Nel cinema italiano degli anni trenta e quaranta incontriamo “storie” che fanno grande scalpore come quella tra Doris Duranti e il gerarca fascista Alessandro Pavolini. O quella degli attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti.

Doris Duranti nasce a Livorno nel 1917 in una famiglia benestante, composta da un padre anarchico e una madre che insiste per farla studiare dalle suore. Doris ha un fratello più grande di vent’anni, che alla morte del padre si occupa della sua educazione facendola iscrivere a Magistero.

Doris Duranti

 

È una bella ragazza bruna e sensuale, che ama il cinema e il teatro. Mentre odia il mondo borghese e le sue convenzioni.
Sogna una vita da modella e da attrice. Quando Josephine Baker si esibisce in teatro a Livorno, ruba i soldi alla madre per assistere al suo spettacolo. Esce da teatro convinta che quella del palcoscenico sarà la sua vita, benché il genere musicale della Baker non l’affascini.

Invia le proprie foto a Cinecittà e viene chiamata a Roma per un provino. Scappa di casa dopo aver rubato i soldi alla vecchia zia, aprendo un cassetto con un ferro da calza, dicendo alla madre di andare in chiesa a fare la comunione. Sale sul primo treno per Roma e va da un cugino che le dà una mano per trovare una sistemazione.

Il giorno dopo Doris Duranti si presenta a Cinecittà e comincia subito l’avventura di attrice. Si specializza in ruoli di donna fatale, come la Lola di Cavalleria rusticana di Palermi (1939), e raggiunge la notorietà con Sentinelle in bronzo di Marcellini (1937).

Doris, chiamata “l’Orchidea Nera”, guadagna due milioni di lire a film, una cifra assolutamente considerevole, ma spende molto perché fa una vita a contatto con il bel mondo di Roma.
Non ama il popolo e i borghesi, per lei l’apparenza è tutto ed è bene tenere le distanza con la servitù. “Meglio bere acqua in un bicchiere dorato che champagne in un boccale di stagno”, sostiene.

Non ha un’idea politica ben definita, accetta il fascismo come qualsiasi altro regime si fosse trovata. Il fascista Alessandro Pavolini è un intellettuale, un uomo che lei definisce “intelligente, dolce e disinteressato” .
Lo conosce a Livorno durante la lavorazione de Il re si diverte. In quel film gira la famosa scena della danza dei sette veli, che per i tempi è parecchio spinta.

I due cominciano a frequentare il salotto di Galeazzo Ciano, potente genero di Mussolini, che lei definisce “un uomo raffinato quando dimentica di essere stato un pescivendolo livornese”.
Poi rientrano a Roma dove consolidano il loro rapporto. Si incontrano tutte le sere a casa di Doris, sul Lungotevere Flaminio, per passare le notti insieme.

Benito Mussolini è preoccupato per questo amore irregolare del suo responsabile della cultura, per questo chiede a Pavolini di troncare la relazione. “Farei qualsiasi cosa per non rinunciare a lei”, risponde il gerarca. Il duce non insiste, anche perché lui stesso è affascinato dalla bellezza di Doris Duranti.

Questo amore tra Doris Duranti e Alessandro Pavolini se non altro aiuta a far passare in censura certi film un po’ spinti interpretati dalla bella attrice.
La relazione giunge a un bivio alla caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943. La sera stessa lui le telefona: “È tutto finito. Ti chiamerò quando posso. Addio”.
Pavolini è in fuga e la polizia perquisisce la casa romana della Duranti. Per giorni i due non si vedono, poi una signora telefona a Doris per chiederle il denaro necessario a far espatriare Pavolini in Germania.

L’attrice prende un suo braccialetto composto da trentadue sterline d’oro e lo fa consegnare a un incaricato all’Hotel Ambasciatori.
Pavolini torna dopo l’8 settembre, grazie ai tedeschi e, come nuovo segretario del partito fascista, riprende possesso di Roma a nome della Repubblica Sociale. Anche se è un possesso per così dire, dato che a comandare sono i tedeschi.

Pavolini diventa il simbolo del vecchio regime che non vuol cadere e che si appoggia sull’invasore tedesco. Il gerarca poi va al Nord, perché americani e inglesi stanno risalendo la Penisola dal Sud.
Per la Duranti questo anno e mezzo rappresenta un periodo di grandi problemi.

Il suo cognome è ebreo, anche se l’antenato di quella religione risale a molte generazioni prima. Le Ss l’arrestano e la chiudono in una cella a Santa Verdiana, insieme a un gruppo di ebrei, prima che Pavolini lo venga a sapere e la faccia liberare.

Successivamente Doris Duranti si trasferisce a Venezia, dove il governo fascista tenta di far rinascere il cinema, per interpretare una pellicola che non verrà mai finita. Doris si sposta quindi a Milano, che si trova sotto i bombardamenti.

Vuole essere al fianco di Pavolini durante la fuga verso la Valtellina, tra la Lombardia e la Svizzera, degli ultimi fascisti rimasti fedeli a Mussolini. Doris si ritrova così a Como con un fucile in braccio che non sa usare, accanto a lei ci sono Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, una coppia di attori legati alla Repubblica sociale.

A questo punto Doris Duranti prende contatto con un amico svizzero, che le organizza la fuga insieme allo zio per diecimila dollari.
Quattro giorni dopo Mussolini e Pavolini cadono nelle mani dei partigiani mentre tentano di fuggire insieme ai soldati tedeschi. Fucilati, vengono appesi per i piedi a piazzale Loreto di Milano insieme ad altri gerarchi e a Clara Petacci, l’amante del duce.

L’Orchidea Nera, intanto, viene ricoverata nella clinica svizzera di Moncucco come copertura, dove però un infermiere la riconosce come la famosa attrice italiana amante del gerarca. La polizia svizzera l’arresta e si prepara a farla espatriare. Disperata, lei si taglia le vene.

Ha la fortuna che il capitano della polizia svizzera, Luciano Pagani, si innamori di lei. Pochi giorni dopo l’attrice si unisce in matrimonio con il capitano, per diventare cittadina svizzera e non avere più fastidi dal governo italiano.
Doris non ama quel marito, che ovviamente ha sposato solo per convenienza, né quella terra ordinata e precisa che definisce “tutta formaggi e orologi”. Il matrimonio di interesse dura solo un anno.

Luciano Pagani non vorrebbe concedere il divorzio, ma alla fine si piega al volere della bella attrice che gli dice: “Tu nel 1945 mi hai salvato la vita, ma io ho pagato la mia testa con un’altra cosa. Uno come te non avrebbe mai potuto sperare di portare a letto Doris Duranti”.

L’Orchidea Nera fugge in America latina, dove nei primi anni cinquanta ha una breve relazione con Mario Ferretti, famoso giornalista della Rai. La troviamo in Argentina, Venezuela, Cuba e infine a Santo Domingo, dove si stabilisce definitamente.

Torna sporadicamente sul grande schermo senza ottenere il successo di un tempo. Lei sostiene di vivere bene ai tropici, pure se di tanto in tanto torna in Italia, dove c’è sempre qualcuno che si ricorda di lei.

Doris Duranti, in una delle sue ultime interviste, sostiene che Roma è troppo cambiata e che lei non ce la farebbe più a vivere in una città così diversa da come l’ha lasciata.
Le sue idee politiche sono confuse, giustifica il sanguinario dittatore dominicano Trujillo e sostiene che “la democrazia non esiste”.
Nel 1995 l’Orchidea Nera si spegne a 77 anni a Santo Domingo.

 

Che ne è stato, invece, della collega Luisa Ferida, incontrata nella fuga verso le Alpi?

Nata nel 1914 a Castel San Pietro, Luisa Ferida ha debuttato in teatro nelle compagnie di Ruggiero Ruggieri e Paola Borboni. Passa al cinema nel 1935, raggiungendo il successo con Un’avventura di Salvator Rosa (1940), La corona di ferro e La cena delle beffe (1941), tutte pellicole dirette da Alessandro Blasetti.
Nel 1942 la Ferida viene premiata come migliore interprete italiana per Fari nella nebbia, di Gianni Franciolini.

Luisa Ferida

 

L’Enciclopedia dello Spettacolo, fondata da Silvio D’Amico, scrive di Luisa Ferida: “Dotata di temperamento non comune, di un’originale fotogenia, di un fisico sensuale, fu forse l’attrice cinematografica italiana più viva del suo tempo. La sua carnalità, tipicamente nostrana, si confaceva particolarmente alle incipienti ricerche realistiche del cinema italiano intorno al 1940, di cui incarnò alcuni dei personaggi femminili più significativi”.

Luisa Ferida ha una lunga relazione artistico-sentimentale con il collega Osvaldo Valenti, che la porta, verso la fine del 1943, a raggiungere Venezia insieme a lui.
La Ferida e Valenti aderiscono alla Repubblica sociale italiana: difficile capire le motivazioni di questa scelta, quando la guerra appare ormai persa.
Il loro ultimo film è Un fatto di cronaca di Piero Ballerini (1944), ma prima l’attrice interpreta due opere di Luigi Chiarini: La bella addormentata (1942) e La locandiera (1944).

Si dice che Luisa Ferida e Osvaldo Valenti siano una diabolica coppia che partecipa a festini e torture ai partigiani nella “Villa Triste” di Pietro Koch, il comandante di una polizia autonoma di Salò che viene fatto arrestare più tardi dalle stesse autorità fasciste per i comportamenti fuori dalla legge.

Secondo gli storici, probabilmente Valenti frequentava quell’ambiente solo per procurarsi la cocaina. Si dice che la Ferida danzasse nuda davanti ai prigionieri torturati a Villa Triste, ma non ci sono prove in proposito.
Contro Valenti c’è anche il fatto che indossasse la divisa della Decima Mas, l’unico reparto realmente combattente della Repubblica sociale, ma lo faceva solo come “testimonial” per la propaganda.

Negli ultimi giorni della Repubblica Sociale la coppia viene catturata dai partigiani guidati da Giusepe Marozin.
Osvaldo Valenti e Luisa Ferida vengono condannati a morte. Alcuni partigiani del Comitato di Liberazione si oppongono all’uccisione dei due attori, ma il futuro presidente della repubblica Sandro Pertini ordina personalmente a Marozin di procedere all’esecuzione.
Cinque giorni dopo la Liberazione, il 30 aprile 1945, avviene la fucilazione a Milano.

Come Doris Duranti, Luisa Ferida aveva aderito alla Repubblica Sociale non per motivi politici, ma spinta dall’amore per un uomo.

 

Gordiano Lupi, autore dell’articolo, ha scritto “Tutto Avati”, La cineteca di Caino

 

 

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