Loudun

Da secoli avvengono fatti strani a Loudun, una cittadina francese di settemila abitanti nella regione occidentale del Poitou. Sono fatti talmente sinistri che, nel medioevo e anche oltre, la Chiesa si è sentita in dovere di mandare esorcisti per liberare gli “indemoniati” e inquisitori per mettere al rogo le “streghe”.

La vittima più illustre è stata senza dubbio Urbain Grandier, il bellissimo e coltissimo parroco della città. Il suo fascino, i suoi modi da gentiluomo, i capelli riccioluti e gli occhi espressivi avevano reso le donne del luogo pazze di lui, ma non impedirono ai suoi carnefici di torturato e bruciarlo vivo nel 1634.

Grandier era stato accusato di essersi alleato a Satana per sedurre, con successo, un intero convento di monache orsoline. La superiora del convento, un’anziana donna deforme e mentalmente instabile, aveva giurato di aver visto con i propri occhi i diavoli che accompagnavano il parroco durante i suoi exploit erotici!
Dalla tragica vicenda storica Aldous Huxley ha tratto il libro “I diavoli di Loudun” e il regista Ken Russel il film I diavoli.

Generazioni dopo, gli abitanti di Loudun si sono finalmente convinti che il povero parroco era stato vittima delle calunnie, e per farsi perdonare gli hanno dedicato la piazza principale del paese. Ciononostante, la sempre inquieta cittadina è tornata alla ribalta delle cronache nel secolo scorso, per un’altra storia enigmatica e maledetta.

Marie Davaillaud, nata a Loudun nel 1896, sin da bambina va a lavorare nei campi con i genitori. Destino comune alla maggioranza dei francesi del tempo, che, con il sudore della fronte, traggono il loro sostentamento coltivando la terra.

Marie, però, dalla vita vuole molto di più. Non avendo un’istruzione, capisce che può migliorare la propria condizione solo sposando un uomo ricco. Siccome al momento non lo trova, nel 1920 ripiega su un contadino meno povero degli altri, Auguste Antigny. Trattandosi di un cugino di primo grado, deve farsi dare una speciale dispensa dalla Chiesa. Il marito muore giovane, nel 1927, si pensa di tubercolosi, della quale soffriva da tempo.

La vera scalata sociale, Marie Davaillaud la compie l’anno dopo con il suo secondo marito, Léon Besnard. Essendo la famiglia di Léon facoltosa, la coppia va a vivere nel loro palazzo. Per Marie è come essere in una reggia, e scopre rapidmente che comportarsi da regina le riesce fin troppo facile.

Alcuni giorni dopo il suocero muore avvelenato, apparentemente per aver mangiato funghi. Passano tre mesi e la suocera lo segue nella tomba, pare per polmonite. All’epoca non ci si pone troppe domande quando qualcuno lascia il mondo dei vivi, soprattutto in campagna, dove i dottori sono rari, costosi e poco preparati.

I beni dei coniugi scomparsi vengono ereditati dal marito di Marie e dalla sorella Lucie. Alcuni mesi dopo tocca a Lucie andarsene, pare per suicidio. Più tardi, nel 1940, arriva il momento fatale di Pierre, padre di Marie, ufficialmente per emorragia cerebrale.

L’anno prima, i Besnard avevano affittato alcune stanze del loro grande palazzo ai Rivets, una famiglia benestante amica di Léon. E proprio nel luglio di quel 1939 il signor Toussaint Rivets muore di polmonite. La moglie ne segue l’infelice destino nel 1942, a causa di un’aortite. Unica erede della famiglia Rivets è Marie.

Marie riceve anche le eredità delle cugine Pauline e Virginie, entrambe venute a mancare nel 1945. Pauline avrebbe confuso un piatto di velenosa lisciva per un dolce e Virginie avrebbe commesso lo stesso errore una settimana dopo. Parrebbero fin troppo sbadate, le due cugine. Siccome nessuno è immortale, da lì a poco anche mamma Marie-Louise lascia questa valle di lacrime.

Ormai, tra una eredità e l’altra, l’ex contadina Marie diventa una delle signore più in vista della cittadina. La donna impiega le proprie giornate in opere di devozione religiosa e facendo beneficenza. Per tutti è diventata la potente “madame Besnard”, ma in una cittadina di provincia come Loudun non si perdona facilmente chi raggiunge il successo partendo dal nulla, e così le comari cominciano a mettere l’altezzosa Marie Davaillaud al centro delle loro maldicenze.

Un giorno, Léon si ammala gravemente. Alla postina Louise Pintou, che lo va a trovare, nel delirio rivela che la moglie gli ha messo del veleno nella zuppa. Detto questo, perde conoscenza per spegnersi qualche giorno dopo, il 25 ottobre 1947. Secondo il medico, si tratta di un caso letale di uremia.

Intanto Louise fa il giro di Loudun raccontando quello che le avrebbe detto Léon in punto di morte. Alla fine, nelle case se ne parla così tanto che la postina viene chiamata a testimoniare in gendarmeria. Dove conferma tutto, firmando una dichiarazione.

In effetti, anche i gendarmi trovano tutta la vicenda piuttosto sospetta. Troppi sono morti lasciando i loro beni a madame Marie Davaillaud. Così, i cadaveri delle tredici persone morte dopo essere state in compagnia di Marie vengono esumati dal cimitero di Loudun per essere studiati accuratamente dai tossicologi. Gli esiti delle analisi sui campioni prelevati dimostrano che quelle persone sono state tutte avvelenate, perché nei loro corpi sono presenti concentrazioni massicce di arsenico.

Nel 1949, Marie Davaillaud viene arrestata con l’accusa di aver commesso tredici omicidi. Secondo gli inquirenti, nell’ultimo delitto la donna non sarebbe stata spinta solo dal movente economico, ma anche da quello sentimentale. Marie, infatti, si sarebbe legata ad Alfred Dietz, un ex prigioniero di guerra tedesco rimasto in Francia come lavoratore tuttofare nella casa della famiglia Besnard.

Il 5 febbraio 1948, qualcuno penetra nell’abitazione della postina Louise, mentre la donna si trova fuori città. Stranamente, invece degli oggetti di un qualche valore, il ladro ruba lenzuola, materassi e biancheria. I gendarmi pensano che si tratti di un segnale minaccioso lanciato da Marie, allo scopo di intimidire Louise. Il furto non può averlo fatto l’imputata perché si trova in prigione, ma potrebbe averlo commissionato a qualche conoscente. In ogni caso, la postina non si intimorisce affatto e conferma le accuse davanti ai magistrati.

A questo punto i paesani si scatenano, cominciando a chiamare Marie “la vedova nera”, “l’avvelenatrice” e “l’ultima strega di Loudun”: quest’ultimo epiteto va inteso in senso letterale, perché qualcuno l’accusa di aver sottratto magicamente la biancheria di Louise senza spostarsi dalla cella e, sempre da lì, di aver incendiato la casa di un tizio che le stava antipatico. Probabilmente rimpiangono il tempo in cui le streghe finivano bruciate sul rogo, come capitava fin troppo spesso a Loudun.   

Il processo, che si tiene nel 1954, non viene celebrato dalla Santa inquisizione, ma da magistrati scrupolosi. Marie Davaillaud si presenta in visone e con l’atteggiamento di superiorità che la contraddistingue. I suoi abili avvocati dimostrano che ci sono stati alcuni errori nell’etichettatura dei vasetti con i campioni di tessuto esaminati dai tossicologi, alcuni dei quali sono stati persi e sostituiti.

Un’indagine eseguita dai periti di parte nel cimitero di Loudun dimostra, inoltre, che l’arsenico è presente nel terreno a causa degli antiparassitari sparsi in abbondanza quando, in passato, vi venivano coltivate le patate. Dal terreno, l’arsenico può essersi infiltrato nei corpi sepolti.

Il pubblico ministero, preso di contropiede, finisce per ammettere che potrebbe esserci stata contaminazione su sei corpi, ma gli altri sette presentano una concentrazione troppo elevata di arsenico per essere dovuta a infiltrazioni esterne.

I difensori non sono d’accordo e aggiungono che, salvo il primo marito scomparso a 33 anni, i deceduti avevano tutti dai 60 ai 90 anni; sarebbe quindi logico pensare che le loro morti siano state naturali, come riscontrato dai medici che le avevano certificate a suo tempo.

Infine Louise Pintou, la postina che avrebbe raccolto le ultime confidenze del marito di Marie, non è certo una teste attendibile. In precedenza Marie l’aveva accusata spesso di ascoltare le sue conversazioni telefoniche dall’ufficio postale, per poi spettegolare in giro. Per questo motivo, durante un ultimo litigio, le aveva ordinato di lasciare l’appartamento che abitava in affitto nel palazzo dei Besnard.

L’opinione pubblica francese, che fino a poco prima voleva l’imputata sul patibolo, all’improvviso cambia opinione. I cantastorie piangono la triste sorte della povera innocente nel “Lamento di Marie”: “Marie ha l’anima bianca / mentre i giudici con il cuore spietato / che i suoi parenti hanno squartato / ora vogliono farle cadere la testa nel paniere”.
Il paniere è il cesto posto sotto la ghigliottina, all’epoca ancora in funzione in Francia, dove cade la testa recisa dalla lama.

L’imputata non sembra però correre più questo rischio, perché viene assolta e torna in libertà dopo cinque anni di carcere preventivo. Non prima, però, di aver pagato la stratosferica cauzione di un milione di franchi. I soldi deve farseli prestare, perché tutti i suoi averi sono ancora sotto sequestro. Marie Davaillaud viene proclamata definitivamente innocente in appello, nel 1954, e in terzo grado, nel 1961.

Ha giocato in suo favore il fatto che alcuni periti di tossicologia, per solidarietà professionale, avevano tentato di coprire gli errori di procedura commessi dai colleghi. L’antipatica Marie è stata quindi più fortunata del simpatico vecchio parroco Grandier, che, pur avendo sempre negato di aver posseduto le suore insieme ai suoi amici diavoli, non era riuscito a evitare la condanna.

Marie Davaillaud, ormai intoccabile dalla legge, muore serenamente nel 1980, a 84 anni. I suoi compaesani, però, diversamente dagli altri francesi, l’avverseranno da morta: per molti anni nessuno andrà ad abitare nella sua grande casa rimasta vuota.
La casa maledetta dell’ultima strega di Loudun.




Nell’immagine di apertura una sequenza del film “I diavoli” di Ken Russel (1971).




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Di Sauro Pennacchioli

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