verso un binario morto.

Per ulteriore chiarezza, è necessario contestualizzare l’esperimento editoriale di Mercurio Loi. L’attuale situazione dell’editoria in generale è tutt’altro che rosea e il comparto fumettistico non fa eccezione. In aggiunta a questo, oggi come in passato le testate della Sergio Bonelli Editore soffrono di quello che chiamerò “l’abbandono del lettore che cresce”.
Un tempo indirizzate a un pubblico di ragazzi e ragazzini, prevalentemente maschi, queste testate a fumetti venivano seguite per qualche anno e poi abbandonate perché non più adatte ai mutati interessi dell’età adolescenziale, anche se una parte degli acquirenti (li chiameremo “gli appassionati”) proseguivano la lettura anche in età adulta andando a costituire nel tempo il nucleo dei lettori fedeli, quelli che collezionano gli albi dei personaggi più amati. A riempire i vuoti lasciati da chi aveva abbandonato intervenivano fortunatamente le nuove generazioni che scoprivano i personaggi e iniziavano a loro volta a seguirli.
Il meccanismo si è rotto nei primi anni Ottanta, quando lo sviluppo delle tivù private e il concomitante sbarco massiccio dei cartoni animati giapponesi hanno creato una frattura insanabile. L’immaginario dei giovanissimi è cambiato di colpo, “invecchiando” e mettendo fuori gioco le produzioni animate e fumettistiche più tradizionali.

La geniale creazione di Dylan Dog da parte di Tiziano Sclavi nella seconda metà di quel decennio ha momentaneamente sparigliato le carte, facendo avvicinare ai fumetti bonelliani gli adolescenti. Per qualche anno quei teenager hanno esteso la loro curiosità anche alle altre pubblicazioni dell’editore milanese, facendo la fortuna di testate come Nathan Never.
Il gioco è durato comunque poco. Un po’ perché anche l’adolescenza, come l’infanzia, a un certo punto finisce, e un po’ perché qualsiasi personaggio seriale alla lunga è condannato a diventare ripetitivo e annoiare. Per di più, grazie alle nuove tecnologie, nel frattempo erano arrivate più coinvolgenti forme di svago, dai videogiochi sempre più raffinati e realistici alle produzioni televisive e cinematografiche ogni anno più aggressive e affascinanti.

Il serbatoio del ricambio generazionale, per certi prodotti fumettistici, si è dunque chiuso, e nessun nuovo lettore arriva più a sostituire quelli che, per i motivi su esposti, si allontanano da una testata. Gli editori sono ben consapevoli di questa nuova realtà, e ormai anche pubblicazioni specificamente rivolte all’infanzia come Topolino si tengono stretti i collezionisti di vecchia data producendo storie sempre più adatte a quel target, con l’inevitabile risultato di allontanare il pubblico dei giovanissimi che trova troppo “difficili” alcuni racconti.

Anche la Bonelli sembra ormai diventata una casa editrice, se non proprio per lettori da ospizio, da pubblico decisamente adulto. Non credo siano mai state fatte indagini di mercato, ma qualora se ne facesse una non mi meraviglierei di scoprire che il 90% dei lettori ha più di trent’anni. E se una realizzazione delle storie sempre più rivolta a un lettorato maturo può ritardare l’allontanamento dei meno anziani, non può comunque mettere rimedio a quello per noia e stanchezza. I dati di vendita che, più o meno ufficiosamente, filtrano dalle case editrici lo testimoniano: praticamente tutte le testate storiche, di qualsiasi editore, perdono inarrestabilmente lettori e, se è vero che anche Tex si sta avviando a scendere sotto la soglia simbolica delle centocinquantamila copie (solo tre o quattro anni fa era ancora sopra le duecentomila), per le produzioni seriali da edicola le campane stanno davvero suonando a morto.

Forse il concetto di “personaggio a tempo indeterminato” non è più adeguato ai tempi. In Francia i nostri Tex, Zagor, Akim e Comandante Mark venivano pubblicati in quadernetti brossurati di piccolo formato con copertina morbida e stampati su carta di pessima qualità. Chiamati “letture da stazione”, venivano consumati e gettati. A fianco di questi c’erano però le riviste per ragazzi le cui serie principali, pubblicate a puntate, raggiungevano poi le librerie raccolte in forma di cartonati di lusso o eleganti brossurati di grande formato e a colori.

Da noi il mercato librario dei fumetti non si è mai sviluppato perché i grandi giornali per ragazzi, Il Vittorioso, Corriere dei Piccoli, Giorno dei Ragazzi e Il Giornalino avevano intenti diversi da quelli del guadagno editoriale (didattici e catechistici per i settimanali cattolici, di preparazione alla lettura del quotidiano di riferimento per gli altri), e anche le raccolte delle storie pubblicate prendevano la via dell’edicola perseguendo la filosofia del “prodotto per tutte le tasche” che garantisse un alto numero di copie vendute. E un po’ anche perché i fumetti erano “robaccia” non degna di entrare nelle librerie.
Oggi tutti questi nodi stanno venendo al pettine e facendo riscoprire le librerie agli editori di fumetti, e i fumetti agli editori di narrativa.

Arriviamo a Mercurio Loi. Nella situazione attuale, uscire con una serie “a tempo indeterminato” appare ormai piuttosto rischioso anche per un editore con l’esperienza e le spalle larghe come Bonelli. I principali tentativi degli ultimi anni, da Saguaro a Orfani a Adam Wild, si sono infranti contro il muro della dura realtà dei numeri. Morgan Lost ha dovuto cambiare passo dopo due anni riducendo la foliazione, non potendo aumentare il prezzo per non rischiare di uscire dal mercato. Solo Dragonero pare offrire ancora qualche speranza: le vendite sembrano essersi stabilizzate oltre la soglia di sopravvivenza e la messa in campo di prodotti collaterali (giochi, romanzi, serie parallele indirizzate a un pubblico giovanile…) promette di allargare e mantenere vivo l’interesse. La serie di Bilotta si muove in questa direzione giudiziosa? Si direbbe di no. Se una serie fantasy come quella concepita da Enoch e Vietti può soddisfare un pubblico abbastanza giovane che da queste tematiche è attratto, e coinvolgere comunque anche un lettorato più generalista interessato a vicende in ogni caso avventurose, Mercurio Loi va in direzione decisamente opposta: indagini “libresche”, molto di cervello e poco d’azione, in un contesto storico ben preciso e in questo senso limitante, e in un ambiente ristretto come la Roma dei Papi. Si poteva fare diversamente? Sì, certo, lasciando perdere le elucubrazione holmesiane a favore di elementi più “normalmente” avventurosi. La città, se un po’ “fantastizzata”, lo consente: le catacombe, il Colosseo e i sotterranei vaticani, per non citare che le ambientazioni più banali, avrebbero potuto ospitare creature mostruose, esperimenti genetici ante litteram, sette fondamentaliste e prenaziste… mettendo in campo quello che Ilaria Feole in una recensione a “Kong: Skull island” su FilmTV chiama “il mostro subito”.

Insomma, uno sviluppo più “normalmente” avventuroso della serie di Mercurio Loi che invece, così, rischia di risultare troppo “difficile” per il lettore medio. In questo modo, la leggibilità è più da fumetto “d’autore” che da storia semplice e lineare e, se farà la felicità dei lettori più preparati, pare destinata ad allontanare tutti gli altri, autocondannando la pubblicazione al ruolo di “fumetto d’élite”. Pessima collocazione per un prodotto che si è scelto di destinare alle edicole laddove, nella situazione attuale, per essere “presente” si richiede una tiratura di almeno 35/40.000 copie riuscendo a venderne almeno la metà per far quadrare i conti. Numeri che non vanno d’accordo con il termine “elitario”.
La scelta del colore, poi, rende forse Mercurio Loi più accattivante agli occhi dei lettori più giovani, ma visto che questi ormai non si avvicinano neppure più al format bonelliano, alla fine risulta solo un handicap nei confronti dell’acquirente tradizionale abituato a una politica di prezzi bassi. Non aiutano neppure le copertine che, oltre a soffrire di una grafica decisamente minimalista e, diciamolo, per niente entusiasmante, si avvale delle illustrazioni di Manuele Fior, autore di sicuro talento ma quantomai inadatto a una pubblicazione seriale da edicola.

Un prodotto “sbagliato”, dunque? L’impressione è quella.

Non conosco i dati di vendita e mi auguro che siano tali da smentirmi, ma da lettore di vecchia data e insieme professionista ho la netta sensazione che le passeggiate in edicola di Mercurio Loi non dureranno ancora a lungo.

(Questo articolo di Marcello Toninelli ha scatenato un dibattito con Mauro Boselli, il curatore di Tex, che potete leggere cliccando qui: http://www.giornalepop.com/boselli-rivela-quanto-vende-di-tex/)

 

 

24 pensiero su “MERCURIO LOI SULLA CATTIVA STRADA”
  1. Il mio primo pensiero quando ho letto che le covers di Loi sarebbero state di Fior è stato peccato che non saranno in stile e colori ( colore unico ndr ) Rosso Oltremare. Mi piaceva quel tratto a tratti puntuto ed un editore mainstream come SBE non aveva osato mai ( e forse mai oserà stampare copertine in tricromia. Pazienza.
    Non credo che Loi venda poco. Probabilmente Bilotta è il Jeff Lemire di via Buonarroti ed il suo pubblico segue il suo lavoro e le sue storie sia nella collana Le Storie sia quando parla del Dylan Dog del futuro brizzolato e contro gli zombies sia quando racconta la sua Roma papalina luigimagnica. Indubbiamente non è un pubblico di bimbi e pre adolescenti. Per loro SBE sta appunto apparecchiando cose come il Dragonerino o i Four Hoodz ed immagino che altro arriverà nelle edicole prima o poi. Il mercato si sta trasformando. I lettori che abitano a Villa Arzilla – tanto per rubare un motto al BVZA – si sono affezionati al personaggio e leggono Tex a prescindere da chi ne scrive e ne disegna le cavalcate a sud di Nogales.
    I Nuovi Ipotetici Fruitori del Medium seguono l’autore e non è un caso se i nuovi Grouchini sono frutto del lavoro di artisti che non si erano mai visti in SBE – Silvia Ziche – e di altri già stati in loco , ma offbeat – i Rincione e Ortolani – per finire con cartoonists che davvero sembrano lontani dalla Grande Avventura SBEllica come Daw e Zerocalcare . Viviamo in tempi interessanti.

  2. Ma cosa impedisce a editori come Bonelli di “saltare il fosso” ed entrare nel 21esimo secolo pubblicando i propri titoli in formato elettronico? Protezionismo da due soldi?

  3. Una idea per SBE nel caso qualcuno dal think tank di Via Buonarroti sia in ascolto. Una miniserie tascabile b/n. Classico formato di Diabolik ed Alan Ford. Testi di Sio e disegni di Prenzy Chiappara. La storia di un bimbo che i genitori terrorrizati dalla influenza negativa dei socials hanno allontanato dalla grande città che hanno sostituito con i boschi di una comunità quasi Amish. Bimbo scoprirà insieme ad una posse di nuovi amici che non hanno cerniere, ma bottoni e non sanno cosa sia youtube un mondo magico fatto di foreste incantate ed elfi e gnomi ed alieni dispersi e zombies simpatici e tutto quanto gli adulti non potranno mai capire.

  4. Caro Mauro, io ho messo il dato in forma dubitativa proprio perché non esistono certificazioni (tipo ADS) delle vendite Bonelli (né di nessun altro editore di fumetti, praticamente) e le dichiarazioni dell’editore non supportate da alcuna documentazione hanno la stesso valore di quelle che arrivano da altre fonti. Ho sentito la cifra di 120.000 questa estate da persona affidabile, tranquilla e “introdotta”. E’ un dato sbagliato? Può darsi. Il tuo è esatto? Ci credo poco. Mi pare quantomeno l’abituale “gonfiatura” editoriale. La verità sta in mezzo come spesso succede e le vendite sono effettivamente intorno alle 150.000 copie? Lo credo possibile. Ma stiamo comunque parlando di dati a vanvera. I miei come i tuoi. Se vuoi tranquillizzare i lettori, invia a Giornale Pop i tabulati del tuo distributore, e non dovremo più discutere di niente.

  5. L’ultima riunione di Tex è stata in luglio e ho visto Tex viaggiare sulle 176.000 copie. Ho pensato: ahi! siamo scesi di poco sotto le 180.000. Ma non siamo ancora neanche a 170.000. Chi diamine ti ha dato quei dati assurdi? Forse si riferiva al color? O al Maxi, che ne so. Il Texone veleggia sulle centomila, ma costa più del mensile, è normale.

  6. E scusami tanto, i miei non sono a vanvera, visto che sono il curatore di Tex. Poi non invio nessun tabulato perché la Casa editrice non mi appartiene. Ma un po’ di rispetto lo esigo.

  7. La serie regolare perde 5000 copie l’anno e a me già sembrano troppe. Cuntent?
    Il Texone vende da due o tre anni sulle 97.000 e quest’anno ha venduto uno o due migliaia in più-

  8. Che gli editori possano cercare di gonfiare un poco i dati mi sembra talmente scusabile (e patriottico) da non perderci il sonno, purché, come dice Marcello, non si spari troppo alto. Mauro ci formisce un’altra importante e dolorosa cifra, la perdita di 5000 lettori annui per la serie mensile inedita che costituiscono un’emorragia non indifferente. Ne so qualcosa nel campo delle tirature più limitate di Urania… Ma per fortuna ci sono le varie ristampe, i balenotteri, i Texoni e i cartonati a confortare gli affezionati. Personalmente preferirei anch’io vedere nuovi fumetti western, o di calcio e motori come suggeriva un lettore, piuttosto che cose giovanilistiche o fumose. Ma che fare? Gli editori Bonelli non siamo noi, ringraziamoli comunque per quello che fanno e teniamoci Tex e Zagor.

  9. Prendo atto delle tue dichiarazioni (tuttora supportate da niente) e continuo a meravigliarmi che la casa editrice, se ha dati di vendita che tu rivendichi così orgogliosamente e che attesterebbero la buona salute della testata (e della stessa azienda), si guardi bene dal renderle periodicamente e comprovatamente pubbliche. E’ naturalmente suo diritto. Come è diritto di chi cerca di analizzare lo stato del fumetto italiano di cercare altre fonti, ovviamente da prendere con beneficio d’inventario come le tue dichiarazioni.
    Poscritto: in occasione della kermesse lucchese ho anche avuto, dal solito Pinco Pallino, i dati di vendita di Mercurio Loi che mi mancavano al momento di scrivere l’articolo. Se riscontrati esatti (e nel giro di alcuni mesi sarà la sorte editoriale della collana a validarli o meno), confermerebbero purtroppo le mie pessimistiche previsioni e la bontà della mia analisi.

  10. Qui non si discute dei dati di vendita di una serie bella ma difficile come Mercurio Loi. Si parla di Tex. Quindi sono offeso a nome della Casa editrice e soprattutto personalmente. Il danno l’hanno fatto e tue risposte saccenti e insinuanti più ancora della prima dichiarazione. Tu hai parlato di centomila copie. il dato era chiaramente assurdo: il dubbio non ti ha neppure sfiorato? La prossima volta controlla le tue fonti. Vorrei dire che sono a disposizione, ma per te non lo sono più. Trovo che dare retta a voci incontrollate sia grave e non so quale demone interiore ti abbia spinto a farlo.

  11. Io, veramente, ho scritto “se è vero che anche Tex si sta avviando a scendere sotto la soglia simbolica delle centomila copie”. Anche dalle 180.000 copie che dichiari (scese in un giorno a 178.000), a 5.000 all’anno (Pinco Pallino mi ha parlato di 10.000 all’anno, ma vabbe’…) si fa presto ad arrivarci. Ma, scherzi a parte, se un articolo su Giornale Pop ha il potere di “fare danno”, la Bonelli ha la possibilità di mettere a tacere le “voci incontrollate” semplicemente fornendo i tabulati del distributore. Ma non lo fa. Se il danno non interessa alla casa editrice, perché dovrei preoccuparmene io? Quanto ai miei “demoni interiori”, te lo assicuro, c’è solo il desiderio di conoscere qualche dato certo sull’attuale situazione di un settore editoriale che amo e che, di dritto o di rovescio, riguarda anche me e il (breve) futuro professionale che mi resta. Peccato che l’editoria fumettistica italiana sia la più omertosa del mondo.

  12. Un’ultima considerazione, poi torno a occuparmi del mio lavoro. Negli Stati Uniti, correggetemi se sbaglio, i distributori forniscono mensilmente i dati vendita di tutte le testate. I lettori hanno modo di verificare quale testata vende di più e quale di meno, se una testata negli anni ha perso lettori o ne ha acquistati. Non mi risulta che i responsabili della DC si siano mai stracciati le vesti perché dalle classifiche risultava che Batman in due anni aveva perso 25.000 lettori, né che quelli della Marvel si siano buttati dalla finestra perché gli X Men avevano perso 19 posizioni in classifica. Perché in Italia, invece, c’è questa sindrome paranoica da fortino assediato e quasi tutti gli editori nascondono i loro dati di vendita come se dalla “scoperta” che rispetto all’anno prima si sono vendute tot copie in meno dipendesse il futuro delle loro aziende? Io, sinceramente, non lo capisco. Davvero pensano che se un lettore viene a sapere che il suo personaggio preferito vende di meno, smette di comprarlo? Che strano popolo siamo!

  13. L’analisi di Marcello Toninelli è perfetta. Mercurio Loi è una serie sbagliata, lo testimoniano le fumose e intellettualistiche prefazioni che Bilotta antepone alle tavole. Sembra incredibile che la casa editrice di Tex, Mister No, Zagor, MM, DD sia in confusione tale da permettere che nei suoi albi si scrivano dissertazioni sul camminare, ai limiti del ridicolo.

    1. Grazie, ne ho parlato recentemente in un post nella pagina Facebook “Fumettoso”. Non resta che attendere gli sviluppi.

  14. Michele Masiero nel annunciare la fine di mercurio loi ha scritto:

    non saremo più lì a osservare un perdigiorno che continua a camminare in cerca di… mah, forse nemmeno lui sa bene che cosa.

    Ci ha preso in pieno, la serie è inconcludente. Un esercizio di stile fine a se stesso.

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