LUIGI TENCO, UN BAGLIORE NELLA NOTTE

In questi cinquant’anni si è parlato più della morte che della vita di Luigi Tenco, più della sua assenza che della sua presenza. Quella di Tenco è stata la fine più eclatante della storia della canzone italiana. Il cantautore di origini piemontesi è diventato l’emblema per eccellenza dell’artista incompreso e stritolato dai meccanismi spietati del mercato discografico. Il suo gesto ha reso evidente al pubblico italiano che un certo tipo di canzone, impegnata e basata sui contenuti, non poteva trovare cittadinanza in una competizione come il Festival di Sanremo.

Tenco stesso ha motivato il proprio suicidio lasciando un biglietto: per quanto possa sembrare incredibile, egli si uccise come atto estremo di protesta contro l’eliminazione della sua “Ciao amore ciao” dalla competizione festivaliera. Era un ribelle pre-Sessantotto: tenebroso e dall’aria un po’ maledetta, portava con sé la rabbia e le suggestioni dei teddy boys, dei ragazzi con le magliette a strisce e degli esistenzialisti.

Se i suoi riferimenti ci possono apparire inevitabilmente lontani e datati, ciò che sorprende di Tenco ancora oggi è l’assoluta modernità: le sue canzoni hanno resistito magnificamente allo scorrere del tempo. Questo grazie anche all’assidua frequentazione di generi musicali particolarmente innovativi nel quadro depresso della musica italiana della fine anni Cinquanta, come il jazz e il rock and roll, e a una voce vellutata e al contempo tagliente.

Tenco ha cantato l’amore come rottura delle convenzioni, come dichiarazione di guerra contro il perbenismo. La rivoluzione portata dai primi cantautori potrebbe essere riassunta nelle undici parole dell’incipit di un suo brano: “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”. Gli amori eterni, spirituali e platonici, che popolavano le canzoni sanremesi diventarono d’un tratto anacronistici e fuori dal mondo. Da questo punto di vista il cantautore utilizzava l’amore in senso “politico”.

Inoltre, Tenco era esplicito e diretto nell’introdurre elementi di critica sociale nelle proprie composizioni. Basti pensare a un pezzo come “Cara maestra”, in cui il cantautore immagina di guardare il mondo con gli occhi di un bambino e si chiede: perché quando entra in classe il direttore dobbiamo alzarci tutti in piedi, e quando entra il bidello dobbiamo stare seduti?

Difficile capire perché uno come lui abbia deciso di partecipare al Festival di Sanremo. Esistono su questo aspetto versioni divergenti: c’è chi parla di pressioni fortissime da parte della Rca, e chi di un’insistenza e di una determinazione da parte dello stesso cantautore. Come pure c’è chi parla, in termini più generali, di un Tenco costantemente combattuto tra la difesa coerente delle proprie idee in fatto di canzoni e l’aspirazione legittima a una più ampia platea e a un maggiore e meritato riconoscimento anche in termini commerciali.

C’è chi sostiene che nei mesi precedenti a Sanremo fosse particolarmente inquieto, instabile e depresso. Lo stesso tragico epilogo di quel Festival continua a dividere a tanti anni di distanza: non mancano neppure adesso coloro che sostengono la pista dell’omicidio, malgrado non siano mai emersi riscontri in tal senso. Infinite discussioni che rischiano di rubricare la vicenda del cantautore a fatto di cronaca nera.

La stessa parabola artistica di Tenco, in realtà, assomiglia maledettamente alla sua morte: un bagliore nella notte, rapidissimo, eppure in grado di cambiare per sempre la storia della canzone italiana.

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