Mad Max: Fury Road

Per me Mad Max: Fury Road è una cagata pazzesca! Ecco, ora che l’ho detto voglio i miei novantadue minuti di applausi. Anzi, ne voglio il doppio, perché con cagata pazzesca intendo dire un’altra cosa, ovvero che…

… il mondo ha bisogno disperatamente di film come Mad Max: Fury Road!

 

Il problema sta nel fatto che qualunque cosa non appaia immediatamente riconoscibile, che provi a venir fuori da schemi facilmente identificabili, automaticamente diventa lecito dirne la qualunque e la qualsivoglia, anche senza sapere esattamente di cosa si stia parlando. Automaticamente, tutto diventa una cagata pazzesca.

Il de gustibus non sputacchiandum e bla bla bla non ha nulla a che vedere con questo. Un film può piacere oppure no. L’insieme di fattori che ci portano a dire mi piace/non mi piace è appannaggio di chiunque, indipendentemente dalla qualità dell’opera. Ma questo atteggiamento non c’entra una beata mazza con il concetto di critica.

A proposito di Mad Max: Fury Road ne ho sentite tante di opinioni, valutazioni, analisi e disamine. Alcune molto sensate e intelligenti, altre meno. Ma finora non ho mai sentito una sola critica sensata nei confronti di Mad Max: Fury Road. Per critica intendo non i disperati tentativi nati da bias del tutto personali, di demolire un’opera a tutti i costi.
Comunque, partiamo facendo un passo indietro.

 

Mad Max oltre la sfera del tuono (Mad Max Beyond Thunderdome – 1985)

 


Nel mio precedente articolo (che potete leggere cliccando QUI) dicevo come con Interceptor e Il guerriero della strada, il produttore e regista George Miller fosse stato in grado non solo di dare un nuovo orientamento al genere post-atomico, già sfruttato a mani bassissime, ma di dargli una nuova estetica poi ripresa da tutti.

Soprattutto, iniziava a delinearsi chiaro il concetto, reso palese poi con Thunderdome, che il vero protagonista non fosse il personaggio da cui la saga prende il nome, bensì il mondo che gli sta attorno. Un mondo in continuo cambiamento di cui Max è solo un osservatore e testimone quasi casuale.

Con Mad Max: Oltre la Sfera del Tuono, noi spettatori assistiamo a un ennesimo mutamento: il tentativo di spiegare, a fronte dell’apocalisse messa in scena nel film precedente, cosa venga dopo. Da dove e come possa ripartire la civiltà.

Max, perciò, è ancor più elemento tangente di questa situazione. Comincia dal nulla in quanto ormai lui è parte essenziale di quel nulla. La parte viva e inamovibile di un macrocosmo che osserva, super partes, i cambiamenti della vita al suo interno.

Seguiamo Max che finisce per trovarsi a Bartertown. Specie di Babilonia in mezzo al deserto, dove, in un modo o nell’altro, riesce a stringere un accordo con la regina di quell’agglomerato umano, Aunty Entity. Regina solo sulla carta, dato che in pratica Bartertown è governata da Master.

Master è un vecchio nano che dirige la centrale elettrica alimentata a metano prodotto dalle feci di maiale. La centrale è il cuore che manda avanti l’intera Bartertown, e finché a proteggerlo ci sarà Blaster, un gigantesco guerriero mascherato ai suoi ordini, Master è di fatto il signore della città.

L’accordo che Entity propone a Max è molto semplice: “Ammazza Blaster, toglimi dai piedi Master, e avrai tutto ciò che desideri”. Facile. E quale modo migliore per fare tutto ciò se non nel Thunderdome? Un’arena in cui, molto democraticamente, qualunque cagnara viene risolta da un combattimento all’ultimo sangue all’insegna del motto “Due combattono, uno vive”.


Poi succede che Max fa casini. Viene sbattuto fuori da Bartertown, incontra la tribù dei bambini che crede nell’avvento del Capitano che li porterà in salvo nella Città del domani domani, e così il film finisce per accartocciarsi su se stesso.

Non è che Mad Max: Oltre la sfera del tuono sia un brutto film. Anzi, la potenza di certe idee è palese. Bartertown, per esempio, è pazzesca: l’affollamento, l’attività incessante, il modo in cui Miller riempie lo schermo di dettagli la rendono molto più di un semplice set cinematografico. La rendono viva. Come il Rick’s Café Américain di Rick Blaine in Casablanca o la Hill Valley di Ritorno al futuro.

Oppure, sempre come diceva Roger Ebert, il Thunderdome, l’arena per le battaglie mortali di Bartertown, è la prima idea cinematografica davvero originale su come organizzare un combattimento dai primi film di karate.

Tuttavia c’è stato un tentativo maldestro di ficcarci dentro veramente troppa roba. L’influenza di cose come La sfida del samurai, Zatoichi, Yojimbo e via dicendo si sente.

Mettici pure le secchiate di cazzate hollywoodiane, tipo la retorica spicciola dei bambini-unica-speranza-per-un-futuro-migliore, trascinata assurdamente troppo per le lunghe. Il tentativo di critica sociale, con la presa per il culo della televisione con la ruota della “sfortuna”. I toni da avvento messianico e pure la vera/finta violenza da episodio di A-Team, giusto ché il film era un bel PG-13, et voilà!

 

Mad Max: Fury Road (2015)

 

Se c’è una cosa che mi fa morire del cinema americano sono appunto certe cazzate. Per dire, in Aliens siamo nel 2179, eppure i Colonial Marines del futuro vanno in giro imbacuccati con un equipaggiamento che dovrebbe essere ormai roba da museo. Come se i soldati di oggi andassero in guerra con moschetto e cotta di maglia. Nell’economia generale del film, però, chi se ne sbatte di ‘sta cosa.


Fino all’uscita di Mad Max: Fury Road avevo pensato a George Miller come uno che si era lasciato andare giù per i dolci pendii della vecchiaia. Che si era arreso a un invecchiamento precoce: dopotutto, siamo solo nel 1985 e ha già dato forfait, piegandosi alla logica cazzara dei buoni sentimenti e ai bambini felici e contenti.

Nei trent’anni che separano Mad Max: Oltre la sfera del tuono da Mad Max: Fury Road la cosa sembrava palese, no? Addio olocausto nucleare. Addio sofferenze post-apocalittiche. Il mio posto ora è qui, coi pinguini rincoglioniti e i maialini curiosi che vogliono imparare a ballare e cercare fama giù in città. E invece…

Non so cosa sia successo di preciso. Forse un’overdose di viagra, magari un sovradosaggio di qualche farmaco a base di testosterone, vallo a sapere. Fatto sta che all’improvviso Miller, a settant’anni, ha preso e se n’è andato sei mesi nel deserto. Venendone poi fuori con il Cirque du Soleil pippato a cattiveria che guida macchine che vanno a rabbia e brutte maniere, al grido di fanculo i buoni sentimenti.

Capiamoci, mi viene da ridere se penso a uno come James Cameron che a proposito di Terminator Gensiys diceva: “Mi sento di dire che la saga si è rinvigorita, come se fosse un Rinascimento. Vi sono piaciuti i film di Terminator? Allora amerete questo film!”. Certo, come no… l’ho adorata la parabola discendente di film post 1984, uno più stupido dell’altro. Un concentrato di pietà misto a tenerezza che può sembrare teso solo nei confronti delle storielle di Topolino.

Che Mad Max: Fury Road possa non piacere, ci sta. E qui torniamo al discorso del rifiuto fantozziano espresso tramite l’esclamazione della cagata pazzesca: è giusto e sacrosanto respingere, prendere le distanze da ciò che per un motivo o per un altro non si confà ai nostri gusti. Ma questo è un conto, tentare di legittimare le nostre idiosincrasie indicandole come difetti oggettivi di un’opera è un altro paio di maniche.

Ho sentito gente dire che Fury Road sarebbe una cagata perché non ha una trama. È solo un lungo, ininterrotto, inseguimento. Come se questa fosse una cosa orribile. Tralasciando il fatto che, probabilmente, quelle di Fury Road siano le migliori sequenze d’inseguimento mai realizzate, George Miller è riuscito in una cosa piuttosto sorprendente: raccontare una storia intera e stratificata nel contesto di quell’inseguimento senza mai fermarsi.

Come dicevo l’altra volta, uno dei punti di forza di Miller è la sua capacità di avere chiaro il concetto di show, don’t tell. Mostrare, non raccontare. Per quanto mi riguarda, un film è un modo di raccontare una storia tramite immagini, anziché parole. E fino a quattro anni fa, per me Mad Max 2, un film di pura azione, era la summa maxima di questo concetto. Ora sostituito da Fury Road.

Questo perché, a patto di non avere vissuto gli ultimi trent’anni in una caverna con le dita nelle orecchie, per tutti dovrebbe essere ben chiaro il significato di post-apocalittico. Mad Max: Fury Road ne è pura essenza, in quanto può permettersi tranquillamente di appoggiarsi a tre decadi e più di cinema, letteratura e videogame. Basati anche sul modello creato dallo stesso Mad Max 2. Oltretutto, prima di questo ci sono stati tre film che approfondiscono la mitologia di Mad Max.

Come spettatore non ho bisogno di sentirmi ripetere in continuazione ovvietà, come se avessi un cuneo di metallo nella tempia e la bava alla bocca. Lo vedo da me che questi disgraziati che si ammazzano l’un l’altro per uno sputo sono masse tumorali ambulanti perché il mondo è diventato radioattivo.

Non ho bisogno di una spiegazione for dummies. Fury Road è il risultato di un’evoluzione protratta collettivamente per trent’anni. Non deve mettere in chiaro o specificare nulla. Se non hai manco la più pallida idea di niente il problema è tuo che non sai, non del film che non spiega.

Così come, e non mi voglio soffermarci più di tanto, il non vedere le palesi, abbaglianti, gigantesche metafore che il film tira a secchiate e continuare a dire che in Mad Max: Fury Road non ci sia una storia, è altrettanto un problema. Perché questa cosa significherebbe la vittoria di un cinema pigro che si adagia su spettatori ancora più pigri. Contenti di avere seguito una trama (che per inciso è l’insieme degli eventi contenuti in un racconto) guardando con un occhio lo schermo dello smartphone mentre ruminano i popcorn.

Un’altra lamentela che mi è capitato di sentire spesso, che oggi mi infastidisce ma all’epoca mi faceva sbroccare male è: “Max non è l’eroe del film che si chiama Mad Max”. Tanto valeva chiamarlo “Furiosa” e bene così.
L’ho ripetuto fino alla nausea: Max non è mai stato l’eroe di queste storie. In quanto nell’intera saga Max è una presenza in continua discordanza con un mondo che continua a evolversi attorno a lui. Puoi vedere ciascuno dei quattro film anche in ordine casuale e non cambierebbe nulla. Quanto non cambia la faccia di Tom Hardy al posto di quella di Mel Gibson.

Ammettiamo per un momento che i precedenti film non siano mai esistiti. Questo cambierebbe qualcosa nell’economia della situazione? Forse. Se non fosse per quel piccolo dettaglio all’inizio di Mad Max: Fury Road: “Il mio nome è Max, il mio mondo è fuoco e sangue. Un tempo ero un poliziotto, un guerriero di strada in cerca di una giusta causa. Mentre il mondo crollava, ognuno di noi a modo suo era a pezzi. Difficile capire chi fosse più folle: io o gli altri. Ripeto a me stesso che non possono toccarmi. Sono morti, e da tempo. Sono colui che fugge sia dai vivi che dai morti, inseguito da saprofagi, perseguitato da coloro che non ho saputo proteggere. Esisto così, in questa terra devastata: un uomo, ridotto a un unico istinto: sopravvivere”.

 

Dieci secondi, due frasi, e Miller ha sintetizzato i tre film precedenti, mettendo in chiaro che Max non è davvero un “eroe”. È l’ombra dell’uomo che era, la cui psiche incrinata a causa dell’odio che prova verso se stesso a causa delle persone che ha lasciato morire, che tira avanti solo per istinto di sopravvivenza.

Se non fossimo talmente abituati a film che ci impiegano due ore per ripetere la stessa cosa, magari risulterebbe lampante. Lamentarsi della (relativa) messa in secondo piano di Max rispetto al personaggio di Furiosa è il tentativo di delegittimare uno dei personaggi migliori apparsi negli ultimi vent’anni.

A questo proposito, del personaggio interpretato da Charlize Theron ne ho già parlato nell’articolo Donne protagoniste nei film d’azione. Un personaggio eccezionale, che in un mondo perfetto avrebbe un franchise di film tutto suo.
Ci sarebbero parecchie altre cose che avrei voluto dire, ma preferisco glissare. Il brodo l’ho allungato pure troppo e sto a farmi le lampade agli occhi a furia di guardare lo schermo del computer.

L’ultima cosa che voglio dire è che ci siamo accontentati di cazzate per troppo tempo e Mad Max: Fury Road rappresenta l’antitesi di questa tendenza. Ha imposto un altro standard da raggiungere, una vetta da scalare per chiunque. Prima o poi qualcuno dovrà rispondere alla sfida imposta da Mad Max: Fury Road. Quando, e se, dovesse arrivare quel momento in cui apparirà un film d’azione migliore di Fury Road io in persona lo condurrò ai cancelli del Valhalla per volare con lui.

Detto questo, con Mad Max: Fury Road e Mad Max in generale, credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

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