Per la comprensione di questo articolo è raccomandata la visione dei cortometraggi di Walt Disney The Four Musician of Bremen e Jack the Giant Killer del 1922, della durata complessiva di 15 minuti: qui e qui. Questo è il secondo articolo di un ciclo sull’arte disneyana del periodo giovanile a Kansas City. L’intento di questa ricerca è trovare il “Disney factor”, ossia ciò che ha reso Walt Disney qualcosa di unico. Little Red Riding Hood, il primo vero cartone animato realizzato nel 1922 da Walt Disney che abbiamo visto nell’articolo introduttivo (qui), è fatto unicamente con l’uso di disegni su carta, non sfruttando l’opportunità del cel, il foglio di acetato trasparente. Il cel rendeva assai più facile e veloce la realizzazione dei personaggi e degli oggetti in movimento, slegandoli dalle parti fisse, principalmente dallo sfondo. Eppure l’uso del foglio di acetato era dettagliatamente descritto sul testo di riferimento indispensabile per il settore dell’animazione che Disney conosceva perfettamente: Animated Cartoons – How they are made, their origin and development di Edwin Lutz. Sappiamo che Walt Disney non badava a spese per raggiungere i propri obiettivi: è improbabile che il prezzo del cel costituisse un problema determinante. Sappiamo anche che ammirava il lavoro di Winsor McCay, il quale prima del brevetto della tecnica del foglio trasparente, da parte di Bray e Hurd nel 1916, realizzò magnifici cortometraggi con il solo uso di disegni su carta di riso. Si trattava in tutto e per tutto di opere autoriali, che richiedevano decine di migliaia di fogli di carta e tempi molto lunghi, non propriamente di opere commerciali. Procurarono a McCay un buon guadagno e la fama di geniale pioniere dell’animazione. Addirittura l’altisonante titolo di “inventore del cartone animato”. Il primo cartone animato di McCay risale al 1911 e in effetti prima di allora non si era mai vista un’animazione tanto fluida e con una resa volumetrica così convincente. Ma questo era solo conseguenza di immane lavoro e grande talento. Non c’era alcun trucco o invenzione tecnica dietro a tale risultato. McCay ridisegnava totalmente tutto ciò che si vedeva nel campo visivo su ogni singolo foglio.
LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY
1911, Winsor McCay enfatizza la lavorazione del suo primo cartone animato con finti barili d’inchiostro, enormi scatoloni di carta e il busto di Napoleone. In effetti i suoi cartoni animati richiedevano decine di migliaia di fogli
Walt Disney invece utilizzò la tecnica del cut-out di cui stava facendo ottima pratica alla Film Ad, aveva certamente ambizioni più commerciali di McCay, che proveniva da una famiglia benestante e godeva già di ottimi guadagni per le sue prestigiose tavole domenicali pubblicate dai quotidiani (universalmente conosciuta è Little Nemo). Se Walt iniziò dalla tecnica del cut-out invece di usare l’acetato, decisamente più raccomandato, è possibile che volesse semplicemente partire da ciò che conosceva meglio. Partì dal primo gradino per arrivare pian piano a sfruttare le tecniche più avanzate. Una caratteristica disneyana ben evidente, soprattutto dagli anni trenta in poi, sarà l’attenzione costante nel miscelare al massimo grado tutte le possibili opportunità artistiche e tecniche, senza che una parte prevalesse sull’altra.

The Four Musician of Bremen

Il modus operandi è evidente fin dall’inizio: la precedenza viene data, nel limite delle possibilità, alla qualità finale del prodotto per poi concentrarsi sulla tecnica per risparmiare tempo e soldi. Dal secondo cartone animato, The Four Musician of Bremen (I quattro musicanti di Brema), infatti si comincia a fare uso del foglio di acetato. Questo metodo incide positivamente non solo sui tempi di lavorazione ma anche sulla qualità degli sfondi che possono essere slegati dai personaggi e rifiniti con una vasta gamma di sfumature. Il cortometraggio, della durata di 7 minuti e 25 secondi inizia con una didascalia che informa che i quatto musicanti di Brema in cerca di fama vengono cacciati in malo modo da ogni città. I musicanti sono un asino, una gallina, un piccolo bulldog bianco e il gatto Julius. Dopo una corsa a rotta di collo si riposano sull’argine di un lago.
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The Four Musician of Bremen: nella prima inquadratura, l’animazione della corsa non ha movimento ondulatorio, i personaggi sembrano correre su un tapis roulant, tutti alla stessa altezza da terra, senza rispettare il movimento verticale
Julius, il più vivace della compagnia, tenta di abbattere a randellate un pesce attirato in superficie dalla musica suonata dagli altri tre compari, ma non riuscendo nell’intento, insegue la preda direttamente sott’acqua, dove a sua volta diventa preda di un pesce sega. L’ostinato predatore insegue Julius fin fuori dall’acqua, dove, insieme ai i suoi compari, continuerà la fuga. I malcapitati si rifugiano in cima ad un albero sul bordo di un burrone: la pianta viene segata dal pesce utilizzando il naso a sega. I quattro amici precipitano nel vuoto per andare a imboccare il foro di un camino di una casa, abitata da un piccolo esercito di miliziani mascherati che spaventati si precipitano fuori dall’abitazione. Ingaggiata una vera e propria guerra con i miliziani, con tanto di palle di cannone, l’eroe Julius riuscirà poi ad abbatterli ad uno ad uno a suon di randellate viaggiando proprio sopra una palla di cannone. Cartoon disneyano anomalo, ha una costruzione narrativa molto meno coerente del precedente: è un “tutto azione”, con una cifra narrativa piuttosto casuale sul modello di molte Aesop’s Fables di Paul Terry. Walt Disney evidentemente ha bisogno soprattutto di sperimentazione tecnica. Nella prima inquadratura abbiamo una lunghissima carrellata orizzontale da destra a sinistra, che segue la corsa sfrenata dei quattro musicisti che cercano di allontanarsi da un fitto lancio di mattoni provenienti dalle loro spalle. Nell’inquadratura successiva assistiamo all’accanimento degli abitanti intenti a scaraventare i mattoni.
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Gli abitanti lanciano i mattoni ai malcapitati suonatori
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Le note zampillano fuori dagli strumenti. Una trovata tipicamente disneyana che si differenzia da quelle di Paul Terry
L’animazione dei personaggi in corsa è del grado più elementare, realizzata con il solo movimento degli arti, mentre il corpo non ha alcun movimento di oscillazione verticale, prodotto dalla corsa rispetto al terreno. Eppure questo movimento è ben descritto e raccomandato nel libro di Edwin Lutz. La monotonia della corsa, mostrata in modo così elementare è del tutto evidente: a questo Walt fa fronte facendo colpire il gatto, l’ultimo della fila, per ben due volte, da un mattone.
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Animated Cartoons – How they are made, their origin and development di Edwin Lutz, in una moderna edizione italiana abbastanza fedele all’originale usato da Walt Disney
In realtà vedremo che tutto il cortometraggio indugia davvero all’eccesso in carrellate orizzontali. L’introduzione del cel sembra aver indotto Walt Disney a volerne sperimentare subito le maggiori potenzialità che si riscontrano proprio nella carrellata: ha evidentemente usato questo cortometraggio come training. Walt si concentrava su una cosa alla volta per appropriarsene al meglio ed essere pronto per un nuovo passo avanti. Probabilmente, anche per ovviare alla monotonia delle carrellate, Walt ha introdotto una forte dose di azioni veloci e contrasti tra antagonisti. I musicanti di Brema sono vittima di ben tre attacchi: Il primo da parte degli abitanti di una cittadina, il secondo da parte un ostinatissimo pesce sega e il terzo da parte della misteriosa milizia mascherata. Al minuto 2:49 un pesce sega ha appena finito di far affilare il suo naso da un’aragosta-arrotino e per collaudarne l’efficacia taglia in due un pesce di passaggio!
The Four Musician of Bremen: un piccolo pesce viene tagliato in due, per collaudare l’affilatura della sega
Questa scena, molto cruda agli occhi odierni, all’epoca era considerata accettabile e divertente. Più dei suoi concorrenti, che incedono maggiormente nel cinismo, per esempio in un certo individualismo qualunquista, persino da parte dei protagonisti stessi delle serie (vedi Felix), Walt, che è sempre attento a mantenere credibili i suoi personaggi, non evita scene di crudo realismo. Walt ama portare avanti nel modo più semplice ciò che suggerisce la coerenza di un personaggio o di una situazione. Evita l’intromissione dell’autore in ciò che la narrazione suggerisce da sola. In questo caso siamo davanti ad un predatore: si può comportare diversamente? Questo è perfettamente coerente con quello che negli anni successivi diventerà il modello dichiarato della narrazione disneyana: la favola antica di autori come Esopo e Fedro e soprattutto quella seicentesca di La Fontaine. Secondo questi modelli le forze messe in gioco fin dall’inizio costruiscono, da sole, la trama e la morale. Ogni intromissione dell’autore nel verificarsi lineare di eventi non farebbe altro che falsificare l’ordine naturale e disincentivare l’immaginazione. In quanto alla morale deriva dalla semplice descrizione di ciò che accade. Dove sta allora la fantasia? La fantasia sta tutta nel creare una situazione iniziale, volendo un intero mondo parallelo. Questo mondo deve poi poter camminare con le proprie gambe e qui se ne verifica la credibilità. Viene generalmente riconosciuto Disney quale autore più “realistico” degli anni venti, un’epoca in cui il pubblico si attendeva dai cartoni animati qualcosa di totalmente opposto: coreografie surreali che facessero letteralmente “giocare” lo spettatore, distraendolo per qualche minuto dai problemi di tutti i giorni. Si comprende come per lo spettatore di quell’epoca fosse davvero evasivo e liberatorio il gioco astratto che trovava in Felix the Cat di Pat Sullivan e Otto Messmer o nel circo surreale di Out of the Inkwell di Max Fleischer. Walt stava invece costruendo una narrativa basata su un realismo che avrebbe avuto successo nei cartoons più strutturati e credibili del decennio successivo. L’automatismo narrativo che fa parlare autenticamente le forze in campo avrebbe fatto scuola: se avesse evitato il gesto apparentemente gratuito, ma perfettamente logico per un predatore, di tagliare in due un povero pesciolino, quanto ne avrebbe risentito l’attenzione del pubblico per l’inseguimento che avrebbe avuto luogo, da lì a poco, tra il terribile pesce e i nostri malcapitati eroi? Il pesce ostinato esce dall’acqua e insegue i quattro suonatori che si cimentano in una nuova fuga sfrenata. Notiamo però che questa volta nell’animazione dei personaggi è stato aggiunto il movimento di oscillazione verticale del corpo in corsa! Questo movimento è molto visibile nell’animazione dell’asino. Seppure quasi impercettibile negli animali più piccoli è comunque necessario per dare naturalezza e credibilità alla corsa e evita di far sembrare i personaggi su un cuscinetto d’aria, come nella prima carrellata. L’insistere sulle sequenze d’inseguimento è quindi servito. È possibile che Walt abbia cominciato proprio da qui a mettere in pratica ciò che osservava nelle foto del prezioso libro di Edweard Muybridge, Animal Locomotion, che reperì nella biblioteca di Kansas City. Il libro è un eccezionale catalogo di sequenze fotografiche di tutti i possibili movimenti di persone e animali. Sono innumerevoli le sequenze di animali in corsa.
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The Four Musician of Breme: la seconda fuga. Walt ha fatto dei progressi, questa volta la corsa ha un movimento ondulatorio, notiamo che il cane, il gatto e il pollo sono ad altezze diverse da terra, assecondando il movimento delle gambe
Edweard Muybridge, Animal Locomotion: prezioso libro composto di innumerevoli sequenze fotografiche
Un notevole sfondo di Otto Walliman. Walt Disney, sebbene non tecnicamente all’altezza dei grandi studi di New York, aveva già il suo punto di forza in alcuni sfondi
Un’inquietante masnada di briganti in assetto paramilitare: Walt Disney crea un contrasto tra i membri di qualche gruppo di fanatici e i quattro allegri vagabondi
Nell’ultima lunghissima carrellata Julius vola in piedi su una palla di cannone per ben 93 secondi, inseguito nel finale dai miliziani che vengono abbattuti a randellate.
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Julius rimane in piedi su una palla di cannone volante per un minuto e 33 secondi!
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Un bel palazzo inquadrato con prospettiva accidentale: Walt Disney sa movimentare una scena con una scenografia, non solo con l’azione
Il cartoon si conclude con la nota epigrafe “e vissero felici e contenti”. È composto da 43 inquadrature di cui 9 con mascherino e una dissolvenza finale con occhiello in restringimento. L’uso del mascherino è utile a creare una variazione quando le inquadrature sono troppo simili tra loro, come in questo caso, dove abbiamo numerose inquadrature di profilo e a figura intera. Si sente decisamente la mancanza di una soggettiva o di una prospettiva centrale. Comunque da evidenziare un ottimo particolare scenografico: durante l’ultima interminabile carrellata, Julius, in piedi sulla palla di cannone, passa attraverso le due pareti di un palazzo inquadrato con prospettiva accidentale. Questo stratagemma scenografico, oltre a rompere la continuità eccessiva dell’inquadratura, è molto suggestivo: offre un sorprendente punto di riferimento urbano in un’ambientazione abbastanza desertica e scarna. È indubbiamente uno di quegli spunti creativi che ci fanno capire che siamo di fronte a un autore fuori dal comune, pronto a sorprenderci non solo con il ruolo “attivo” del racconto, ma con tutto ciò che esteticamente avrebbe normalmente un ruolo “passivo”. Sono queste soluzioni estetiche che in Walt Disney fanno la differenza.

Jack and the Beanstalk

Il terzo cartone animato, Jack and the Beanstalk, purtroppo non può essere visionato, appartiene a una collezione privata, il cui proprietario ha permesso il restauro a cura del MoMA di New York, ma non ne permette la riproduzione e la commercializzazione. Il titolo stesso di questa Feary Tales ci dice che viene introdotto un nuovo protagonista che apparirà in altri tre cartoons della serie e di cui varrà la pena di parlare adeguatamente al momento opportuno. Intanto Walt Disney stava continuando a reclutare personale. Al tuttofare Rudy Ising si affiancò a tempo pieno Hugh Harman, quindi Carman “Max” Maxwell, anche lui, come i primi due colleghi, destinato a formare negli anni trenta il primo gruppo di artisti della Leon Schlesinger Production, società esterna produttrice di cartoni animati per la Warner Bros. Per breve tempo anche Friz Freleng diede il suo supporto, poi come gli altri raggiungerà Disney a Los Angeles: diverrà noto come regista dei cartoons della Warner Bros tra gli anni trenta e i cinquanta, e come creatore di Pink Panther (la Pantera Rosa), insieme al socio DePatie. Abbiamo ancora Lorey Tague all’animazione e Otto Walliman, a cui vennero affidati gli sfondi. Alex Kurfiss, che realizzerà i poster dei film. Aletha Reynolds, general Artwork. Ub Iwerks, eccezionale calligrafo, disegnatore e cineoperatore, pur lavorando ancora alla Film Ad, si occupò ampiamente delle didascalie della Laugh-O-gram. Avrebbe dato il suo indispensabile supporto all’animazione e alle riprese di Alice in Wondeland prima che Walt lasciasse Kansas City. William “Red” Lyon, già operatore di macchina per la Film Ad mantenne lo stesso ruolo e mise a disposizione la propria cinepresa. Walt Pfeiffer, il vecchio amico di Walt era responsabile per le sceneggiature. Nadine Simpson, stenografa contabile. Gli impiegati più pagati facevano parte della sezione amministrativa e commerciale: Adolph Kloepper, direttore commerciale, Leslie Mace, addetto alle vendite, che venne inviato a New York insieme al tesoriere, il dottor John Vance Cowles: un uomo agiato operante nel campo petrolifero, che insieme alla moglie sarà ritenuto da Walt una sorta di benefattore. Walt Disney in questi anni trovò molte persone disposte ad aiutarlo nei suoi obiettivi e anche a venirgli in soccorso nei momenti di difficoltà. In futuro uno degli temi più tipici della delle storie disneyane sarà la solidarietà di un personaggio maturo nei confronti di un giovane eroe alle prime armi: l’archetipo di Mago Merlino e Re Arthù nella Spada nella Roccia. Walt aveva quel naturale carisma che lo faceva vedere agli occhi di chiunque come un giovane meritevole. Durante il suo periodo a Kansas City aveva sentito il bisogno di essere circondato da un ambiente “elevato”, qualcosa che lo distogliesse da un modo di pensare puramente materialista. Fin da ragazzino il lavoro era stato al centro delle sue giornate. Suo padre, che lo aveva messo a distribuire giornali dall’età di otto anni, oltre che convinto socialista era un fervente cristiano. Il nome di battesimo di Walt Disney deriva da Walter Robinson Parr, sacerdote della chiesa congregazionale di Chicago, molto amico della famiglia Disney. Come reazione a questo retaggio dottrinale Walt sentiva qualsiasi religione organizzata come qualcosa di limitante. A Kansas City, nel 1920 era stato fondato l’Ordine di DeMolay, un’organizzazione massonica il cui obiettivo era quello di offrire una formazione educativa ai ragazzi tra i 12 e i 21 anni. Di fatto l’organizzazione riuscì in particolare a dare una famiglia agli orfani di guerra. I principi etici a cui si richiamava il DeMolay, ancora oggi esistente e diffuso in vari paesi del mondo, sono: l’amore filiale, il rispetto per gli esseri viventi, la cortesia, l’amicizia, la lealtà, la rettitudine, il patriottismo e il rispetto per le “cose sacre”. Questo ultimo principio, molto importante, consiste nel credere nell’esistenza di qualcosa di più elevato del materialismo, lasciando vasta libertà all’idea del divino e di conseguenza libertà di religione. Tutto questo sembrò essere costruito su misura per il “teismo” di Walt Disney, che non chiedeva altro che libertà di credere a qualcosa di “al di sopra di tutti noi” senza dovergli dare alcuna configurazione e tanto meno farlo rientrare in una dottrina. Questo, era il tipo di spirito che Walt richiedeva e a cui rimase convintamente affezionato per il resto della vita. Il DeMolay, sebbene si ispirasse ai principi della cavalleria templare, non era una loggia massonica, che è contraddistinta da rituali esoterici. Walt non entrò mai in alcuna loggia massonica. Fu comunque legato da amicizia personale con Frank S. Land, il fondatore del DeMolay, che costituì per lui un importante punto di riferimento. Nel settembre del 1922 Leslie Maces trovò una società di distribuzione del Tennessee interessata ad acquistare 6 cortometraggi sulle Feary Tales da consegnare entro il primo gennaio 1924. Il saldo di 11mila dollari sarebbe stato pagato in quella data. L’anticipo consisteva in soli 100 dollari! Walt accettò questo contratto decisamente rischioso. La società era la Pictorial Clubs, che era intenzionata a proiettare i cortometraggi nelle scuole e nelle chiese. Verso la fine del 1922, dopo la consegna dell’ultimo cartoon, Cinderella, la società di distribuzione era fallita e si dichiarò insolvente. I cortometraggi disneyani ebbero una distribuzione solo parziale, vennero poi redistribuiti alla fine degli anni venti, con l’aggiunta di una banda sonora e (purtroppo) un rimontaggio. Vennero in quell’occasione anche rititolati e pubblicizzati come: Drawn by Walt Disney originator of the famous “Mickey the Mouse”. Approssimativamente sappiamo che Walt aveva realizzato il primo cartoon della serie Feary Tales, Little Red Riding Hood in circa 6 mesi: tra novembre 1921 e maggio 1922. Non avendo ancora lasciato l’impiego alla Film Ad ci lavorava solo di notte mentre di giorno Rudy Ising teneva aperto lo studio, filmando e rifinendo il lavoro di Walt. Ebbe la collaborazione di pochi altri apprendisti occasionali di cui non si è mai avuta traccia. Come abbiamo detto anche il mancato impiego del cel contribuì all’allungamento dei tempi di lavorazione. Dopo l’avviamento della Laugh-O-gram, Walt produsse gli altri sei Feary Tales nei sette mesi seguenti, tra maggio e novembre 1922. Ecco l’elenco completo. Little Red Riding Hood Realizzato tra novembre 1921 e aprile 1922. Maggio: Walt lascia la Film Ad. Tra maggio e novembre 1922 realizza 6 Feary Tales. The Four Musician of Bremen Jack and the Beanstalk Jack the Giant Killer Goldie Locks and the Three Bears Puss in Boots Cinderella

Jack the Giant Killer

Jack the Giant Killer, che seguì Jack and the Beanstalk, è un cartone animato della durata di circa 7 minuti e 25 secondi e come si evince dal titolo ha gli stessi protagonisti. Se il film precedente appartiene a una collezione privata che ne vieta la riproduzione Jack the Giant Killer, cosi come il seguente, Goldie Locks and the Three Bears, appartiene al MoMA di New York. Restaurati entrambi nel 2010, con il supporto della Disney e della US Library of Congress, questi preziosissimi cortometraggi non sono purtroppo mai stati commercializzati o divulgati, se non in rare proiezioni in occasione di festival cinematografici. Per Jack the Giant Killer ci facciamo bastare quindi un video clandestino ripreso da una pessima angolazione durante una di queste proiezioni. In questo cartoon non manca l’azione, ma anche la storia è ben costruita, la regia variegata, le scenografie ricche ed esotiche. Siamo di fronte ad un opera molto più strutturata di The four Musician of Bremen. Innanzi tutto in occasione dell’introduzione di due nuovi personaggi, Jack e Susie, due ragazzini preadolescenti, nei titoli di testa ci viene presentata un’immagine di frontespizio con la squadra definitiva dei quattro protagonisti, di cui fanno parte anche il gatto Julius e il piccolo bulldog bianco. Sopra i quattro personaggi sono seduti su un ramo campeggia l’epigrafe della Laugh-O-gram.
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Il nuovo frontespizio delle Fairy Tales, a partire da Jack and the Beanstalk. Ci viene presentata una copia di ragazzini e una copia di animali
La squadra è pronta per interpretare qualunque Fairy Tales venga in mente alla produzione. Ma il suo uso è molto elastico, dato che già nel seguente cartoon, Goldie Locks and the Three Bears, la boccoluta Riccioli d’oro non potrà essere interpretata da nessuno dei due ragazzini dai capelli scuri. Saranno presenti però il gatto e il cane. Jack the Giant Killer inizia con un mascherino a rombo che si allarga su una folla, vista di schiena, accalcata ad ammirare un muscoloso uomo vestito di pelle di leopardo, attrazione di un circo itinerante, accanto a un energico presentatore con megafono. La folla è rappresentata con un disegno fisso, mentre il selvaggio seduto, incatenato a una caviglia, muove ciclicamente in modo sclerato, braccia e gambe, volendo mostrare in questo modo la sua aggressività. Notiamo subito che questa prima animazione è piuttosto grezza, l’accelerazione del movimento serve anche a distogliere l’attenzione dal disegno fisso degli spettatori.
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Jack the Giant Killer: nella prima inquadratura, il disegno della folla è fisso, ma abbiamo una coreografia molto ricca rispetto ai cortometraggi precedenti
La seconda inquadratura ci mostra una vasta panoramica della folla, sempre fissa, che ammira due leoni in gabbia. Questa volta la leonessa che cammina avanti e indietro è mossa in modo sorprendentemente fluido: anche qui si è preferito concentrarsi sull’animazione del soggetto centrale che non animare la selva di teste con cappello degli spettatori. La terza panoramica ci mostra una banda musicale che suona in modo sfrenato e in modo altrettanto rapido, come zampilli, sgorgano i simboli delle note fuori dai loro strumenti. Questo tipo di coreografia, per dare un aspetto visivo alla musica, è molto efficace e verrà utilizzato anche in Cinderella, l’ultimo dei Fairy Tales. Sembra davvero di sentire il suono delle tube e della grancassa e rispecchia certamente la frenesia della cosiddetta “età del Jazz”. L’animazione sclerotica degli orchestrali, ripetuta ciclicamente, è comunque molto grezza ed è certamente funzionale per risparmiare lavoro agli animatori.
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Jack the Giant Killer: le note zampillano fuori dagli strumenti
Segue un ottimo campo medio in cui tutti e quattro i protagonisti, inquadrati di tre quarti da dietro, osservano una fila di cartelloni in prospettiva laterale.
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Jack the Giant Killer: i quattro protagonisti osservano i cartelloni con le attrazioni del circo dei freaks. Questa inquadratura con un gran numero di dettagli è il motore di tutta la narrazione. Susie sfida Jack a dimostrargli il suo coraggio. Accanto a loro il gatto e il cane si abbracciano affettuosamente
Ogni cartellone è ben visibile e molto divertente, sia nelle immagini sia nelle descrizioni dei freaks che vi appaiono. In più rimane ancora spazio nell’inquadratura per mostrare i tendoni del circo. Questa immagine molto cinematografica crea da sola tutta la suggestione che ci mancava a completare l’atmosfera del circo dei freaks, che in quegli anni arrivava a movimentare le periferie delle città americane. A osservare i cartelli, a partire da sinistra, abbiamo il gatto nero e il cane bianco che si mettono reciprocamente il braccio sulla spalla, in modo molto affettuoso. Due cortometraggi dopo, in Puss in Boots (Il Gatto con gli Stivali), ritroveremo gli stessi personaggi a rincorrersi e flirtare, baciarsi sulla bocca appassionatamente. In quel caso il gatto assumerà un ruolo dichiaratamente femminile. Ciò che agli spettatori di oggi può sembrare ambiguo è che il suo aspetto rimane identico. Sempre in Puss in Boots il gatto chiede a Jack di comprargli un paio di stivali, in seguito al sogno ad occhi aperti di attrarre un cane poliziotto indossando degli stivali e alcuni accessori femminili. Lo vedremo davanti al poster di Rodolfo Valentino (ribattezzato per l’occasione “Rodolf Vaselino”) sospirare e fare la coda a forma di cuore. Il cane di Puss in Boots viceversa è indiscutibilmente  l’uomo della situazione, nel ruolo di autista e meccanico del re. LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY
Puss in Boots: il gatto con gli stivali in questo cartoon è virato al femminile ma nulla lo suggerisce nell’aspetto. Non è un problema per il pubblico di questo periodo. Nel giro di pochi anni uno storytelling più strutturato avrà bisogno di connotazioni precise. Il pubblico si abituerà convenzioni grafiche immediatamente assimilabili
Tutto questo potrebbe per altro far venire forti dubbi che il gatto delle Fairy Tales non sia esattamente Julius, come indicato da qualche storico dell’animazione. Ossia quel Julius che nelle prime Alice Comedies ha il ruolo di gatto da compagnia e amante occasionale di Alice! Ma forse è proprio il fatto che sia il gatto che il cane di queste serie non abbiano alcuna connotazione sessuale esplicitata graficamente a renderli versatili attori di commedie brillanti, al punto di interpretare sia ruoli maschili sia femminili. Dal momento che al pubblico questo gatto veniva presentato privo di nome, diventa aleatorio e di poca importanza definire se fosse esattamente lo Julius delle Alice Comedies o un suo predecessore non ancora del tutto definito, senza che lo stesso Walt Disney ci abbia lasciato una spiegazione in merito. Proprio la scelta di non incentrare i cartoons sui personaggi, bensì sulle storie, si apre una questione ben più vasta e cruciale. È una scelta di campo squisitamente disneyana, che accomuna Disney unicamente a Paul Terry e alla sua serie delle Aesops Fables e lo differenzia da tutti gli altri autori. A parte Disney e Paul Terry, o geniali outsider come Winsor McCay, i distributori, i produttori e gli stessi autori facevano in modo che le vere star dei cartoni animati fossero i protagonisti a cui venivano intitolate le serie. Gli autori vivevano normalmente di riflesso della fama dei loro personaggi e a parte i casi di artisti e autori sperimentali, sarebbe stato così per tutto il Novecento. A partire dai personaggi dei fumetti pubblicati sui quotidiani di William Randolph Hearst, che il magnate ha voluto portare anche sullo schermo dei cinema: The katzenjammer Kids, Mutt e Jeff, Happy Hooligan, Jerry on the Job, Bringing Up Father, Judge Rummy, Krazy Kat. E a seguire Bobby Bump, Dreamy Dud, Felix the Cat, Out of the Inkwell (che nonostante il titolo ha come protagonista assoluto Koko il Clown), i cartoons ruotavano intorno a delle vere e proprie star disegnate a cui il pubblico si fidelizzava come agli attori in carne ed ossa. La fantasia di Paul Terry, controcorrente nel panorama dei cartoons, privilegiava le situazioni, anziché i personaggi. Paul Terry, che non aveva mai letto Esopo, a cui intitolò la sua serie, si limitò ad appropriarsi dell’idea di raccontare in ogni cortometraggio situazioni differenti, liberandosi da legami con un personaggio ricorrente. L’unico personaggio riconoscibile era il contadino Al Falfa, che, peraltro non era presente in tutti i cartoons. Ma non era attorno al suo carattere scontroso che si svolgeva la vicenda, era piuttosto la narrazione che si avvaleva del personaggio unicamente per movimentare la storia. Walt Disney nel 1921, quando esordì la serie delle Aesop’s Fables, capì che come Pau Terry era partito dall’idea di Esopo, lui sarebbe partito da Esopo già interpretato da Paul Terry: aveva già la strada spianata. In Paul Terry troverà anche lo stile ideale per le inquadrature, l’animazione e le sequenze. Non possiamo non ritrovare una straordinaria coerenza in ciò che Walt espresse fino ai suoi ultimi anni, dichiarandosi erede proprio di Esopo, e di La Fontaine, che riteneva creatori del perfetto modello di favola, il faro da seguire per ogni tipo di narrazione che si rivolga al “bambino interiore”. Se si vuole davvero capire quale fosse il concetto di favola per Walt Disney è opportuno non farsi sfuggire una sua ulteriore e perentoria dichiarazione: Hans Christian Andersen, ci viene detto, “non è un favolista, ma soltanto un narratore”. Cosa fa la differenza? Le favole di Andersen riflettono della vita personale del suo autore e del mondo contemporaneo, in questo, pur essendo state accostate a quelle dei fratelli Grimm, che invece si sono addentrati più profondamente negli antichi miti germanici, sono letterariamente più strutturate e personali. Naturalmente i fratelli Grimm sono molto più vicini allo stile disneyano. Walt cerca una narrativa che affondi le proprie radici negli archetipi della storia antica che a sua volta mantiene tracce protostoriche. Ma anche qui tiene a marcare una differenza tra Esopo e La Fontaine: mentre i favolisti dell’antichità usavano personaggi animali per evidenziare caratteristiche e difetti degli esseri umani, La Fontaine raccontava storie propriamente di animali! La Fontaine si limitava a raccontare i rapporti di forza tra animali, senza creare distorsioni per far vincere forzatamente il più meritevole. Disney trova in La Fontaine il modello perfetto: anche lui cerca un mondo edulcorato, molto più semplice di quello reale, ma di contro non accetterà mai di edulcorare i rapporti di potere tra le forze in gioco. L’intento è quello di creare un mondo parallelo, ma con gli stessi rapporti di forza, non una versione caricaturale del mondo reale. Walt Disney non è un caricaturista, è un creatore di mondi. Se proprio Paul Terry abbandona quasi subito il modello di Esopo, per spaziare verso una narrazione assai meno coerente e tutta rivolta all’intrattenimento, ciò che interessa a Walt è invece la costruzione di un’atmosfera coerente, da mandare avanti dall’inizio alla fine. Il micro universo in cui si svolge il cartone animato, la sua credibilità, la sua coerenza, seppure in una fisica distorta e cartoonesca, un’atmosfera che sia qualcosa di più gratificante di quella reale, sono le cose che danno un senso alla narrazione disneyana. La scelta di campo di Walt è chiara fin dall’inizio: non descrivere un personaggio ma un mondo! Ci metterà anni prima di concepire una serie con un protagonista vero e proprio, così come fanno tutti i suoi concorrenti: Oswald The Lucky Rabbit, nel 1927 e poi Mickey Mouse nel 1928. Sarà quest’ultimo la svolta del successo, perché in esso si riverserà la narrazione completa: il personaggio, ma anche un mondo attorno a lui non meno importante e coerente. Con Mickey Mouse, Walt Disney è arrivato alla sintesi. Non è un caso se parallelamente a Mickey Mouse concepisce le Silly Simphony, favole musicali autoconclusive, e ognuna di esse contribuisce alla costruzione dell’universo disneyano. Non è nuovamente un caso se già nel 1935, a soli sette anni dalla nascita di Mickey, comincerà a riversare la maggior parte delle sue energie sui lungometraggi tratti dall’universo favolistico. Nel giro di pochi anni Mickey passa in secondo piano. Ancora una volta non si fa bastare il personaggio. Walt vuole costruire un mondo. Tornando alla nostra inquadratura. Nonostante tutti i discorsi generali, può sorprendere che il cane e il gatto in questione non abbiano alcuna identificazione grafica del sesso: in assenza di requisiti specifici, come ciglia lunghe, capelli lunghi, gonnellina, labbra piene, fiocchi ai capelli, appaiano entrambi maschi. In realtà buona parte delle convenzioni grafiche identificative dei personaggi femminili arriveranno nella seconda parte degli anni venti. È pur vero che al pubblico di quel periodo poteva bastare un solo requisito per distinguere il personaggio femminile da quello maschile. Se guardiamo La fidanzata di Felix the Cat in Feline Folies del 1919, basta un fiocchetto intorno al collo per distinguerla dal maschio. Esiste in realtà una seconda differenza, che però da sola non ci darebbe alcuna indicazione utile. Il maschio è nero e la femmina è bianca. Il colore bianco, di per sé non indica in alcun modo femminilità. Gli autori di Felix, Pat Sullivan e Otto Messmer, intuiscono, e non è poca cosa, che insieme al fiocchetto, il colore complementare rafforza la percezione che anche il sesso è complementare.
LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY
Feline Folies: Felix the Cat, di Pat Sullivan e Otto Messmer. Nel 1919 non sono ancora ben definiti i codici grafici per distinguere il maschio dalla femmina. Il colore complementare viene usato per veicolare il messaggio di complementarietà di genere
A confondere le idee ricordiamo però che Krazy Kat, altro gatto dei fumetti e dei cartoni animati, porta un foulard legato al collo, con nodo posteriore, non del tutto dissimile da quello della fidanzata di Felix! In un’occasione il famoso regista di commedie brillanti Frank Capra chiese a George Herriman se il suo personaggio fosse un maschio o una femmina. Herriman gli rispose: “Krazy Kat è piuttosto simile a un elfo o un folletto, i folletti non hanno sesso, sono spiriti liberi!”.
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Krazy Kat: il personaggio di George Herriman è svincolato da ogni definizione di specie e di genere
Pensando al gatto e al cane delle Feary Tales è molto importante valutarli in questo contesto, proprio per coglierne aspetti in consonanza con il periodo ma anche per coglierne quelli peculiarmente disneyani. Messi a confronto con il forte anticonformismo del Krazy Kat di George Herriman, il gatto e il cane disneyani ci rimandano un punto di vista del tutto differente, ma non meno sorprendente. Sono animali, come i bambini sono istintivi, sono perfettamente naturali e a loro agio, sono degli spiriti liberi ma non sono l’eccezione: Disney ci dice ora, e lo dirà sempre, che questa dovrebbe essere la regola! Gli umani adulti sono invece la versione problematica, alternativa, sovrastrutturata di quello che per regola (e non per eccezione) dovrebbe essere uno spirito libero. I ragazzini nelle Feary Tales, naturalmente giocano la parte di piccoli adulti, se confrontati ai due animali. Come è noto, in Disney non troviamo trasgressione alle convenzioni, la spiegazione è qui sotto i nostri occhi: la semplicità dovrebbe costituire la norma, viceversa, sono le stesse convenzioni sociali a costituire la trasgressione! Disney ribalta il paradigma. Nella coppia dei ragazzini in modo più complesso si riprende anche il gioco di chiari e scuri complementari, già presente nel gatto nero con parti bianche e nel cane bianco con macchie nere. Jack ha le scarpe bianche, i pantaloni neri, il maglione bianco, il cravattino nero, il cappello bianco. Susie ha le scarpe nere, le gambe e la gonna bianche, la camicetta nera, il colletto bianco, i capelli neri, il fiocco bianco. L’idea di utilizzare come “attori” di ogni Feary Tales questa doppia coppia, in questo gioco di equilibrio quadrilatero tra amicizia e amore, costituisce già la cellula base della società ideale secondo Walt Disney: senza madri e padri, pieno di zii autorevoli (ma naturalmente senza autorità), senza scuola a partire dall’adolescenza, ove ognuno è artefice del proprio futuro e amico di tutti. È noto che Disney in età matura abbia espresso la sua critica verso i giovani che rimanevano con i genitori “più del dovuto” e biasimasse quelli che frequentavano l’università, seppure non poteva negarne il valore. Le serie disneyana che seguirà le Feary Tales sarà Alice Comedies, incentrato su una bambina tra i 5 e i 6 anni in cui la presenza dei genitori è del tutto azzerata dopo i primissimi episodi, così come la presenza della scuola. Dalle serie successive: Oswald, Mickey Mouse, Donald Duck, Goofy, Pluto, abbiamo una società destrutturata da legami filiali, di conseguenza cementata da un’eterna solidarietà del “tutti per uno e uno per tutti”, costituita principalmente da single, eterni fidanzati, zii e nipoti. Guardiamo cronologicamente anche i film a lungo metraggio. Biancaneve non ha genitori, i nani neanche mogli e figli; Pinocchio non ha una madre, in ogni caso fugge dalla scuola e da Geppetto, tornerà, ma certo non si può dire che acquisirà una famiglia convenzionale. Dumbo non ha padre, imparerà a vivere da un topino e un gruppo di corvi; Bambi cresce senza padre e ben presto anche senza madre. Cenerentola è ben più bella e meritevole delle figlie naturali della sua matrigna; Alice, che passa le giornate con la sua precettrice, si rifugia in un mondo visionario. In Peter Pan finalmente abbiamo un famiglia tradizionale: ebbene, a questa famiglia per andare avanti non è richiesto ai figli di diventare come gli adulti, che nel codice del racconto significherebbe regredire, ma agli adulti di apprendere la regola: ritrovare il proprio bambino interiore! Questo stesso messaggio lo troveremo rafforzato in Mary Poppins: l’uomo adulto dovrà uscire dal mondo delle convenzioni sociali, sarà l’unica soluzione per non fallire sia come padre che come funzionario di banca. Torniamo all’inquadratura in questione, che costituisce il motore propulsore di tutto il racconto. Susie mette alla prova Jack: “hai paura dei giganti?”, Jack è costretto a ribattere il colpo: “Un giorno o l’altro andrò nella terra dei giganti…”. Al loro fianco il cane e il gatto, come abbiamo visto, si abbracciano istintivamente senza alcun bisogno di darsi prove d’amore. Ci viene mostrato il mondo istintivo e semplice degli animali e dei bambini e il mondo problematico e complesso degli adulti: come potremmo essere e come riusciamo a complicarci la vita. Subito dopo abbiamo un altro campo medio. Il cane e il gatto riempiono una minuscola barca a vela con ogni tipo di bagaglio, tra cui spiccano una sacca da golf, una racchetta da tennis una mazza da baseball e un grammofono. Il giovin signore si sta preparando ad avventurarsi nella terra dei giganti selvaggi. LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY
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Jack the Giant Killer: Jack parte per una terra selvaggia con un bagaglio da giovin signore della buona borghesia! Il notevole dettaglio dei bagagli che Walt si prende la briga di inquadrare in un cameo con mascherino e tanto di sfumature, crea un contrasto ironico e suggestivo con la ricerca di una terra selvaggia! Walt narra con una semplice coreografia! Non ha bisogno dell’azione. Una visione cinematografica del cartoon che comincerà ad avere sostanza solo all’inizio del decennio successivo
In un primo piano ad occhiello il gatto ci mostra bene questi bagagli in un’accuratissima illustrazione fissa. Narra con ironia il contrasto tra un giovin signore della buona borghesia e i selvaggi che andrà ad incontrare con un semplice dettaglio coreografico. Settima inquadratura. Jack spinge la vela con un mantice da camino e la barca si avvia in profondità di campo: non orizzontalmente, opzione più banale. Walt Disney come al solito sfrutta ogni occasione per dimostrare che i personaggi non si muovono in uno spazio teatrale, siamo nella dimensione dell’avventura, non della commedia. Ottava inquadratura. Questa volta abbiamo un normale profilo della barca in cui vediamo bene come Jack spinge la vela con il mantice. Segue didascalia: “Era una notte buia e tempestosa”. Le inquadrature dalla nona alla quindicesima costituiscono la scena della tempesta: è certamente la sequenza più spettacolare di tutto il cartoon. Dei meravigliosi nuvoloni acquerellati da Otto Walliman scorrono verso sinistra tempestati di lampi. In una nuova inquadratura l’imbarcazione, al centro, salta da un’onda all’altra verso destra. Saette appaiono e scompaiono, gocce di pioggia diagonali sono talmente violente da trasformarsi in tridenti. Tutto il campo visivo è coinvolto nell’animazione che sorprende per efficacia e fluidità. Si capisce ora perché Walt sia andato al risparmio sulle animazioni precedenti e anche in buona parte delle successive. Ha risparmiato in quei casi dove l’animazione non avrebbe aggiunto nulla alla narrazione, si è concentrato ove l’animazione costituisce la narrazione stessa. La tempesta non avrebbe potuto essere rappresentata in modo simbolico o didascalico, ma solo in modo coinvolgente. Se non fosse stata spettacolare avrebbe perso di senso narrativo. LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY LA COSTRUZIONE DEL MONDO DI WALT DISNEY
Le ottime animazioni delle onde sono all’altezza degli sfondi
La scena della tempesta costituisce un notevole salto di qualità sia negli sfondi che nell’animazione che coinvolge tutto il campo visivo
Dissolvenza in nero. Didascalia: “Dopo la tempesta arriva la calma”. Campo medio: Jack osserva in lontananza con un cannocchiale, un gabbiano gli blocca la visuale guardandoci dentro dalla parte opposta. Campo medio: ambiente sottomarino con grande traffico di pesci. Walt Disney riprende l’ambiente subacqueo di The Four Musician of Bremen. L’avventura verso l’isola dei giganti richiede l’attraversamento del mare e certo uno come Walt, che si rivelerà sempre pronto a sfruttare il regno subacqueo in tutte le occasioni possibili, come allegoria di una dimensione parallela, non si fa sfuggire questa occasione. Certamente non si fa sfuggire neanche l’occasione di riutilizzare alcuni degli sfondi di Otto Walliman di The Four Musician of Bremen.
Jack the Giant Killer: il riutilizzo degli sfondi
The Four Musician of Bremen
Vediamo che riutilizza anche la stessa gag del pesce sega, che evidentemente ha trovato efficace, ma naturalmente l’intento è quello di svilupparne maggiormente il potenziale. Questa volta il naso del pesce ha le fattezze di una sega circolare! Assistiamo nuovamente alla scena shock del pesce, questa volta molto grosso, segato in due per puro divertimento.
Jack the Giant Killer: Walt, ancora più crudamente riprende la gag del pesce tranciato in The Four Musician of Bremen
Il minaccioso pesce sale in superficie, la seconda vittima è la barca di Jack, anch’essa viene segata in due parti. Jack, Julius e il cane sono costretti a fuggire a nuoto. Dopo alcune carrellate alternate sui predati e predatore, abbiamo un totale su un inseguimento circolare e poi una fuga in profondità di campo laterale verso destra. I progressi rispetto alla scena analoga del precedente cartoon sono evidentissimi. Campo medio: i tre amici raggiungono finalmente uno scoglio, al pesce non rimane che schiantarsi sulla roccia e accartocciarsi a fisarmonica. Campo Medio: si avventurano nell’entroterra e ben presto si trovano davanti un cartello che avvisa che siamo nella terra di Woof in Proof, abitata da giganti pericolosi. Walt Disney non ha paura di essere didascalico nella comunicazione: lo spettatore in attesa di qualcosa di preciso è assai più attento a quello che viene lasciato nel limbo delle possibilità. Inoltre questo cartello costituisce la promessa mantenuta dal cartello sulla terra dei giganti visto prima del viaggio. Eppure lo spettatore degli anni venti si aspettava dai cartoons più una destrutturazione surreale del racconto classico, che non un tentativo di costruire una narrazione coerente. Purtroppo, come vedremo le Fairy Tales non godranno di una normale distribuzione, quindi non sappiamo quale sarebbe stato il riscontro del pubblico. A parte questo, fino all’adozione del sonoro in Mickey Mouse, la popolarità di Walt Disney rimarrà sempre uno o due gradini più in basso dei suoi maggiori competitors, come i Fleischer Brothers, Pat Sullivan o Paul Terry. Certamente precorreva un tipo di racconto che avrà la sua piena ragione di essere solo con l’introduzione dell’audio sincronizzato e con una maggiore dimensione realistica.
Lo sfondo è estremamente esotico, i nostri eroi sono finiti in una terra sconosciuta e selvaggia, la suggestiva profondità di campo suggerita dalle piccole palme in lontananza ci dice cha siamo in una vera avventura. Tutto ciò contrasta con un cartello che ci comunica esattamente dove siamo, quasi fossimo davanti ad un punto panoramico. Walt, con ironia crea una divertente atmosfera turistica, come al solito si avvicina il più possibile allo spettatore
Torniamo all’inquadratura e al paesaggio intorno al cartello: l’ambiente è molto vasto ed esotico, possiamo vedere palme stagliarsi all’orizzonte e rocce in primo piano. Carrellata su Jack e i suoi compari che si avventurano in perlustrazione. Qui è più evidente che mai che la camminata di Jack è un punto debole per gli animatori: sembra che Jack abbia dei pesi nelle scarpe, ma dal punto di vista dello spettatore di quel periodo, che si aspetta di tutto dal cartone animato, può essere presa come una caratteristica del personaggio. Campo medio: delle scimmie si lanciano tra due alberi che delimitano i lati dell’inquadratura.
Scopriamo che anche in questa terra selvaggia ci sono numeri da circo, gestiti da animali che sono anche spettatori
Breve carrellata: i tre camminano nuovamente in perlustrazione. Questa volta si trovano davanti a una platea di animali selvaggi che osservano un numero da circo: una scimmia con l’ombrellino cammina e fa il giocoliere su un serpente teso come una fune, annodato al collo di due giraffe poste ai lati dello schermo. Jack e i suoi amici ridono di gusto. Avanzano ancora. Campo lungo su alcune scimmie che usano la schiena di un brontosauro come scivolo. Queste tre fantasiose coreografie servono a dare volume alla narrazione: ci troviamo in una terra ricca di sorprese! Per altro una terra che, per quanto sconosciuta, è analoga alla nostra: anche i loro abitanti hanno il circo e gli spettatori. I nostri tre amici ridono ancora e avanzano nuovamente, poi Jack vede qualcosa e fa segno di nascondersi dietro dei massi. Figura intera: quattro giganti stanno giocano a un golf primitivo con rozze mazze a forma di martello (più da croquet che da golf, ma anche qui un cartello ci dice che si tratta proprio di un campo da golf!) e una specie di noce di cocco a fare da palla.
Il golf viene praticato anche dai giganti, non manca nulla. Un cartello ne indica il campo
Ancora un cartello ci mette in guardia. Susie è prigioniera in una gabbia su un albero
Campo medio: i tre compari escono dal loro nascondiglio. Campo medio: camminano fino a trovare una gabbia di legno inchiodata in cima ad un tronco, che tiene prigioniera Susie. L’uso dei cartelli toglie qualsiasi dubbio allo spettatore: indicano “Giant ville danger” e “Jail”.
Finalmente l’azione: i quattro giganti saltano addosso a Jeck e i suoi amici
L’inevitabile accade: si scatena la rissa in un classico vortice
I giganti tengono prigioniera Susie, che con un balloon invoca “Jack”. Jack risponde “Susie”, “Keep quiet and I’ll get you out”. Subito dopo i quattro giganti saltano addosso a Jack, due da ogni lato. Si crea una rissa con un classico vortice da cartone animato, ma Jack fortunatamente ne esce di soppiatto. Raggiunge Julius e gli dà indicazioni, che verranno ben presto chiarite anche allo spettatore. Jack provoca i giganti con un fischio per farsi inseguire. Intanto il cane e il gatto gettano una fune con un lazo da un masso all’altro, sull’orlo di un dirupo. Era questo il suggerimento di Jack! Da questo momento in poi i giganti inseguono Jack in una fuga pirotecnica senza sosta, anche sottoterra, dove Jack riesce a creare buche da cui a entrare e uscire come fosse una talpa. Anche i giganti vi entrano a tuffo ed escono senza alcuna difficoltà, nonostante la mole. Il campo lungo permette di utilizzare tutto l’ambiente in profondità. Quando Jack esce definitivamente da sottoterra i giganti lo inseguono prima in una classica carrellata laterale, ma poi in una spettacolare corsa in profondità di campo, con punto di fuga laterale, prima ad allontanarsi e poi a ritornare verso lo spettatore. Jack si piega in avanti e fa inciampare i giganti.
In un cartone animato così variegato non poteva mancare la corsa in profondità di campo con punto di fuga laterale, prima ad allontanarsi e poi a ritornare verso lo spettatore
Infine Jack corre verso la fune, per rifugiarsi all’ultimo momento dietro ai massi con i suoi compari. I giganti inciamperanno nella fune tesa, precipitando giù dalla scogliera dove quattro grandi pesci emergono opportunamente, spalancando la bocca e ingoiandoli all’istante. Non rimane che liberare Susie. Julius fa entrare in campo un elefante, trainandolo per una zanna. Questi, usando le lunghe zanne come zanche di un carrello elevatore preleva la gabbia che si scoperchia.
Altra promessa mantenuta dall’introduzione dell’avventura: una perfetta scena romantica
In campo medio ad occhiello Susie rimane seduta sul ripiano in legno dove sale anche Jack che riceve un meritato bacio al grido “Mio eroe!”. Segue una carrellata in avanti in campo medio, con punto di fuga laterale sinistro dell’elefante che, rimanendo al centro del quadro cammina, inquadrato di ¾ verso lo spettatore, trasportando sulle zanne il pavimento della gabbia su cui siedono comodamente i nostri quattro eroi. Naturalmente la scenografia di alberi scorre, rimpicciolendo verso il punto di fuga. Entrambe le coppiette si stringono amorevolmente come fidanzatini.
Alice in Wonderland, 1923: la parata di Alice accolta in pompa magna. La camminata dell’elefante di Jack and the Giant Killer viene riproposta e migliorata
Walt Disney riciclerà la stessa inquadratura, sempre con l’elefante in Alice’s Wonderland, qualche mese dopo rivestendo il tutto di una più sontuosa coreografia. Riutilizza il proprio lavoro solo per trarne una versione più avanzata. Nell’inquadratura seguente scopriamo che questo era tutta una fantasia, ci ritroviamo difatti nuovamente davanti ai cartelloni del circo: Jack stava semplicemente raccontando a Susie come sarebbe stato capace di salvarla dai giganti. Susie gli risponde stizzita: “C’è di meglio di questo”. Da sinistra entra nell’inquadratura un ragazzino piccoletto con due gelati: Susie ne prende uno e se ne vanno insieme. Jack sviene perdendo i sensi, rimangono Julius e il cane a cercare di rianimarlo facendogli aria con il fazzoletto.
Tutte le promesse di una storia avventurosa e romantica sono state mantenute. A questo punto Walt Disney può anche cambiare il finale. Susie non si accontenta del racconto di Jack e si allontana con un altro ragazzo che semplicemente le offre un gelato! Jack perde i sensi, ma per fortuna i suoi compari di avventure si prendono cura di lui
L’inquadratura si chiude con mascherino a rombo in restringimento. In questo cartoon tutte le animazioni, a parte quelle della scena della tempesta, sono realizzate, anche se in modo diverso, al risparmio. L’inseguimento dei giganti costituisce il picco dell’azione, quello che ci aspetta fin dall’inizio, dall’incontro di Jack con i villain della storia. È quindi piuttosto curato. Viceversa, i movimenti dei giganti durante la caduta dalla scogliera riprendono l’animazione sclerotica e ciclica delle prime scene. È evidente che Walt Disney, non avendo larghe risorse, ogni volta deve fare una scelta di campo: in questo caso ha concentrato le proprie energie sulla costruzione di una narrazione coerente, su una variegata regia, su una più ricca coreografia che accompagnasse il racconto. Non c’è dubbio che questo cartoon sia quanto di meglio abbia realizzato fino a quel momento, tanto che forse non dovrebbe sorprenderci il fatto che quando arriverà la batosta economica che travolgerà lo studio i maggiori amici di Walt Disney non lo lasceranno solo. Solitamente in circostanze di fallimento societario gran parte della squadra si disperde con forti dissidi, invece in questo caso non solo rimase un gruppo fortemente coeso, ma guadagnarono un pezzo fondamentale: Ub Iwerks, il talento indiscusso della compagnia, lasciò lo stipendio sicuro alla Film Ad per lavorare a tempo pieno accanto a Walt Disney e ai ragazzi nel momento più buio del loro fallimento. Nessuno storico ha mai trovato una spiegazione razionale in questa scelta. Oltre allo straordinario carattere di Ub Iwerks, evidentemente tutti avevano visto in Walt e nel cartone animato qualcosa di più di un reddito facile. Avevano trovato una casa e non l’avrebbero più lasciata. (Il prossimo articolo su Walt Disney riguarderà i restanti cortometraggi della Lough-O-gram e il periodo di Kansas City).

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