Essendo uno dei più famosi attori d’America, John Wilkes Booth può entrare in qualsiasi momento nel Teatro Ford di Washington. Ne approfitta per praticare, di nascosto, un foro dietro il palco d’onore, in modo da tenere d’occhio l’odiato presidente Abraham Lincoln, che verrà ad assistere a una nuova commedia.

L’omicidio del presidente Abraham Lincoln

La sera del 14 aprile 1865, quando inizia la rappresentazione, dalla sua postazione segreta Booth scruta l’espressione allegra del presidente. Lincoln scherza con la moglie e gli amici seduti intorno a lui.
Anche il pubblico in platea si diverte ridendo alle battute degli attori, compreso Samuel Seymour, che con i suoi cinque anni è lo spettatore più giovane.

Lincoln

Alle 22, Booth esce dal suo nascondiglio e spara alla testa del presidente con una Derringer, una piccolissima pistola con un colpo solo che si può facilmente nascondere sotto i vestiti.
Mentre Lincoln si accascia a terra, il maggiore Henry Rathbone, che gli sta accanto, si getta verso Booth, ma l’assassino lo pugnala due volte, senza riuscire a ucciderlo.

Poi, grazie alla sua agilità, salta dal palco d’onore al palcoscenico, dove recita la sua ultima, brevissima, parte d’attore gridando in latino “Sic semper tyrannis”: “Così sempre ai tiranni”, la frase che, secondo la tradizione, avrebbe pronunciato Bruto quando pugnalò Giulio Cesare.

Il bravo e bello John Wilkes Booth

Ventisei anni prima, nel 1838, John Wilkes Booth nasceva in una casa di campagna del Maryland, non molto lontano da Washington, capitale degli Stati Uniti.
I sui genitori sono due inglesi trapiantati in America. Il padre, dal nome classicheggiante Junius Brutus Booth, è un famoso attore specializzato nelle opere di Shakespeare. Lo stesso John Wilkes, come i fratelli, è destinato a calcare con successo le scene.
John Wilkes si fa subito apprezzare nei teatri, grazie al suo fisico asciutto e atletico, alla sua bellezza, alle capacità acrobatiche e alle doti di spadaccino.

John Wilkes Booth

All’epoca, gli Stati Uniti sono divisi in due parti ben distinte: il Nord, che si sta industrializzando velocemente, e il Sud, caratterizzato dalle grandi tenute agricole dove lavorano gli schiavi di origine africana.
Il moderno Nord, con le nuove fabbriche piene di operai stipendiati, guarda con disprezzo alle piantagioni di cotone del Sud, coltivate dagli schiavi.

Da parte loro, i bianchi del Sud hanno orrore della vita frenetica che si svolge nelle grandi città settentrionali: si considerano dei romantici gentiluomini di campagna che vivono in un mondo non ancora disumanizzato dalla meccanizzazione.
Quanto alla schiavitù, dicono, non è detto che esisterà per sempre, in ogni caso spetta solo a loro decidere se e quando abolirla. E poi negano che gli schiavi se la passino male, anzi, stanno meglio dei contadini d’Europa.

John Brown, un bianco abolizionista, cerca di cambiare la situazione con la forza: nel 1859 svaligia un’armeria per dare inizio all’insurrezione degli schiavi. Ma gli va male, viene catturato e condannato a morte.
Tra i volontari a guardia del patibolo di John Brown c’è anche il famoso attore John Wilkes Booth. Lui crede nei valori del Sud e li sostiene apertamente.

La Guerra di secessione

Per i sudisti, che appoggiano il Partito democratico, il disastro arriva nel novembre del 1860, quando, per la prima volta, viene eletto un presidente del Partito repubblicano.
Un partito nordista che vuole rafforzare i poteri del governo centrale in una nazione che, almeno fino a quel momento, è stata un insieme di stati quasi sovrani.

Il presidente eletto si chiama Abraham Lincoln, un avvocato famoso per la sua oratoria trascinante. I sudisti lo considerano però un tiranno che vuole togliere loro la libertà e stravolgere le loro usanze. Senza contare il fatto che, se davvero libererà gli schiavi come è scritto nel programma dei repubblicani, i sudisti alle elezioni locali correranno il rischio, in alcune zone, di essere messi in minoranza dai neri.

Lincoln
Abraham Lincoln

A questo punto la secessione è considerata inevitabile: gli Stati meridionali si staccano dagli Stati Uniti d’America, formando nel 1861 gli Stati Confederati d’America.
Scoppia così la guerra civile tra unionisti e confederati.

Nella prima fase prevalgono i confederati, perché praticamente tutti gli ufficiali del vecchio esercito americano erano uomini del Sud, ma in seguito sono gli unionisti ad avanzare, grazie alla potenza industriale del Nord che sforna armi sempre più potenti (compresi i primi sommergibili della storia).

John Wilkes, essendo l’unico confederato della famiglia Booth, è costretto a promettere solennemente a mamma Mary Ann di non arruolarsi. La madre, per Wilkes, è l’unica cosa più importante della politica, e la terrà sempre nel cuore.
Così, mentre le battaglie divampano, John Wilkes continua a fare l’attore nel Nord come nel Sud.

Ironia della sorte, uno dei suoi ammiratori più convinti è proprio il presidente Lincoln, che non si perde mai le sue rappresentazioni quando recita al Teatro Ford di Washington.
Alla fine di uno spettacolo, Lincoln gli fa sapere che lo verrebbe vedere per congratularsi, ma l’attore rifiuta sdegnato di incontrarlo.

Sempre in quegli anni, John Wilkes si fidanza segretamente con la bella Lucy Halle, figlia di un senatore abolizionista che certo non apprezzerebbe la sua relazione con un attore, per di più simpatizzante dei confederati.

Nel 1864, quando è ormai certo che vincerà l’Unione, Booth decide di elaborare un piano per rapire Lincoln. Il suo scopo è quello di chiedere, come riscatto, la liberazione di diecimila prigionieri confederati.
Insieme a un pugno di amici che la pensano come lui, Booth cerca di sequestrare Lincoln durante uno dei suoi spostamenti, ma la carrozza presidenziale cambia il percorso prefissato mandando tutto all’aria.

Lincoln deve morire per fare piombare gli Stati Uniti nel caos

Il 10 aprile 1865, Robert Lee, il comandante delle truppe confederate, si arrende agli unionisti.
Nel discorso in cui dichiara la fine della guerra. Lincoln esprime la sua intenzione di concedere il diritto di voto agli ormai ex schiavi. Booth, che lo ascolta in mezzo al pubblico, decide che deve agire subito e in maniera radicale: il 14 aprile, venerdì santo, ucciderà il presidente.

Sa che Lincoln andrà ad assistere a una commedia al Teatro Ford, un edificio che lui conosce bene avendoci lavorato spesso. Si mette d’accordo con gli amici che lo seguono sin da quando progettava il rapimento: George Atzerodt dovrà uccidere il vicepresidente Johnson, mentre Lewis Powell e David Harold faranno fuori il segretario di stato Seward.
Altri congiurati, come la signora Mary Surrat e il figlio John, si occuperanno dell’organizzazione generale.

Secondo i piani, le ultime due vittime designate saranno uccise nei loro alberghi alle 22, in contemporanea con il presidente Lincoln. L’obiettivo degli attentatori è quello di gettare gli Stati Uniti nel caos lasciandoli senza una guida, in modo che i confederati possano riorganizzarsi e riprendere la guerra.

Dopo avere sparato al presidente e gridato la frase ad effetto, John Wilke Booth esce di corsa dal teatro, monta sul cavallo che aveva lasciato all’ingresso e galoppa verso il natio Maryland, dove potrà contare sui suoi vecchi amici. Ma a metà strada il cavallo cade a terra e lui si rompe una gamba.
Anche i suoi complici sono in fuga, ma senza essere riusciti a uccidere il vicepresidente e il segretario di stato.

Dopo essersi fatto steccare la gamba rotta da un medico amico, Booth rimane a rimuginare in un nascondiglio. È stupito del fatto che in teatro nessuno lo abbia applaudito. Anzi, tutti sembravano furiosi con lui.

Per catturare l’assassino del presidente Lincoln si muove l’intero esercito, che perquisisce a tappeto le fattorie dei conoscenti di Booth.
Il mattino del 26 aprile 1865, l’attore viene circondato nel fienile dei Garrett, una famiglia amica. I militari gli gridano di arrendersi, al suo rifiuto il fienile viene incendiato.

Un soldato di nome Boston Corbett lo intravede tra le spirali di fumo e gli spara. Caduto a terra, John Wilkes Booth pronuncia le sue ultime parole: “Dite a mia madre che sono morto per la mia patria”.
In una tasca viene trovata la foto di Lucy Hale, la fidanzata segreta rimasta sempre all’oscuro dei suoi progetti.

I complici dell’attentatore vengono arrestati e condannati, tre all’ergastolo e quattro all’impiccagione, compresa la signora Mary Surratt. Invece il figlio John riesce a fuggire all’estero e a entrare nel corpo degli zuavi pontifici, l’esercito del papa che ancora per qualche anno governerà il Lazio.
Identificato ed estradato in America, John Surratt non verrà condannato a causa del disaccordo tra i giurati sul suo ruolo nel delitto.

Il Teatro Ford fallisce subito, perché il pubblico si rifiuta di assistere ad altri spettacoli in quel luogo tragico. Trasformato in palazzo per uffici, verrà ristrutturato e riaperto come teatro solo nel 1968.
Samuel Seymour, il bambino di cinque anni presente all’attentato, nel 1956 racconterà la propria esperienza alla televisione, due mesi prima di morire a 96 anni.

I parenti di Booth hanno continuato a calcare le scene con successo, così come i loro discendenti, fino all’attore britannico Tony Booth. Sua figlia Cherie, dopo un ruolo in “La ragazza con la pistola”, un film del 1968 con Monica Vitti, ha invece deciso di diventare avvocato.
Nel 1980, Cherie Boot sposerà Tony Blair, che sarà primo ministro inglese dal al 1997 al 2007.

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Di Sauro Pennacchioli

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