L'avvocato Maschera Nera

Avere un’idea originale come Maschera Nera può essere relativamente semplice, ma è improba l’impresa di essere sempre in grado di sfruttarla adeguatamente.

Immaginare che, nel Far West, lo sceriffo di un paesino immaginario potesse spedire il figlio a studiare legge a Oxford, perché praticasse l’avvocatura ad alti livelli una volta tornato in patria, era certamente una trovata originale. Luciano Secchi, in arte Max Bunker, la ebbe nel 1962 e così mandò in edicola Maschera Nera con i disegni di Paolo Piffarerio.

Materiale su cui lavorare ce n’era: formalismo giuridico di marca british contro la brutalità dei cow boy, mentalità poliziottesca da sceriffo contro cultura garantista da difensore, forza del Diritto contro violenza delle armi.

 

 

Se poi aggiungiamo che l’avvocato in questione si mostrava pronto, sin dal primo episodio, ad assumere una terza identità (non solo avvocato, non solo figlio “civilizzato” del burbero sceriffo, ma anche giustiziere mascherato per colpire laddove la Legge non arriva), possiamo dire che si trattava, per i tempi, di una serie interessante.
Ben venga, dunque, la ristampa da poco sbarcata in edicola e già salutata autorevolmente qui da Marcello Toninelli.

Noi ci limitiamo a qualche piccolo approfondimento sugli aspetti giuridici delle storie, nello spirito delle ricerche su “Diritto & Fumetti” sviluppate a partire dalla mostra Giustizia a strisce del 2015. Con una avvertenza: non disponendo della serie completa di Maschera Nera, ristampata parzialmente per l’ultima volta negli anni settanta, svolgeremo qualche considerazione solo sui primi quattro episodi.

Nel primo episodio a stupire è soprattutto l’importanza che la collettività sembra attribuire alla professione di avvocato, sin dall’inizio della storia, quando Slim, detto Slitta, fa la conoscenza di Ringo Rowandt, il nostro protagonista.

 

 

L’idea che un avvocato debba essere trattato con particolare deferenza, e che anzi debba rendersi riconoscibile a tutela del suo rango, piacerebbe al professor Bruno Cavallone, traduttore di fumetti nei primi anni di vita della rivista Linus, che più volte nei suoi testi ha citato improperi, dileggi, accuse verso la classe degli avvocati tratte da secoli di letteratura di ogni tipo. Da “La prima cosa da fare è uccidere tutti gli avvocati” di Shakespeare in su, o in giù.

Successivamente, il ruolo del nostro personaggio tende a scolorare. Lo sceriffo sembra pretendere che l’avvocato, come “uomo di legge”, debba aiutarlo a risolvere un caso che richiede semmai capacità investigative. Ringo sembra interessarsene, ma decide poi di assumere un atteggiamento blasé, per poi indagare nelle vesti di Maschera Nera.

 

 

Il terzo e il quarto episodio forniscono pochissimi spunti giuridici, mentre è decisamente interessante, a questi fini, il secondo, intitolato “L’avvocato del diavolo”.

Lo sceriffo, con l’aiuto di Maschera Nera (del quale ovviamente ignora l’identità segreta) ha catturato il componente di una banda responsabile di vari omicidi, e si appresta a trasportarlo presso un tribunale federale non meglio precisato. Ma il pubblico ministero, che si sposta da un luogo all’altro come un commesso viaggiatore, viene ucciso dal resto della banda. Lo sceriffo sembra convinto che suo figlio, solo perché laureato ad Oxford, possa autoinvestirsi della carica di pubblico accusatore, incurante di ogni conflitto di interesse e di ogni incompatibilità processual-familiare tra un pubblico ministero figlio e un testimone di accusa padre.

 

 

L’idea che uno sceriffo abbia il potere di designare un pubblico ministero è piuttosto strampalata, ma Ringo, invece di far notare ciò al padre, lo fa schiumare di collera rivelandogli uno sviluppo imprevisto: è stato incaricato di difendere l’imputato.

Il processo che ne segue è un concentrato di farsa alla Max Bunker, che anticipa di qualche anno quello a cui parteciperà Alan Ford.

 

 

 

Da Alan Ford n. 15: “Il colpo di fulmine” (1970), di Max Bunker e Magnus

 

Il giudice pasticcione, un vero bovaro che nulla sa di diritto, chiamato prima Cast e poi Colt… ma quanti lettori, all’epoca, badavano a questi dettagli?

 

 

L’imputato viene assolto, ma poi Maschera Nera farà giustizia procurandosi da solo le prove per un nuovo processo, che viene sbrigativamente liquidato nelle ultime due vignette dell’episodio.

Come spesso accade nei fumetti, dunque, la questione giuridica viene risolta senza alcun rispetto per la fedeltà storica (il processo è un po’ all’italiana, vengono citati “codici” che nel diritto anglosassone praticamente non esistono), giudici e avvocati sono soprattutto un’occasione per far ridere. Un umorismo che nasce dall’assurdità delle forme, spesso incomprensibili ai non iniziati, e dal carattere tronfio dei magistrati, pieni di sé anche quando descritti come perfetti idioti.

Insomma, l’autore della serie non sfruttò sempre appieno gli spunti che l’idea iniziale poteva fornire. Anzi, spesso lanciò il personaggio a briglia sciolta nel mondo dell’avventura senza alcun riferimento all’attività di avvocato (come nel terzo episodio, una rivisitazione dello storico assedio di Forte Alamo).

 

Il Giudice Bean di Guido Nolitta (pseudonimo di Sergio Bonelli) e Sergio Tarquinio (1963)

 

Le serie di ipotetica ambientazione processuale, come anche un altro noto western, il Giudice Bean della casa editrice Bonelli, mostrano ben pochi tribunali e molta più avventura “pura”. Difficile appassionare il lettore con cavilli giuridici e norme di dubbia interpretazione (meno male che non facevi ancora il critico quando scrivevo Ronny Balboa, se no chissà come rompevi le scatole – NdR).

Una notazione curiosa: Maschera Nera è stato anche il titolo di una collana di romanzi curata, all’inizio degli anni ottanta, da Oreste Del Buono, che come direttore di Linus, rivista rivale della Eureka diretta da Luciano Secchi, aveva spesso scambiato con quest’ultimo delle gustose punzecchiature. Sul numero di gennaio del 1981 di Eureka, così lo stesso Secchi, rispondendo a un lettore, ricapitolava la questione.

 

 

Gli annali di storia patria del diritto non annoverano testimonianze sull’effettiva insorgenza della causa: è probabile che la questione sia stata conciliata tra avvocati meneghini, probabilmente non avvezzi a indossar maschere ma a fare due conti sulla convenienza della lite.

 

Curiosamente, la collana di tascabili di Del Buono durò solo nove numeri e il fumetto del Secchi torna in edicola per la terza volta in questi giorni.

 

© Francesco Lentano 2019

 

 

 

2 pensiero su “MASCHERA NERA E GLI ALTRI STRANI AVVOCATI DEL WEST”
  1. Ho “agito” anch’io un avvocato nel Far West: Satko, l’avvocato-indiano creato da Sergio Bonelli che ho fatto tornare nell’avventura dello Spirito con la Scure contro Timber Bill (altro recupero nolittiano) in “Timber Bill” e “Colpo su colpo” (Zagor nn. 221-222).

    1. sì, ed è citato infatti nel catalogo della mostra GIUSTIZIA A STRISCE, pag, 32. Approfitto per ri-ringraziare pubblicamente l’amico Federico Montalto, che in quel catalogo curò appunto, da amorevole appassionato, un ampio paragrafo sul personaggio di Zagor.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *