Interpretare la scheda professionale di un libraio antiquario assomiglia un po’ al tentativo di leggere un rompicapo. Il linguaggio è costellato da parole inusuali o simbolizzate con la lettera iniziale seguita da un punto, così che il profano si trova di fronte a un testo sintetico di cui al massimo comprende l’autore, il titolo e l’anno di edizione.

In realtà, da una scheda bibliografica eseguita secondo i dovuti crismi, il libraio antiquario o il bibliofilo riconoscono come prima cosa la serietà e la competenza di chi l’ha eseguita, come seconda sono in grado di conoscere in ogni aspetto e in modo approfondito l’opera descritta, non solo dal punto di vista del contenuto ma anche di quello fisico, più che se vedessero l’immagine in una fotografia.

Anzi, nessun bibliofilo accetterebbe di acquistare un libro sulla base di un’immagine, perché solo da una scheda bibliografica è possibile conoscerne gli eventuali difetti o i pregi, le particolarità, la rarità. L’eventuale foto diventa un corollario non necessario.

Esempio di scheda bibliografica.

 

In questa sede ci interessa parlare dell’aspetto fisico di un libro, cioè della legatura che, nel corso del tempo, ha avuto esiti di alto artigianato quando non addirittura di livello artistico.
Ma per poterne parlare occorre almeno conoscere le parti più importanti di cui è composto un libro e il nome con cui le si chiama, cioè la sua nomenclatura.

Nell’immagine sotto sono indicate le parti principali di un libro per come si presenta esteriormente, e come vengono chiamate.
A volte si possono leggere alcuni termini in modo leggermente diverso: per esempio, l’unghia può anche essere chiamata unghiatura, oppure i nervi nervature. A volte i piatti sono chiamati coperte.

 

L’arte della legatura è una tecnica che nasce molto prima dell’invenzione della stampa.

Si erano cominciate a utilizzare forme rudimentali di legatura fin da quando i libri iniziarono a perdere la forma di volumen, o rotolo (fino al IV-V secolo d.C.) per assumere quell’aspetto che ancora oggi conserva. Ma il passaggio fu lento e i diversi sistemi di supporto per la scrittura si sovrapposero.

Esempio di volumen.
Manoscritti del Mar Morto, il Rotolo dei Salmi.

 

Quest’ultima innovativa forma del libro che ancora oggi conosciamo discende da quella che avevano i dittici greci e romani, cioè oggetti utilizzati per la scrittura costituiti da due tavolette principalmente di legno, metallo, avorio o bronzo, legate assieme a mo’ di copertina, mediante cordoni che passavano entro piccoli buchi. All’interno le tavolette, rivestite di uno strato di cera, recavano lo spazio per la scrittura, eseguita con lo stilo di metallo.

I primi dittici compaiono già nel VI secolo avanti Cristo e hanno un fine per lo più pratico: esercizi scolastici, note personali, impegni di carattere monetario e ricevute, corrispondenza, protocolli e documenti di vario genere. Nel tempo si impreziosirono sempre più fino a diventare, in certi casi, oggetto esclusivo di omaggio pubblico.
La loro importanza calò e si smise di fabbricarne intorno al VII secolo, vuoi per le mutate condizioni politico-sociali vuoi per esigenze differenti di registrazione, ma nel Medioevo spesso si applicarono valve di dittici tardo-antichi sulle legature di codici oppure imitazioni incise su avorio, riservando al dittico un ruolo ornamentale e non più legato alla scrittura.

Dittico di Stilicone.
Dittico consolare, circa 400 d.C., in avorio lavorato, forse di scuola milanese. Fu donato al magister militum Stilicone, in occasione dell’insediamento al suo primo consolato.

 

Nel Medioevo il rivestimento utilizzato per ornare il libro fu di diverso tipo: si utilizzavano legno, pergamena, cuoio, stoffa e materiali preziosi come argento, smalti, avorio, perle e pietre; arrivando a trasformare la coperta in una specie di prezioso scrigno, come si può ammirare in certe meravigliose legature dal secolo VII al XIII, e che ricoprono, per lo più, evangelari o libri di preghiere.

Per tutto questo periodo, l’arte della legatura fu esclusiva di monaci specializzati.

Legatura con placca raffigurante la “Visitazione” (fine XI-inizio XII secolo). Collezione conte Alexandre Petrovič Basilewsky, poi acquistata dallo zar Alessandro III. Oggi è conservata nel Museo Ermitage di San Pietroburgo.
Legatura monastica del XV secolo di tipo “catenato” eseguita a Bergamo. Conservata nella Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo.
Tre capolavori rinascimentali fatti realizzare alla fine del Quattrocento da Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico. Sono codici miniati offerti come dono nuziale alle figlie Lucrezia, Luisa e Maddalena.
Esposti per la prima volta, dopo secoli, alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze nel 2012, presentano una lavorazione fatta con pietre dure, smalti policromi e oro.

 

Fin dall’VIII secolo si era inoltre diffusa una particolare forma di legatura, i cui piatti in legno del libro venivano rivestiti di cuoio intagliato, cioè scolpito con ferri taglienti in modo da creare figure e ornamenti in rilievo, a volte combinando anche l’uso di punzoni premuti sul cuoio fino a lasciare il loro stampo, come un timbro o una marchiatura. Questi ferri sono elementi essenziali della legatura caratteristica dell’ultimo Medioevo, detta monastica.
Le decorazioni, fatte senza uso di oro, sono dette a secco; fu soltanto più tardi che le decorazioni in oro si diffusero, a partire da Napoli e Venezia, dove si produssero dal Quattrocento legature il cui gusto rinascimentale si fondeva con quello orientale.

Il passaggio dai piatti di legno a quelli di cartone fu un’invenzione degli artigiani veneziani, pionieri nel settore fin dal primo Cinquecento, che cominciarono a rilegare in pergamena, solitamente con fattura semplice e priva di decorazioni (esistono, però, piccole legature cinquecentesche centroeuropee, di sapore goticheggiante, in pergamena di porco lavorata con i ferri caldi, su piatti di legno e chiuse con fermagli); o sulla pelle dove, invece, si esercitò maggiormente l’abilità degli artigiani, il cui manufatto risulta però estremamente raro in quanto per la maggior parte perduto.

Esempi di legature rinascimentali.

Legatura aldina.
Marco Tullio Cicerone: De philosophia, secondo volumine. Venezia, Tip. Aldina; Andrea Torresani e Figli, 1523.
Legatura primo quarto XVI secolo, eseguita a Bergamo, del tipo “a placchetta” e a losanga-rettangolo.
Legatura a placca, bolognese, secondo quarto del Cinquecento: Serafino Aquilano, Opere, Vinegia, Francesco di Alessandro & Mapheo Pasini compagni, 1534.

 

La decorazione rinascimentale, nata nella seconda metà del Quattrocento, fu caratterizzata dalla rivoluzionaria tecnica della doratura dei fregi, all’inizio sviluppata dai veneziani che si ispirarono alle decorazioni dell’Oriente persiano e islamico, e che rimasero il centro di irraggiamento in materia.

L’altro centro italiano in cui si sviluppò la doratura fu la Napoli aragonese dove, probabilmente, si erano stabiliti contatti con artigiani di Cordova. Veniva eseguita utilizzando foglie d’oro zecchino battute a mano, rese così sottili che bastava un colpo di tosse o un lieve soffio d’aria per farle volare via o accartocciarle irreparabilmente.

Da lì, la legatura rinascimentale andò diffondendosi nei centri della cultura umanistica e raggiunse livelli d’arte difficilmente uguagliabili per stile ed eleganza, specialmente se messa a confronto con quella dei due secoli seguenti. Caratteristica di altissima qualità che ebbe anche nei modelli più semplici, come alcune legature aldine veneziane del primo Cinquecento, ornate di semplicissimi fregi a filetto e foglia stilizzati agli angoli, che ne fanno splendidi esempi di semplicità lineare e che testimoniano l’entrata e la tenuta del nuovo gusto.
Basti dire che la lavorazione per la doratura a ferri caldi è rimasta identica fino al secolo scorso, quando subentrò l’uso di oro sintetico.

Ai committenti più facoltosi gli artigiani combinavano la decorazione in oro con giochi di intarsi in cuoi colorati, e spesso la decorazione non si limitava al dorso e ai piatti ma si estendeva ai tagli mediante semplice colorazione o, nelle sue forme più eleganti, a vere esecuzioni artistico-pittoriche quando non incisioni con punzoni e rotelle.

I famosi tagli decorati dal pittore Cesare Vecellio, fine Cinquecento.
Facevano parte della biblioteca della famiglia Piloni di Belluno, la cui storica collezione fu messa all’asta da Christie’s nel 2011.
Due tagli di genere comune, probabilmente ottocenteschi: il primo denominato “dorato”, il secondo “marmorizzato”.

 

I due grandi bibliofili committenti del Rinascimento, in Italia, sono Jean Grolier e Tommaso Maioli (che hanno dato il loro nome a due tipi di legature).
Grolier, amico di celebri letterati e dello stesso Aldo Pio Manuzio (il più famoso editore del Rinascimento e tra i maggiori di ogni tempo), fu colui che introdusse la legatura rinascimentale italiana in Francia.

Legatura Grolier (1543 – 1547 circa).
Legatura Veneziana del Grolieri (Aldina). Collezione V. De Toldo
Legatura Veneziana del Grolieri ad un “Vocabulario Thosco”. Collezione V. De Toldo

 

Maioli, l’altro grande bibliofilo e collezionista (forse segretario della regina Caterina de Medici alla corte di Francia), non si sa se milanese o veneziano, fece rilegare solo libri italiani e latini.

Ideò e commissionò le più splendide legature del secolo, portando la legatura italiana al suo apogeo.

Legatura veneziana del Maioli, 1545 – Riproduzione V. De Toldo

 

Un terzo bibliofilo italiano, non meno famoso dei primi due, fu Demetrio Canevari. Di origine genovese, fu medico alla corte di Urbano V.

Le sue legature sono meno fastose e, nella loro semplicità, rappresentano perfettamente l’espressione migliore dell’ultimo Rinascimento.

Legatura italiana di D. Canevari a un “Ovidius Methamorpho”; conservato nella Biblioteca Reale del Castello di Windsor.

 

Furono le legature di Grolier a introdurre la legatoria in territorio francese, che nei due secoli successivi prese il volo e superò la tradizione italiana dove le moderne tecniche di legatura avevano avuto origine.

In Germania, invece, la rilegatura rinascimentale approdò molto tardi, solo a partire dalla metà del Cinquecento. Fu infatti in Francia che iniziò a diffondersi, nella seconda metà del Cinquecento, la cosiddetta legatura à la fanfare, che avrebbe avuto un gran successo nel Seicento: una legatura caratterizzata da volute a tre filettature all’interno delle quali compaiono rami e fogliami, con uno spazio centrale sui piatti nel quale si collocava uno stemma o placche simboliche.

Legatura parigina à la fanfare, ultimo quarto del secolo XVI.

 

È evidente che la tendenza del Seicento, come per le altre arti, fu un incremento della complessità dell’ornato, e il modello francese prese a influenzare il gusto generale.
Di innovativo subentrò l’uso dei primi ferri pointillés, o a mille punti, attraverso il cui utilizzo (il disegno veniva costruito con una successione di punti) si perveniva a decorazioni simili a filigrane. Questa tipologia di legatura viene chiamata le Gascon, dal nome dell’artigiano che meglio seppe distinguersi.

Legatura a intarsi “à le Gascon”. 
Psalmi, Proverbia, Ecclesiastes, Canticum Canticorum, Sapientia, Ecclesiasticus, Romae, sumptibus Andreae Brugiotti, apud Aeredem Bartholomei Zanetti, 1624.

 

Altre tipologie di legatura di cui non si può non far menzione sono almeno un paio.

La legatura nello stile detto Du Seuil, dal nome di chi la inventò, caratterizzata da un ornato a merletto con decorazione à l’éventail, a ventaglio (con un piatto ricchissimo di decorazioni esterne e un intricato apparato di fregi minuscoli che vanno a formare al centro un rosone ripetuto in parte per quattro volte agli angoli, così da mostrare l’idea di ventagli).

E la legatura detta “giansenista”, di marocchino scuro con semplici filettature ai bordi del piatto, priva di decorazioni ai piatti e al dorso che, per contralto, richiamava al senso di austerità. Senso di austerità che, in un secondo momento, fu contraddetto perlomeno all’interno del libro, con l’adozione di guardie e risguardie in marocchino riccamente decorate.
La denominazione “giansenista”, posteriore e senza fondamento storico, fa riferimento ai riformatori francesi dell’Abbazia di Port Royal, nelle vicinanze di Parigi, seguaci del teologo olandese Giansenio che raccomandava l’assoluta semplicità di vita.

Legatura del genere “a ventaglio”, Italia, secolo XVII.
Legatura francese «giansenista», prima metà del secolo XVIII

 

Accanto a queste legature ricchissime e aristocratiche che raggiungevano un alto livello artistico, esistevano legature più modeste e comuni, il cui utilizzo trovò posto per molto tempo fino all’Ottocento, almeno per quanto riguarda alcune caratteristiche (seppure inserite con tecniche diverse): di aspetto serio e in pelle scura, presentavano una superficie macchiata o, meglio, marmorizzata, che aveva il duplice scopo di nascondere eventuali irregolarità del pellame, oltre a rendere non monotono l’aspetto estetico della legatura. I piatti erano muti e solo il dorso riportava decorazioni, con o senza titolo, situate tra le nervature in rilievo.

Esempio di legatura “povera” in pelle.
In questo caso, presenta filettature decorative marginali ai piatti.

 

Il Settecento vide legature di fattura molto raffinata, anche se non uscite da botteghe di maestri. Normalmente si presentavano in pelle di varie tonalità di marrone o rosso, maculata, con piatti muti e sempre i dorsi decorati con fregi che potevano essere stilizzati o floreali, a fogliame o con pigne, entro cui spesso erano inseriti anche i titoli, a volte con caratteri che appaiono male allineati, soprattutto nel primo Settecento. Questo perché poteva capitare che l’artigiano non disponesse di tutti i caratteri e fosse costretto a incidere lettera per lettera invece che l’intera parola.

D’altronde il pubblico cominciava ad appartenere anche al ceto medio e borghese e la domanda si era fatta più pressante, ma non tutti gli artigiani disponevano di un’attrezzatura ricca come quella degli artigiani che lavoravano per la classe aristocratica.
Quanto al taglio, era sempre colorato, spesso rosso e/o con l’aggiunta di spruzzatura puntinata.

In altri casi, i piatti contenevano una decorazione a cornice detta “a pizzo regolare”, oppure i piatti erano variamente decorati, spesso con le insegne del possessore, queste ultime dette “alle armi”.

Legatura lombarda «a pizzo regolare», fine Settecento.
Legatura lombarda, metà Settecento.
Legatura veneta «rococò», seconda metà del Settecento.
Legatura emiliana, ultimo quarto del Settecento.
Cuoio marmorizzato con decorazioni in oro.

 

Una decisa frattura del gusto corrente si ebbe durante il periodo napoleonico, quando sulla legatura Impero apparve un tipo di decorazione che si ispirava a motivi retour d’Egypte (era l’epoca dei viaggi in Oriente) con sfingi e palmizi, per altro caratteristica anche nei mobili del periodo.

L’Imperatore dei francesi non fu solo il committente di questa nuova moda (le legature più famose sono quelle da lui stesso commissionate, con la famosa N in evidenza), ma anche colui che impose le sue legature ad opere antiche (!).
Per esempio, quando requisì famosi codici in Italia, volle che fossero rivestiti con le sue legature: alcune delle opere d’arte a cui fece mettere mano sono i due Virgili, il laurenziano e l’ambrosiano del Petrarca.

Non fu comunque l’unico a distruggere patrimoni inestimabili: in precedenza, Francesco I di Francia fece sostituire con le sue insegne le legature della biblioteca viscontea-sforzesca e una parte di quella napoletana degli Aragonesi. Cosimo I di Firenze sostituì sistematicamente con sue legature quelle originali del periodo laurenziano-mediceo.
Sono solo alcuni dei casi più famosi che testimoniano una errata, o comunque invasiva, concezione della legatura quale sigillo e segno di potere.

Legatura italiana «alle armi» del cardinale Angelo Maria Durini, fine Settecento.

 

Nel frattempo, verso la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, cominciò ad affermarsi una novità fondamentale: il dorso staccato e piatto, privo di nervature, simile alla cosiddetta legatura greca (in realtà si riscontra un precedente antico nelle legature eseguite su manoscritti e incunabuli greci dalla fine del Medioevo quando, dopo la caduta di Costantinopoli, artigiani del luogo erano sbarcati in Italia: per qualche motivo, dunque, pur non essendo ignota e rara a vedersi, prese a diffondersi solo dopo la metà del Settecento). Novità che finì con lo soppiantare quasi del tutto la nervatura esterna, nei tempi che seguirono.

L’altra novità fondamentale che caratterizza l’Ottocento fu l’introduzione della mezza pelle (con angoli o senza) e i piatti rivestiti di carta colorata, decorata con tecniche di vario tipo, spruzzata, macchiata, spugnata, a volte con aggiunta di oro (prima di allora la carta colorata era utilizzata solo per formare le sguardie o per la fodera di libri non rilegati).

Esempio di legatura in mezza pelle con piatti marmorizzati.
Nel caso specifico si parla di mezza pelle con angoli.

 

Di apparenza molto buona e variegata, le legature di questo periodo sono naturalmente più scadenti, se non altro per la fragilità dei materiali, tenendo conto anche del fatto che la concia del pellame subisce un drastico ripiego verso una concia qualitativamente inferiore, e – non ultimo – c’è da considerare che la carta a mano fatta di stracci comincia a essere imitata industrialmente. Il libro, infatti, diventa sempre più un prodotto industriale.

Il gusto della decorazione si fa eclettico, con collegamenti al passato e recuperi che vanno a mescolarsi con contesti diversi.
Per fare un esempio, uno dei prodotti tipici di questo fenomeno è la legatura gotica, assimilabile al neogotico (o Gothic Revival), quando col Romanticismo si assistette a una rivalutazione del Medioevo.
In generale, comunque, non si lesinò a usare ogni tipo di decorazione conosciuta: mosaici, placche, fiori, rotelle, …

Legatura neogotica, “alla cattedrale”.

 

A cavallo del Novecento, l’avvento dell’Art Nouveau (nota in Italia come stile floreale o Liberty) diede l’impronta decisiva al gusto per una nuova legatura, caratterizzata da coperte interamente decorate a fogliame e piante: artisti inglesi del calibro di William Morris e Walter Crane le diedero un nuovo impulso influenzando anche tutto il primo Novecento.
In Francia, il maestro dello stile floreale fu Henri Marius-Michel.

Legatura di Henri Marius Michel.
Denis Diderot: Le neveu de Rameau (Parigi, Auguste Blaizot, 1924).
Legatura in stile floreale di Charles Meunier, circa 1900.

 

E infine l’ultima novità: la diffusione industriale, in cui fanno il loro ingresso la decorazione alla trancia, o le impressioni a colori stampate su cuoio o su tela, ma anche su carta e spesso in rilievografia.
Chi non ha visto qualche edizione originale di Verne o Salgari, o almeno una sua raffigurazione?

Legatura in tutta tela, con decorazione alla trancia. 
Jules Verne, From the Earth to the Moon, 1874.
Legatura in tutta tela con impressioni a colori. 
Ottone Penzig, Flora delle Alpi (Hoepli, 1902).
Legatura con piatti rigidi cartonati e decorazione in cromolitografia di Della Valle.
Emilio Salgari, Il figlio del corsaro rosso (Bemporad, 1908). Prima edizione.

 

Il Novecento fu dunque caratterizzato dallo sviluppo ulteriore della copertina industriale e della brossura decorata
In particolare, la brossura avrebbe avuto sempre più fortuna e un suo particolare pregio dovuti alla riproduzione di disegni e illustrazioni di artisti, o di particolari impostazioni grafiche editoriali.

Il legatore finì con il trovarsi diviso tra il committente di un gusto estremamente elegante e raffinato e un pubblico che vedeva nella rilegatura un semplice mezzo per la conservazione a un prezzo il più possibile economico (le prime pubblicazioni a fascicoli aiutarono).

In questa sede ci interessa il primo committente, per il quale il gusto si spostò verso le avanguardie, per esempio chiedendo e dedicando veri capolavori di legatura alla corrente futurista.

I maestri dell’arte legatoria del Novecento furono i Casciani e i Glinger di Roma. A Firenze erano le botteghe di Giannini, di Cecchi e di Tartagli. A Torino quelle di Pacchiotti, Patarchi e Vezzosi. A Milano di Binda, Torriani e Ghirlanda. A Modena la bottega di Gozzi. A Venezia quella di De Toldo e Norza.

Il famoso “libro imbullonato” futurista progettato da Fortunato Depero nel 1927, icona del movimento futurista.
234 pagine con copertina fustellata e chiusura realizzata con bulloni in alluminio.
Legatura di genere futurista ad opera di Pio Colombo (mi è stato possibile recuperare solo una fotocopia dell’immagine originale).
Legatura decò di Fauré-Frémiet.
Principessa di Bibesco (Marthe Lucie Lhovary): Le perroquet vert (Grasset, 1924).

 

Alcuni, tra questi legatori sopracitati, tramandarono tecniche e storia della legatura mediante pubblicazioni, come il Pacchiotti con la sua biografia, oppure con brevi saggi su riviste di settore.

Tra questi anche il già nominato Vittorio De Toldo, bibliofilo e legatore veneziano di cui si parlò recentemente nel 2010, in occasione della splendida mostra fotografica tenuta al Museo Civico Medievale di Bologna: Mémoires d’Égypte… da un Album fotografico del 1895 – Foto di Beato, Bonfils, Lekegian, Reiser, curata da Antonio Ferri.

Fu proprio in seguito al misterioso ritrovamento di un album rilegato dal legatore veneziano che Antonio Ferri, colui che lo recuperò da un antiquario modenese, poté mettere in mostra le bellissime fotografie ottocentesche che conserva.

Di Vittorio De Toldo sono le immagini, inedite in Rete, denominate V. De Toldo e inserite nel presente testo.
Provengono da un suo breve saggio sulla legatura italiana, pubblicato nella rivista Le Arti Decorative, N. 5, settembre 1923, a sua volta tratto dalla monografia che l’autore scrisse per gli editori Piantanida, L’arte italiana della legatura del libro (Milano, Piantanida Valcarenghi, 1923).

Il famoso libro “L’anguria lirica” del futurista ligure Tullio d’Albisola, 1933.
La copertina e i disegni a colori sono di Bruno Munari, oltre a un ritratto in nero di Nicolay Diulgheroff.
Questo libro d’artista, litografato da d’Albisola, si compone di 21 fogli in lamierino della misura di 15,5 x 19,5 centimetri.
“L’anguria lirica”.

 

Sulla scia delle avanguardie del Novecento, nasce il cosiddetto libro d’artista, dove il libro diventa un oggetto, con un’evoluzione particolare che meriterebbe una trattazione a sé.
Una fra le tante definizioni che il dibattito sul libro d’artista provocò, la diede Stephen Bury:
“I libri di artisti sono libri o oggetti a forma di libro sulla foggia, configurazione e aspetto finito dei quali l’artista ha avuto un’elevata capacità di controllo; dove il libro è considerato come opera d’arte in se stessa.”

Il successo del libro d’artista è comunque stato tale da dar luogo a un vasto proliferare che oggi talvolta sfocia in un artigianato di altissimo livello.

Diversamente, nella sua vecchia accezione, oggi l’arte della legatoria sopravvive tra una ristretta cerchia di persone, restauratori del libro o alcune particolari legatorie artistiche. Ma esistono anche scuole di legatoria per la produzione e il restauro del libro, dove è possibile apprendere l’arte della legatura secondo le antiche tecniche.
Un mercato di nicchia con interessanti risvolti, e che si sta rivalutando.

 

 

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3 pensiero su “L’ANTICA E NOBILE ARTE DELLA LEGATURA”

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