All’alba del 25 maggio 1946, Marcel Petiot sale sul patibolo conservando il suo consueto atteggiamento distaccato. «Anche se non sono un uomo religioso, la mia coscienza è pulita», dice alla folla mentre il boia prepara la ghigliottina. «Ora pregherei lor signori di volgere lo sguardo altrove, perché lo spettacolo che seguirà sarà poco gradevole». Malgrado il gentile invito del condannato, i presenti non riescono a distogliere lo sguardo dalla lama che scende rapida. Alcuni racconteranno che il dottor Petiot è morto con uno strano sorriso dipinto sul volto.

Marcel Petiot nasce il 17 gennaio 1897 ad Auxerre, una città della Borgogna a un centinaio di chilometri da Parigi. Appartiene a una famiglia relativamente agiata: suo padre è un funzionario delle poste e uno zio insegna filosofia al liceo. Intelligentissimo, a 5 anni legge già come un bambino di 10. Ma quando inizia ad andare a scuola deruba abitualmente i compagni di classe, si diverte a torturare gli animali e a 8 anni smercia immagini pornografiche ai coetanei. Dopo un consulto con uno psicologo, la famiglia decide di mandarlo in un istituto, anche perché la scuola non lo vuole più tra i suoi alunni.

Nel 1916, Marcel parte per combattere nella Prima guerra mondiale. Sorpreso a derubare i commilitoni, viene prima arrestato e poi ricoverato in un ospedale psichiatrico per due anni, in quanto considerato parzialmente malato di mente. Rinviato al fronte nel 1918, si spara a un piede, ottenendo l’esonero per disturbi psichici. Malgrado i suoi comportamenti strambi, Marcel è un giovane molto intelligente: approfittando di una borsa di studio riservata ai veterani, nel 1921 si laurea con lode in Medicina. Allo stesso tempo è diventato un tossicodipendente: fa uso di droghe che prepara con i farmaci a sua disposizione.

Inizia il tirocinio di medico in un ospedale di provincia, dove viene apprezzato per l’impegno professionale. Soprattutto lo amano i poveri, che Marcel cura gratis in un’epoca in cui tutte le visite mediche sono a pagamento. Pratica anche gli aborti, benché siano vietati. Un giorno un farmacista rimane perplesso davanti a una sua ricetta, perché nel farmaco prescritto è presente un potente narcotico. «Dove sta il problema?», gli risponde secco il medico. «Quel bimbo è solo un impiccio per la madre, sarebbe meglio per lei eliminarlo».

 

Nel 1926, Marcel Petiot va a trovare Louise Delaveau, una ragazza con la quale aveva avuto una relazione, e la ammazza a colpi di ascia. Un uomo, che lo vede mentre si reca nella casa della giovane, in un secondo momento viene ucciso anche lui a coltellate. E stavolta Petiot non lo vede proprio nessuno. Sempre quell’anno, concorre alla carica di sindaco a Villeneuve-sur-Yonne, un paesino della Borgogna. Paga alcuni teppisti perché interrompano i comizi dei rivali e nonostante i suoi metodi poco corretti riesce a farsi eleggere.

Nel 1927 sposa Georgette Lablais, figlia 23enne dell’uomo più facoltoso dei dintorni. L’anno successivo nasce il loro unico figlio, Gerhardt. Due anni dopo si scopre che Petiot ha intascato i fondi delle casse comunali, e per questo viene sospeso dalle funzioni di sindaco. Quando apprende che a denunciarlo è stato un suo rivale politico, Armand Debauve, il medico reagisce tagliando la gola alla moglie di lui, Henriette. Stavolta la polizia ha qualche sospetto su chi sia l’assassino, ma siccome le prove non sono certe, lascia perdere.

Quando il medico torna a occuparsi dell’amministrazione cittadina, sia pure come semplice consigliere comunale, una donna lo accusa di aver drogato sua figlia per violentarla. Vendicativo come sempre, Marcel Petiot se la prende con il marito, che ammazza colpendolo in testa con un tubo di ferro. Se riesce sempre a farla franca con gli omicidi, non accade altrettanto con la vecchia accusa di appropriazione indebita. Sa che tra breve una sentenza del tribunale lo escluderà da tutte le cariche pubbliche, quindi, nel 1933, decide di trasferirsi a Parigi con la famiglia per cambiare aria. Trova lavoro nello studio di un famoso medico esibendo credenziali prestigiose quanto fasulle, finché non si procura una clientela in proprio. In quegli anni, benché venga internato temporaneamente in manicomio per piccoli furti e spaccio di stupefacenti, diventa un medico di successo riuscendo a guadagnare abbastanza per acquistare una palazzina.

Siamo ormai nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale. La Francia, sconfitta, si ritrova sotto l’occupazione dell’esercito tedesco. Dato che Hitler ha ordinato di deportare tutti gli ebrei, Petiot decide di approfittarne per mettere in atto un piano diabolico. Prima, però, fa erigere intorno alla propria casa delle mura altissime, trasformandola in una specie di fortino. Incarica poi alcuni complici di attirare nella sua abitazione gli ebrei in cerca di fuga, con la promessa di un imbarco per il Sudamerica.

Alcuni di questi disperati portano con loro i risparmi di una vita. Come Joachim Guschinov, che nelle tasche nasconde l’equivalente di 300mila euro in diamanti. Bussano alla porta del medico anche delinquenti comuni, desiderosi di espatriare perché braccati dalla polizia. Dopo averli fatti entrare di notte, il medico fa bere agli ospiti del cianuro, dicendo loro che si tratta di un medicinale necessario per affrontare il lungo viaggio. Un viaggio più lungo di quanto pensino, perché poco dopo muoiono stecchiti.

Siccome lo spazio in città per le sepolture illegali comincia a scarseggiare, le modalità per uccidere e far sparire i corpi subiscono una variazione. Il massacro dura fino all’11 marzo 1944, quando i vicini, colpiti dallo strano odore che fuoriesce dalla casa, chiamano i pompieri. I vigili del fuoco, entrati nell’edificio temporaneamente disabitato, scoprono che in cantina è stata attrezzata una camera a gas con doppia porta di sicurezza, dotata di spioncino per permettere di guardare l’agonia delle vittime. Semicoperti di calce viva, in fondo a un pozzo, trovano 26 cadaveri senza nome.

Ai vigili del fuoco appare subito chiaro che, dopo quel trattamento, i corpi dovevano essere bruciati nell’inceneritore. Ed era stato proprio lo sgradevole odore sprigionato dal camino ad allertare i vicini. In qualche modo misterioso, Marcel Petiot era riuscito a ricreare una piccola Auschwitz privata. Diciamo misterioso perché nessuno in Francia dovrebbe essere a conoscenza dell’esistenza di Auschwitz. Ufficialmente, i nazisti rastrellavano gli ebrei per condurli nei campi di concentramento in modo da isolarli dal resto della popolazione. C’erano, è vero, delle voci vaghe secondo le quali quei campi sarebbero stati, in realtà, di sterminio, ma pochi ci credevano.

MARCEL PETIOT HA IN CASA UNA PICCOLA AUSCHWITZ
Dal quotidiano “Le Matin” dell’epoca

 

Sempre nell’edificio, vengono trovate 72 valigie contenenti 655 chili di oggetti appartenuti alle vittime, dal valore comunque limitato. Il vero bottino non sarà mai scoperto, anche se i proprietari successivi dell’abitazione la smonteranno pietra su pietra.

In breve vengono arrestati per complicità Georgette e Maurice Petiot, la moglie e l’unico fratello del medico. I due ammettono di avere dato una mano ad attirare le vittime in casa e a seppellire i loro corpi nella calce viva. Nel frattempo il dottore, senza sapere di essere stato scoperto, torna a casa mentre i gendarmi stanno ancora perquisendo la cantina degli orrori. Si finge un semplice visitatore e se ne va senza problemi. Poi, con l’aiuto di un amico, contatta un gruppo della Resistenza. Il medico racconta di aver ucciso un soldato tedesco e chiede il loro aiuto: i partigiani, credendogli, gli danno dei documenti falsi per sfuggire alle ricerche. D’ora in poi si chiamerà Henry Valeri e, per camuffarsi meglio, si fa crescere barba e baffi.

Ormai la guerra volge al termine: nelle settimane successive gli Alleati scacciano i tedeschi da Parigi. I governi cambiano, ma la polizia continua imperterrita con le sue indagini. Il 31 ottobre 1944, nonostante il travestimento e i documenti falsi, Petiot viene arrestato mentre cerca di prendere la metropolitana.

Al processo, che si tiene nel marzo del 1946, l’avvocato difensore cerca di convincere la corte che il dottore avrebbe effettivamente fatto scappare gli ebrei in Sudamerica e che i cadaveri trovati nella sua cantina apparterrebbero a tedeschi giustiziati dalla Resistenza. Lo stesso Petiot sembra seccato di non essere creduto, quando afferma di aver partecipato alla lotta contro il nazismo.
Le sue vittime accertate sono 63, anche se probabilmente ammontano a più di 150, ma, per non perdere tempo con indagini inutili, il pubblico ministero lo accusa solo dell’uccisione delle 26 persone trovate nella sua cantina. Più che sufficienti per condannarlo a morte.

 

Ora spostiamoci nel 2010 e andiamo a Washington. Gli storici studiano alcune carte tenute a lungo segrete dal governo degli Stati Uniti. Vi si legge che, durante la Seconda guerra mondiale, gli americani avevano organizzato uno speciale servizio spionistico nelle nazioni controllate dai loro nemici. La struttura segreta si chiamava “The Pond”, lo Stagno. L’informatore di gran lunga più prezioso si era rivelato un certo Marcel Petiot, un medico che aveva come pazienti alcuni alti ufficiali tedeschi piuttosto ciarlieri.

Grazie a Petiot, gli americani vennero a conoscenza in anteprima di alcuni tra i più importanti segreti dei nazisti: dal ritrovamento dei cadaveri degli ufficiali dell’esercito polacco trucidati dai russi a Katyn fino alla costruzione delle V2, i primi razzi usati a scopo bellico. Stando a quelle carte, insomma, il dottor Petiot avrebbe davvero dato, come raccontò al processo, un forte contributo alla lotta contro il nazismo. Probabilmente, tra le informazioni ricevute dagli ufficiali tedeschi c’erano le istruzioni che hanno consentito allo strano medico di realizzare la copia miniaturizzata di un vero e proprio campo di stermino.

 

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Di Sauro Pennacchioli

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