Il franchise di Highlander andrebbe studiato nelle scuole di cinema. Se i due sequel sono l’esempio di come non andrebbe fatto un seguito, la serie tv è invece un modello di continuazione perfetta.

Infatti, se Highlander 2 falliva perché stravolgeva le premesse del capostipite e (all’estremo opposto) Highlander 3 le riproponeva stancamente, la serie televisiva le riprende e le sviluppa, portando avanti il discorso.

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Facciamo prima un passo indietro.
Il primo Highlander andò bene in Europa, ma fu un flop al botteghino Usa. Motivo per cui nessun network a stelle e strisce volle saperne di trarne un telefilm, ma i testardi produttori Peter Davis e William Panzer, associatisi con i colleghi televisivi Gary Goodman e Barry Rosen (quelli della serie tv di Zorro degli anni novanta), riuscirono comunque a finanziarlo con fondi franco-canadesi, tanto più che il telefilm è girato principalmente tra Vancouver e Parigi.

Davis e Panzer erano pronti a scommettere sull’esistenza di una vasta fascia di pubblico disposto ad appassionarsi a un prodotto sì fantastico, ma che usasse lo spunto immaginario per parlare di argomenti universali come la vita, la morte, il destino, la giustizia, l’amore, la lealtà, il tradimento, il perdono, la redenzione eccetera. Spesso avendo il coraggio di scegliere le soluzioni più pessimiste e meno rincuoranti.

È questo che intendevo con “portare avanti il discorso”: se il film presentava gli immortali e spiegava lo scopo della loro esistenza (lottare affinché l’ultimo rimasto consegua una conoscenza suprema con cui influenzare il destino dell’umanità), la serie narra come ciascun immortale fa i conti con la propria condizione.

LA SERIE TV PERFETTA DI HIGHLANDER

C’è chi se ne frega delle leggi dei mortali e vive solo per il potere. L’eremita che si isola dalla civiltà. L’uomo di legge che, constatata la relatività della morale, vive solo per far rispettare le regole dimenticando la compassione. Chi ha l’unico scopo di far sopravvivere le tradizioni del passato. L’artista devastato dal fatto che gente più talentuosa di lui sia morta troppo giovane…
E i conflitti tra gli immortali nascono più dallo scontro tra queste diverse filosofie che dalla semplice lotta per la reminiscenza.

È questo che ha conquistato i fan: in fondo, è una grande metafora della vita.
Non serve essere immortale, basta crescere, divenire adulti e invecchiare per rendersi conto che l’esistenza è un continuo susseguirsi di incontri e addii, di amicizie e battaglie, divertimenti e rimorsi. Ognuno di noi, con il proprio bagaglio di esperienze e insegnamenti, è l’unico punto fermo che può dare un significato a questo continuo mutamento di persone, luoghi e oggetti che chiamiamo vita.

Sta di fatto che la scommessa di Davis e Panzer fu vinta: Highlander non è stato solamente la miglior serie tv tratta da un film, ma anche uno dei telefilm più lunghi e avvincenti del suo tempo, con 119 episodi prodotti dal 1992 al 1998.

Il telefilm racconta la vita e le avventure di Duncan McLeod (l’anglo-toscano Adrian Paul), lontano cugino e allievo di Connor (l’eroe interpretato al cinema da Christopher Lambert), come lui nato nel Cinquecento tra i verdi altipiani scozzesi.

Il telefilm si apre con Duncan e la sua fidanzata, l’antiquaria Tessa Noel (l’attrice belga Alexandara Vandernoot), che decidono di prendersi cura del ladruncolo dal cuore tenero Richie Ryan (Stan Kirsch).

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La convivenza funziona, i tre diventano come una vera famiglia. Ma in uno dei primi episodi della seconda stagione, la donna e il ragazzo vengono feriti da un balordo drogato armato di pistola. Tessa muore, Richie si risveglia scoprendosi immortale. Da allora inizia la sua strada, tornando spesso a far visita al suo amico e mentore.

Da questo momento il cast subisce numerosi cambiamenti, con l’entrata in scena di nuovi personaggi e l’uscita (a volte la morte) di altri.
Amanda Darieux è una ladra immortale bella, simpatica e molto furba innamorata da secoli di Duncan (lui la chiama “la mia cattiva abitudine”).

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La interpreta Elizabeth Gracen, Miss America ’82 e (a quanto si è vociferato) uno dei tanti flirt di Bill Clinton.
Joe Dawson (Jim Byrnes, attore invalido come il suo personaggio) è un veterano del Vietnam, dove ha perso le gambe, un chitarrista blues, ma soprattutto un membro degli Osservatori, una società segreta che spia e registra le imprese degli immortali a loro stessa insaputa. Malgrado la diffidenza iniziale, lui e MacLeod diverranno buoni amici.

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Darius (Verner Stoker) è un monaco amico e guida di Duncan fin dai tempi di Napoleone. Purtroppo verrà ucciso da Horton (Peter Hudson), genero di Joe e capo di una frangia di Osservatori rinnegati decisi a distruggere gli immortali. Il personaggio uscì bruscamente di scena a causa dell’improvvisa scomparsa di Stoker, stroncato da un tumore al cervello.

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Charlie DeSalvo (Philip Akin) è un maestro di arti marziali di colore, ma per metà italiano. Duncan diventerà comproprietario della sua palestra finché Charlie non si arruolerà per combattere nei Balcani.

Ann Lindsay (Lisa Howard) è una dottoressa con cui McLeod avrà una breve ma intensa storia d’amore.

L’ultimo acquisto importante del cast è arrivato alla fine della terza stagione. Enigmatico, ironico e disincantato, dall’alto dei suoi cinquemila anni, Methos è il più anziano immortale vivente. Scende spesso a compromessi per evitare lo scontro, e questo irrita il più cavalleresco MacLeod.

Tuttavia Methos non è affatto privo di morale e sentimenti come potrebbe sembrare (tanto che s’innamorerà di una cameriera affetta da un male incurabile) e al momento giusto saprà dimostrarsi un valido amico per Duncan, Richie e Joe.
A dargli il volto è Peter Wingfield, attore che avrà un ruolo da protagonista anche in un successivo telefilm della Davis/Panzer, il sottovalutato La Regina di Spade.

Anche alcune star della musica hanno vestito i panni degli immortali: Roger Daltrey degli Who è il simpatico donnaiolo Hugh Fitzcairn, mentre Roland Gift dei Fine Young Cannibals è il perfido avvelenatore Xavier St.Cloud.

Sono apparsi di sfuggita anche Joan Jett e Martin Kemp, degli Spandau Ballett.

Sempre in tema di musica, oltre a Princes of the Universe dei Queen come sigla, nella soundtrack sono state utilizzate altre due hit: Bonny Portmore di Loreena McKennitt (già collaudata in Highlander 3), per accompagnare i flashback di Duncan sulla sua giovinezza in Scozia, e Dust in the Wind dei Kansas per sottolineare quelli legati a Tessa.

 

I motivi che hanno potato un serial originale e ricco di spunti interessanti come Highlander a un progressivo calo d’ascolti sono stati principalmente tre.
Primo: una cattiva collocazione in palinsesto, in patria come in Italia. Da quando Rete Italia smise di co-produrlo, l’interesse di Mediaset per il telefilm andò scemando, e gli ultimi episodi sono stati trasmessi a orari impossibili, come le tre o le quattro del mattino.
Secondo: puntate troppo diseguali tra loro. A episodi decisamente cupi e drammatici se ne sono alternati altri decisamente ironici e altri più convenzionali. Questo ha intrigato molti fan, che hanno trovato lo show imprevedibile, ma ha indispettito molti altri, abituati a telefilm dalla continuity serrata e dal tono ben impostato.
Terzo: personaggi simpatici e ben costruiti come Amanda, Richie, Joe e Methos bastano da soli a reggere lo show e spesso rubano la scena a Duncan, eroe più classico e convenzionale.
Per incrementare l’audience, alla fine della quinta stagione fu introdotta la figura di Ahriman, demone mesopotamico che allo scadere d’ogni millennio tenta d’invadere il nostro mondo e deve essere fermato da un campione immortale prescelto dal fato.

Questo sottofondo horror-demoniaco tra L’Esorcista e Il Presagio non solo non attirò nuovi fan, ma allontanò parte dei vecchi aficionados. La questione di Ahriman fu così liquidata nei primi episodi della sesta stagione, che si attestò poi sugli standard di sempre, per concludersi in un doppio episodio (“Essere” e “Non Essere“) che riprende il classico canovaccio del film La Vita è Meravigliosa (al protagonista, triste e demotivato, viene mostrata come sarebbe stata grama la vita dei suoi cari se lui non fosse esistito).

Un finale che, pur tirando le fila della saga, non si è concluso con particolari colpi di scena, lasciando l’amaro in bocca a molti. Questo però non ha affatto sminuito l’affetto e il valore che i fan riconoscono al telefilm. Anzi, continua ad alimentare la voglia di veder proseguire la saga di Highlander al cinema o in tv.

 

 

(Immagini trovate su internet © degli aventi diritto).

 

 

Un pensiero su “LA SERIE TV PERFETTA DI HIGHLANDER”
  1. A parer mio è una serie “quasi perfetta”, ha toccato qualche limite con l’introduzione degli osservatori, una struttura troppo grande e ‘forzata’ per come viene rappresentata.
    Sarebbe stato forse meglio che Joe trovasse un qualche manoscritto, si appassionasse al tema e si mettesse a seguire il solo Duncan, oppure che esistesse un gruppo davvero ristretto, elitario, ma povero di mezzi (10-15 persone al massimo).
    Gli osservatori, che per millenni non sarebbero mai intervenuti, ora sono una grande realtà, strutturata, piena di risorse, ed in fondo, come è logico, malata?
    Non è molto credibile.
    Il secondo limite sono forse stati i troppi momenti tristi, perdere Tessa ha prodotto una svolta nella storia, ma la scomparsa di Richie, Charly, forse è stato un po’ troppo.
    Per il resto è stata una serie eccezionale, ha centrato un aspetto delle ricostruzioni storiche che difficilmente viene affrontato nel cinema o nella televisione: i personaggi ragionano con una mentalità conforme ai loro tempi, pensano come patrioti del 1600 o come soldati del 1700 o schiavi del 1800 e così via.
    Gli immortali si portano dietro il timbro mentale del periodo in cui sono nati, ma evolvono, ed in questo senso Duncan, Methos (Gilgamesh?) e Darius sono un esempio.

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