Se n’è parlato per anni e alla fine, l’hanno fatto sul serio: Matrix Resurrections. Nonostante non ci fossero le basi, non ci fossero i presupposti, nonostante non ci fosse praticamente niente su cui poggiarsi, se ne sono usciti davvero con un bel Matrix 4. Alé.

Quindi ci sarebbe da fare una, ma giusto giusto piccola, premessa e relativa considerazione. In buona sostanza, Matrix Resurrections è l’ennesimo, “entusiasmante” requel (contrazione di reboot e sequel, si tratta di un film che sfrutta i concetti di un film precedente senza esserne il remake o la continuazione – NdR), arrivato fuori tempo massimo di un franchise andato ben oltre la sua data di scadenza.

Pertanto, Resurrections è la prova evidente (come se i due precedenti seguiti, Reloaded e Revolutions, non fossero già abbastanza), che le scintille di… chiamiamola creatività, nel Matrix del 1999 erano solo delle anomalie.
In altre parole, il fulmine non cade mai due volte nello stesso punto.

Matrix Resurrections: sì, sì… mo me lo segno proprio

MATRIX RESURRECTIONS È IL SEQUEL DI NIRVANA

Questo è il grosso problema di Matrix in generale e Resurrections nello specifico: un problema che nasce a monte, che affonda le sue radici nel film originale. In linea di massima, il fatto è che Matrix era perfetto nel e per il 1999.
Il film ideale, paradigma esemplare, della società in cui è nato.

L’assunto su cui si basa poteva funzionare ai tempi della paranoia per il Millennium Bug. Poteva funzionare quando eravamo ancora disposti a credere che un ragazzino, comodamente dalla sua cameretta, potesse scatenare un conflitto nucleare con un Sapientino.

Tutte cose, queste, dette già un paio d’anni fa sul perché anche solo ipotizzare un eventuale Matrix 4 fosse una pessima, pessima idea. Detto papale papale, il succo è che il grosso successo di Matrix è ascrivibile alla proverbiale botta di culo: il prodotto giusto, nel momento giusto.

Anzi, proviamo a metterla in un altro modo, ok?

MATRIX RESURRECTIONS È IL SEQUEL DI NIRVANA

Storia, trama, cinematografia e genere non sono sinonimi, ma cose diverse tra loro. L’insieme di questi elementi compongono e vengono regolati dal tema. Il tema è il nucleo, il cuore del film.

Una volta scelto e costruito il tema, viene stesa la sceneggiatura che al suo interno avrà una storia o un’azione regolata dalla trama. L’insieme di questi e altri elementi, combinati tra loro, portano poi allo sviluppo del personaggio che segue, produce o riflette il tema.

I temi, e i film che ne derivano, fondamentalmente sono un prodotto, un riflesso del clima sociale, economico o politico di quel dato periodo storico e possono essere analizzati in base a questo. Non è cosa che puoi ignorare, perché l’intera prospettiva di un film si trasforma quando il tema cambia.

Matrix è uscito sul finire degli anni novanta, no?

Gli anni novanta sono stati un periodo di transizione: il Muro di Berlino era appena crollato e a seguire pure l’Unione Sovietica. La Guerra Fredda era finita e le leggi sull’apartheid in Sudafrica abrogate. D’altro canto, le guerre nella ex Iugoslavia e del Golfo Persico, la rivolta dei neri a Los Angeles e il genocidio in Ruanda stavano lì lì dietro la porta.

MATRIX RESURRECTIONS È IL SEQUEL DI NIRVANA

Intanto, la tecnologia avanza e l’internet comincia a diffondersi, portandosi dietro tutto il suo bel bastimento carico di paranoie trascinato dagli anni ottanta. Tutto sommato, quale potrebbe essere il tema appropriato su cui un film commerciale possa far leva?

Non importa quale sia la circostanza, quanto avverse siano le condizioni: le persone devono avere speranza. Speranza che nel cinema di Hollywood fa spesso rima con “eroico salvatore” che grazie al suo “sacrificio” ti salva e mette a posto la giornata.

Eh… e di che parlava Matrix? No, non la storia, ma il tema su cui gira il film. Non viene mica fuori che Keanu Reeves è il prescelto™, un cyber-messia 2.0 predestinato a salvare il mondo grazie al suo sacrificio, no eh?

Dai, vogliamo provare a metterla in un altro modo ancora, sì?

MATRIX RESURRECTIONS È IL SEQUEL DI NIRVANA

Allora, più o meno verso la fine degli anni ottanta, la A&W Restaurants, una catena di fast food presente ancora oggi sul mercato, lanciò una massiccia quanto aggressiva campagna promozionale chiamata “Third is the Word”. Lo scopo era promuovere i nuovi A&W’s Third-Pound Burger.

Cioè, la A&W ti dava un panino da 1/3 di libbra a un prezzo minore dei normali panini da 1/4 di libbra venduti dalla concorrenza. Indovina-indovina: nonostante tutto, un fallimento di proporzioni semi-divine.

Alfred Taubman, l’allora proprietario, preoccupato dalla situazione commissiona una ricerca a una società di analisi del mercato. Alla fine venne fuori che stavano affondando perché il 90% della clientela era assolutamente convinta che 1/3 fosse una quantità minore rispetto a 1/4 di libbra.

Diciamoci la verità, a cuore aperto, proprio: tutta quella storia della profezia, era una gran scemenza già nel primo film. Proprio come in Terminator: il futuro, Skynet, i viaggi nel tempo e compagnia cantante, erano tutte suggestioni, concetti, che stavano bene lì, a fare da sfondo.

Allontanati dal nucleo per metterti a esplorare i bordi ed ecco che tutto viene giù più facile di un castello di carte. Metti che in Matrix, fin quando si sono tenuti sul vago, cioè a un approccio omnicomprensivo e ultra generico, quell’assurdo mischione di concetti mitologici, religiosi e filosofici, funzionava pure.

Il tentativo, matto e disperato, di esplicitare e continuamente tirare in ballo qualche grande tema esistenziale d’appiccicarci a casaccio, come ampiamente dimostrato da Reloaded, Revolutions e ora Resurrections, ha semplicemente mandato tutto in vacca.

In altre parole, chiarito e messo al centro dell’attenzione, il grande tema esistenziale diventa una completa, manifesta fesseria.
Nel momento in cui pigli questa roba e la riversi su gente che manco le frazioni sa fare, ti sorprendi che ci vedono il mare, la luna e le stelle e ci tirano su pure una religione? Ma non mi dire…

Ti sorprendi pure, poi, se ogni tanto viene fuori il mito della caverna di Platone come tentativo di legittimare tutta ‘sta pappardella? La Caverna, una delle allegorie più famose e universalmente conosciute nella storia del pensiero occidentale.

Tanto da essere diventato un tropo sfruttato da decenni: Il tredicesimo piano, Brazil, Dark City, El Topo, eXistenZ, tanto per fare degli esempi. Cioè, ci sono altri film in cui la Caverna è usata come sinonimo di realtà artificiale o per trame che riguardano la rimozione di strati che nascondono la realtà? No, ma davvero?

Capito qual è il punto? Matrix non è un brutto film in sé, non lo è mai stato. Anzi. Solo, si tratta di un prodotto fortemente radicato nel suo contesto. L’intero spettro di suggestioni su cui fa leva ha funzionato, sì, ma nella misura e nell’ottica di quello specifico periodo.

Ora capiamoci: c’è una distanza di circa vent’anni che separa Matrix Resurrections dai suoi predecessori. Troppi per un vero e proprio sequel, troppo pochi per un remake. Perciò, la sorpresa non è tanto che Resurrections alla fine sia un requel, cioè una paraculosissima via di mezzo fra le due cose.

No, semmai il punto è che dati due decenni per sviluppare, estendere e perfezionare una storia, questo è il meglio che sono riusciti a tirar fuori? Una copia piuttosto sbiadita ma pompata a petroldollari di Nirvana di Gabriele Salvatores?

Adesso, il Thomas Anderson di Keanu Reeves è un brillante sviluppatore di videogiochi, proprio come lo era Christopher Lambert nel film di Salvatores. Ovviamente, viene fuori che il mondo in cui vive Thomas Anderson, creatore della famosa serie di videogames The Matrix, in realtà è la stessa Matrix.

Per sommi capi, la differenza sta che in Nirvana, Solo, il personaggio di Diego Abatantuono protagonista dell’omonimo videogame che dà il titolo al film, raggiunge l’autocoscienza e scopre che il mondo in cui vive è in realtà una simulazione, da cui, poi, il suo creatore lo aiuta a fuggire.

Fondamentalmente il concetto è quello e stiamo là, insomma. Tranne per il fatto che Matrix Resurrections se la piglia alla lasca, trascinandosi più di quanto imporrebbe il buonsenso. Esattamente come Reloaded e Revolutions, si impantana, si incarta e crolla soffocato nella sua stessa pleonastica mitologia.

Ancora, come Terminator, la cui massima preoccupazione degli autori è riducibile a trovare un modo per giustificare l’aspetto decadente di uno Schwarzenegger sempre più anziano, la massima preoccupazione in Matrix Resurrections è trovare un modo per resuscitare i due personaggi principali.

Viene spesa un’incredibile quantità di tempo per spiegare, spiegare e spiegare come e perché Neo e Trinity, morti alla fine del terzo film, vengono resuscitati e le nuove regole di Matrix.
Glissando a convenienza, ovviamente, qualunque spiegazione e/o motivazione plausibile per cui non avrebbero potuto lasciarli morti lì dov’erano.

Il fatto è, e questo è il nocciolo della questione, che già i precedenti (e per nulla necessari) sequel avevano ampiamento dimostrato quanto il successo di Matrix fosse ascrivibile al caso anziché al merito. Per dire, prendi pure il famoso bullet time, no?

Chiunque abbia, fosse anche solo per sbaglio, sfogliato mezzo manuale di regia/fotografia, sa perfettamente che il bullet time è una tecnica di ripresa piuttosto vecchia, all’epoca conosciuta come time-slice, il cui utilizzo risale ai primi anni ottanta.

Ciò non toglie che l’uso fatto in Matrix ha funzionato alla grande. Ha funzionato in quello specifico modo e in quello specifico periodo. In quanto si trattava dell’idea giusta, nel modo giusto, al momento giusto. Vent’anni dopo, con tutta l’acqua passata sotto i ponti nel frattempo, che ti ritrovi?

Una regia stilisticamente mediocre, annegata in una una sceneggiatura complessivamente disordinata, spaventosa slugfest in Cgi per larghissima parte indistinguibile da un Michael Bay qualunque. Magari preso a caso, in un qualsiasi giorno della settimana.

Alla fine, invece di migliorare l’esperienza complessiva, magari di espandere l’universo ed estendere la narrazione come fatto al secolo con Animatrix, questo Matrix 4 è solo l’ennesima voce sul registro delle proprietà da sfruttare.
Ulteriore dimostrazione che film del genere non dovrebbero essere realizzati.

Ulteriore dimostrazione di un fatto dolorosamente chiaro già vent’anni fa. Non importa quale pillola scegli: rossa o blu non fa differenza, tanto sono entrambe placebo.

 

Ebbene, direi che con questo è tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

 

Un pensiero su “MATRIX RESURRECTIONS È IL SEQUEL DI NIRVANA”
  1. Pazzesco, quando leggevo sui giornali i programmi dei cinema locali pensavo che Matrix Resurrections fosse un nuovo passaggio del film originale nelle sale per celebrare qualche anniversario, non un nuovo film. Magari faccio ancora in tempo a vederlo.
    Però secondo me ci sei andato giù troppo pesante con Matrix, Alessandro, tanto più che i temi che citi si possono applicare praticamente a ogni epoca.
    Ah, “El Topo” (se intendi quello di Jodorowsky) non c’entra niente con il mito della Caverna di Platone.

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