L’ultimo lavoro di Nanni Moretti, Il sol dell’avvenire, è interessante soprattutto quando racconta le vicissitudini del protagonista, il regista Giovanni (interpretato dallo stesso Moretti). Giovanni sta girando un film ambientato a Roma nel 1956.

Tra i produttori ci sono la moglie Paola (Margherita Buy) e il francese Pierre (Mathieu Amalric). Paola è in cura da uno psicanalista, medita di lasciare il marito e, nello stesso tempo, sta producendo il film di un altro regista. Mentre Pierre, per via dei debiti accumulati dalla sua casa di produzione, viene arrestato dalla Guardia di Finanza, costringendo Giovanni e Paola a trovare un altro finanziatore.

Meno riusciti sono i vari momenti riguardanti il film che si sta girando. Nel quale viene raccontata la storia di una coppia di coniugi, Ennio (Silvio Orlando) e Vera (Borbora Bobulova), membri di un circolo del Partito comunista italiano, che hanno reazioni diverse dinanzi allo sconvolgimento politico provocato dall’invasione sovietica dell’Ungheria.

Come scritto sopra, la parte che segue Giovanni tra set e vita privata è la migliore (anche dal punto di vista realizzativo) e ci sono almeno due sequenze alquanto significative e di notevole efficacia.
Dopo circa un’ora Giovanni e Paola trovano Pierre che dorme sul set del film. Pierre dice a Giovanni che è confermato l’appuntamento con Netflix, che Neflix è interessata a produrre il film e che con Netflix potrà avere tutto ciò che vuole. Giovanni però è tutt’altro che entusiasta e risponde che non c’è bisogno di Netflix.

Tuttavia al minuto 1:03:30 Pierre viene arrestato dalla Guardia di Finanza, e ripete a Giovanni che deve andare da Netflix, perché è l’unico modo per salvare il film.

L’incontro con gli executive di Netflix si risolve ovviamente in un nulla di fatto. I responsabili dicono che la sceneggiatura di Giovanni ha uno slow-burner che non esplode, che il turning-point arriva troppo tardi e che nel film manca un momento “what-a-fuck”. Ripetendo più volte che i loro prodotti sono visti in 190 paesi.

La scena ha però un sottotesto ambiguo. Infatti, quando a Giovanni viene chiesto quale sia il percorso del protagonista, l’arco narrativo, come cambia, Giovanni risponde: “Nella vita nessuno cambia mai veramente, è una cosa che si vede solo nei film”.
In realtà poi il suo personaggio cambia, e cambia il finale del film che sta girando. Dando in un certo senso ragione all’executive di Netflix (del resto, non è stata certo Netflix ha inventare l’importanza dell’arco narrativo in una sceneggiatura).

LA VIOLENZA SECONDO NANNI MORETTI

LA VIOLENZA SECONDO NANNI MORETTI



Ancora più significativa è la lunga scena che comincia al minuto 00:37:47. Giovanni va sul set dell’altro film che sta producendo Paola, per l’ultimo giorno di riprese.
Nanni Moretti in questa come nella scena precedente prende di mira un certo linguaggio audiovisivo contemporaneo, appiattito su modelli deteriori.

La scena comincia con il giovane regista del film che sta controllando il trucco di uno dei personaggi presenti nell’inquadratura, nella quale un uomo in piedi punta la pistola contro un uomo inginocchiato.
“Mi raccomando il sangue”, dice. “Questa è una cosa molto importante. Bello vivo”.
Quando il regista dice “Azione!”, l’uomo con la pistola grida “Muori, infame!”.

A questo punto Giovanni interviene interrompendo la ripresa.
“Questa scena così com’è non si può assolutamente girare. Anzi, non si deve girare”.
Rivolgendosi al regista. “Il problema che ci dobbiamo porre è sì estetico, ma soprattutto etico. La scena che stai girando fa male al cinema. Lo capisci. Fa male alle persone, allo spirito, fa male a te che la giri e a noi che la guardiamo”.

Paola cerca di far capire a Giovanni che devono concludere il film, ma Giovanni vuole approfondire il problema.
“Dobbiamo parlare proprio di questa inquadratura, di questa immagine. Così piatta e consumata”.
Il giovane regista ribatte che l’inquadratura è una metafora del mondo e che con il suo film chiude definitivamente con il neorealismo. Si difende dall’accusa di Giovanni (“Tu ami la violenza, ne sei affascinato”) sostenendo che la violenza è presente anche nella tragedia, in Dostoevskij e in Shakespeare.

Giovanni porta poi come esempio una scena del film di Kieslowski Breve film sull’uccidere, nella quale assistiamo all’omicidio di un taxista. La scena dura più di sette minuti, è insostenibile e come dice Giovanni “ti allontana dalla violenza”.
Mentre la violenza del film che si sta girando è “intrattenimento”.

La critica di Nanni Moretti è rivolta quindi all’uso di una violenza esibita con un linguaggio abusato e utilizzato in maniera irriflessiva, senza vera ispirazione.
Alla fine comunque l’inquadratura viene girata. La troupe festeggia la conclusione delle riprese mentre Giovanni si allontana malinconicamente dal set.

LA VIOLENZA SECONDO NANNI MORETTI

LA VIOLENZA SECONDO NANNI MORETTI



A un certo punto della scena Giovanni decide di telefonare a Martin Scorsese per farsi spiegare come è cambiato l’uso della violenza nel suo cinema da Taxi Driver a oggi.

Nei film di Scorsese in effetti la violenza è spesso presente. L’autore di Killers of the Flowers Moon (nelle sale italiane in questi giorni) in passato è stato anche produttore di alcune pellicole, tra cui Lo sbirro, il boss e la bionda, diretto nel 1993 dal regista americano John McNaughton.

Citiamo McNaughton perchè il lungometraggio che lo ha rivelato è il controverso horror Henry – Pioggia di sangue (del 1986, ma distribuito in Italia soltanto nel 1992). Questo film (e la critica che lo ha esaltato) è protagonista di una celebre sequenza di Caro diario, realizzato da Nanni Moretti nel 1993.

Al minuto 00:19:24 Moretti entra nello storico cinema Fiamma di Roma per vedere Henry – Pioggia di sangue. Il film di McNaughton è distribuito in Italia dalla Penta Film, una società di produzione e distribuzione fondata da Mario e Vittorio Cecchi Gori e Silvio Berlusconi. La frase di lancio è: “Non c’è limite alla crudeltà sanguinaria di Henry”.

Le prime immagini di Henry – Pioggia di sangue che ci mostra Nanni Moretti riguardano la scena che inizia al minuto 00:39:01. Henry e il suo amico Otis vanno da un ricettatore a comprare un televisore. L’uomo li tratta male e i due lo uccidono brutalmente.

Dopodiché Moretti mostra alcune inquadrature della scena che inizia al minuto 00:49:02. Henry e Otis, girovagando di notte in automobile, si fermano fingendo che l’auto abbia un guasto. Un uomo accosta per prestare soccorso e Otis gli spara sghignazzando.



Vediamo poi Moretti uscire dal cinema, cercando di ricordare chi ha parlato bene del film, chi ha scritto la recensione in cui ha letto qualcosa di positivo su Henry – Pioggia di sangue. Chiedendosi se chi scrive certe cose la sera prima di addormentarsi ha un momento di rimorso.

Nella scena successiva Moretti legge al critico in questione, piangente nel suo letto (è interpretato dal regista Carlo Mazzacurati), alcuni brani dei suoi articoli. Nel dialogo vi sono riferimenti a film come Il pasto nudo di Cronenberg, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, Cuore selvaggio di David Lynch.

A margine va detto che sia queste che Henry – Pioggia di sangue sono pellicole violente ma di qualità, come anche quelli citati nel successivo film di Moretti, Aprile (1998): per esempio Heat – La sfida, di Michael Mann. Qualità che, tra le righe, Moretti sembra considerare come un’aggravante.

In ogni caso, l’esibizione spettacolare della violenza nei film (e nelle serie televisive) è una questione che a Moretti dunque interessa da tempo. E si ricollega a un discorso etico, riguardante il linguaggio e la narrazione, che ai nostri giorni sembra ormai ignorato (anche a livello di critica).

Una visione etica delle varie forme audiovisive in certi casi viene male interpretata e accusata di moralismo, o al più sostituita dal politicamente corretto. Che in realtà è solo un paravento superficiale, dietro cui vengono operati obbrobri espressivi (comprendenti alcune “regole” citate nella scena dell’incontro con Netflix), a cui si riferisce Moretti nel suo ultimo film.



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