Prendiamola alla lontana. Qual è, nell’arte, la nozione di “originale” e di “copia”?
Sappiamo che, fin dall’antichità, molti pittori erano soliti realizzare più versioni di un loro lavoro.

Leonardo da Vinci, per esempio, realizzò due versioni de “La vergine delle rocce”, in circostanze che non sono mai state del tutto ben chiarite e che diedero vita anche a una sorta di controversia legale con i committenti.

Oggi le due versioni sono conservate a Londra e a Parigi, ma nemmeno gli studiosi sono unanimi nello stabilire quale sia la prima (presumibile originale) e quale la seconda (che potrebbe essere considerata una copia, anche se eseguita dallo stesso autore).

LA FANZINE PERDUTA CON DYLAN DOG
La Vergine delle rocce in “Leonardo – L’ombra della congiura”, di Giuseppe De Nardo e Antonio Lucchi, Bonelli editore

 

Detto che in tempi più recenti Claude Monet realizzò circa 250 dipinti di ninfee, Van Gogh almeno una decina di girasoli, Munch quattro versioni de “L’urlo”, va ricordato che di ogni dipinto è possibile siano state realizzate, anche in forma legale e per motivi di studio e documentazione, delle copie (c.d. copie d’autore).
Quando poi si passa dalla pittura alla stampa, la questione è ancora più delicata.

Benito Palmiro Boschesi, un giornalista un po’ dimenticato che scrisse anche due libri sul fumetto (“Manuale dei fumetti” e “Smash”), nel testo “Stampe d’arte moderne” del 1971, dedica un paragrafo a “Che cosa s’intende per stampa originale” e mette in guardia dalle frequenti riproduzioni puramente meccaniche o fotografiche, attribuendo valore di originale solo alle carte tirate a mano da una o più matrici, concepite ed eseguite dall’artista stesso.

LA FANZINE PERDUTA CON DYLAN DOG
I libri di Benito Palmiro Boschesi su fumetto e stampe d’arte

 

Senza pretendere certo di sintetizzare qui un saggio come “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, di Walter Benjamin, si può semplicemente concludere nel senso che, vuoi per la disponibilità di tecnologie di riproduzione fotografica e meccanica altamente sofisticate, vuoi per l’avvento dell’informatica, che consente di duplicare un documento all’infinito, più che mai oggi non è semplice stabilire, anche a livello legale, che cosa sia davvero autentico o originale.

Venendo al campo del fumetto, esistono certamente dei falsi integrali di intere pubblicazioni. Più volte sono state annunciate inchieste e sequestri in relazione ad albi di Diabolik o Dylan Dog stampati in tipografie clandestine.

LA FANZINE PERDUTA CON DYLAN DOG
Dall’archivio del Corriere della Sera, edizione del 29 aprile 1993

 

“Falsi” in un certo senso vengono considerati, da molti collezionisti, anche gli albi che gli editori ristampavano per far fronte alla richiesta di arretrati, senza precisare che si trattava di una nuova edizione, riconoscibile spesso solo dal prezzo o da altre indicazioni (l’editore Sergio Bonelli per anni ha utilizzato questa tecnica, costringendo gli appassionati di Tex a veri salti mortali per individuare le prime edizioni, tanto che esistono libri e siti internet dedicati all’argomento).

È opinione comune che i falsi circolino anche nell’ambito del commercio di tavole originali, anche se è difficile ottenere notizie certe. Anni fa fu aperta una pagina Facebook intitolata “Comic Art Fraud Database”, che tuttavia allo stato non risulta attiva.

LA FANZINE PERDUTA CON DYLAN DOG
Da “Superpippo e I falsificatori di fumetti”, di Mark Evanier e Kay Wright, in italiano su Topolino n. 930

 

Fatta questa ampia premessa, veniamo al dunque.

Nei primi anni novanta del Novecento, un piccolo gruppo di giovinotti, residenti in due diverse città della Puglia, decise di dar vita a una fanzine. All’epoca la cosa era piuttosto diffusa: si dava sfogo alla propria passione per il fumetto con una pubblicazione amatoriale, che poteva contenere storie di autori emergenti (così iniziarono in tanti, tra cui Leo Ortolani sulla fanzine Made in Usa), oppure articoli di critica e saggistica (così nacque ad esempio Fumo di China, tuttora in edicola dopo il passaggio al professionismo).

Piccolo lotto di fanzine e pubblicazioni amatoriali degli anni novanta

 

La fanzine in questione si chiamava Satyricomics ed intendeva proporre testi e tavole a fumetti esclusivamente di tipo parodistico, nella convinzione di poter sparare qualche cartuccia nel ramo dell’umorismo dissacratore.

Se le prime fanzine, negli anni settanta, erano realizzate al glorioso ciclostile, e le migliori, già negli ottanta, erano stampate in tipografia, quella di cui parliamo si attestò nell’aurea mediocrità della fotocopia.

I testi venivano realizzati su normali fogli di carta A4 con una macchina da scrivere elettronica. Le parti disegnate erano fatte a mano su cartoncino. Qualche titolo era affidato ai trasferibili (un prodotto ormai scomparso), e molte immagini erano in realtà collage di foto ritagliate dai giornali. Il tutto veniva amalgamato a mano con forbici e colla, e assemblato in copisteria.

Un po’ perché gli autori erano squattrinati, un po’ per timidezza e scarsa fiducia nei propri mezzi, un po’ perché la Puglia è abbastanza periferica rispetto ai centri nevralgici del fumetto italiano, fatto sta che la fanzine si concluse al quarto numero e circolò molto poco.

Non fu mai venduta in fumetteria: del resto, tecnicamente, non era una pubblicazione registrata al Tribunale, non aveva un prezzo di copertina, i realizzatori non erano soggetti fiscali eccetera.

Le copie realizzate, nell’ordine di qualche decina, furono vendute (duemila lire a copia) a qualche buontempone che nemmeno capì cosa acquistava, o regalate ad amici per sondare le reazioni del pubblico, o inviate a redazioni di altre fanzine per scambio, o inviate a riviste “serie”, confidando in qualche benevola recensione.

In effetti Fumo di China definì la fanzine (ed in particolare il n. 3, lo Speciale What If) “abbastanza divertente”. Vi fu uno scambio di missive con Gianluca Umiliacchi, che successivamente avrebbe fondato la Fanzinoteca di Forlì (e che quindi dovrebbe custodirne ancora oggi almeno un esemplare). Insomma, esistono dei documenti in grado di dare certezza, se qualcuno volesse dubitarne, della esistenza della fanzine e della sua datazione.

La copertina del n. 16 di Fumo di china con il giudizio abbastanza positivo sulla fanzine Satyricomics

 

Il punto è che nessuno dei fondatori si è poi dedicato al fumetto professionalmente, alcuni sono diventati persone serie e vivono nel terrore che quel loro oscuro passato possa riaffiorare.

Nessuno, dopo trent’anni, possiede più una copia. In nessun sito di vendita online si è mai visto un esemplare… è plausibile, quindi, che la scarsa tiratura sia andata totalmente dispersa.
E questa è più o meno la storia, che di per sé è probabilmente assai poco interessante.

C’è però una complicazione.

Su uno dei numeri si parlava di Dylan Dog, personaggio, all’epoca, nel pieno splendore. Se ne parlava con la solita ottica satirica: l’articolista fingeva di avere davanti un “signor Dog” realmente esistente e lo intervistava come se le vicende vissute nel fumetto fossero fatti reali, da commentare come si commentano le cose della vita.

La notizia di questa breve “intervista”, lasciata inavvertitamente trapelare in tempi recenti da uno degli artefici della fanzine, è giunta all’orecchio di un paio di collezionisti che su Dylan Dog hanno tutto e che sono impazziti all’idea di non possedere questa oscura pubblicazione.
Sono giunti al punto di promettere dei soldi pur di averla. Soldi veri, non quelli del Monopoli, né i gloriosi Play Money della Disney.

Immagine tratta dal volume “Giustizia a strisce”

 

Ma il punto è che gli esemplari della rivista realizzati in copisteria non ci sono più.

Ci sono, invece, del numero in questione (l’ultimo), le matrici di tutte le pagine. Nella prima si ironizzava sull’allora presidente del consiglio Giuliano Amato (oggi Presidente della Corte Costituzionale) e sulla sua politica fiscale aggressiva (arrivò a disporre un prelievo forzoso sui conti correnti di tutti i cittadini italiani).

La matrice della copertina del n. 4 di Satyricomics

 

Il detentore delle matrici potrebbe, in teoria, andare in copisteria e, con esse, ri-realizzare un nuovo esemplare, e cederlo agli ingordi collezionisti.

Ma, appunto, torniamo alle considerazioni di apertura. Una simile realizzazione “sarebbe” la fanzine Satyricomics? Potrebbe essere spacciata per essa? Sarebbe un originale o una copia? O addirittura un falso?

Nel dubbio, il detentore delle matrici ha deciso di tenere tutto per sé, nel suo archivio, rievocando ogni tanto quei tempi (in)gloriosi coi propri antichi sodali, e rinunciando anche ai soldi.

Meglio una partita a Monopoli.

 

(Abbiamo il vago sospetto di conoscere il “fortunato” possessore di queste antiche matrici – NdR).

 

© Francesco Lentano 2022

 

 

2 pensiero su “LA FANZINE PERDUTA CON DYLAN DOG”
  1. La ristampa, a mio avviso, sarebbe “una copia” dall’originale perche’ mancherebbe del marchio che solo il tempo può dare, ingiallendo le pagine e facendole odorare di polvere. Il fascino, per chi ama la carta come noi, non è solo nel contenuto, ma soprattutto nel contenitore, che per citare Paul Valery, “ha gli stessi nemici dell’uomo: il fuoco, l’umidità, il tempo…….”
    Pensate che la ristampa con le matrici originali del primo numero di Amazing Fantasy 15 avrebbe lo stesso fascino di una copia, magari malandata, trovata per caso in una soffitta?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *