La Cina

La storia della vecchia Cina è noiosa come quella dell’antico Egitto: millenni tutti uguali dominati dal sovrano di turno. Diversamente dalla storia dell’Occidente, che è sempre in evoluzione e alla fine costringe, volenti o nolenti, anche egiziani e cinesi ad adeguarsi.

Per dare un’idea di questo immobilismo, basti pensare che l’imperatrice cinese Cixi aveva radunato i propri ministri per decidere se costruire o meno le ferrovie. Tutti si dissero orripilati dall’idea: il denso fumo nero delle locomotive avrebbe appestato le campagne popolate dalle divinità. Alcuni adoratori della natura di oggi gli darebbero ragione, così come qualche capotribù pellerossa.

La modernità può arrivare in Cina solo all’inizio del Novecento, quando viene deposto l’ultimo imperatore e viene instaurata una repubblica di tipo occidentale. Però il presidente Chiang Kai-shek è più a suo agio con l’autoritarismo dei vecchi imperatori, che con le regole della democrazia.

Peggio ancora il suo nemico Mao Zedong, il leader comunista finanziato da Stalin. Alla fine, nel 1949, Chiang Kai-shek deve scappare nell’isola di Taiwan lasciando tutta la Cina continentale nelle mani di Mao.

La Cina di Mao è un massacro: data l’incapacità dei comunisti di governare razionalmente, milioni di contadini muoiono di stenti. Invece i cinesi della piccola Taiwan diventano sempre più ricchi e democratici.

Il successore di Mao, il riformista Deng Xiaoping, tra gli anni settanta e ottanta decide di imitare Taiwan, salvo che per la democrazia, dando alla Cina un sistema “capitalistico” paradossalmente controllato dal Partito comunista.

In pochi decenni i cinesi si arricchiscono, anche grazie alle agevolazioni economiche concesse loro da americani ed europei. Bisognerà aspettare il presidente americano Donald Trump per cambiare in parte politica, togliendo alcune agevolazioni a un Paese che ormai non ne ha più bisogno.

I cinesi non sono individualmente molto ricchi, ma il loro numero, quasi un miliardo e 400 milioni, trasforma il Paese in una grande potenza mondiale. Solo che usano il loro potere diversamente da come fanno i democratici Stati Uniti.

D’accordo, la democrazia comincia a formarsi nell’antica Grecia, ma la democrazia moderna, quella dei partiti che vanno alle elezioni, si afferma nell’Inghilterra del Seicento. Siccome gli inglesi volevano tenere la democrazia tutta per loro, senza dividerla con i coloni, alla fine del Settecento gli Stati Uniti d’America fanno loro guerra per diventare indipendenti.

In alcuni decenni, grazie all’estensione dei loro territori, gli Stati Uniti diventano molto più popolosi degli stati europei, e quindi più potenti. Tanto che l’Inghilterra chiede loro sostegno nella Prima guerra mondiale (1914-1918). Gli Stati Uniti cincischiano, ma alla fine, nel 1917, accettano di aiutare le nazioni che combattono i tedeschi entrando in guerra al loro fianco.

La stessa richiesta viene rivolta all’inizio della Seconda guerra mondiale (1939-1945), ma stavolta gli americani sono ben decisi a rimanere neutrali, pur aiutando sottobanco gli inglesi bombardati dai tedeschi e i cinesi invasi dai giapponesi. Solo l’attacco a tradimento dei giapponesi alla loro marina militare, nel 1941, costringe gli americani a entrare in guerra.

Vinta anche la Seconda guerra mondiale, gli americani cambiano strategia militare. Ora non aspetteranno più che le guerre diventino mondiali per intervenire: interverranno subito, appena qualcuno proverà a invadere un altro Stato. In cambio del loro aiuto, gli Stati Uniti chiedono ai Paesi del mondo di abbandonare il sistema dittatoriale per accogliere quello democratico.

Nel corso degli anni ottanta, Il presidente americano Ronald Reagan rivolge tale richiesta persino ai latinoamericani, che da sempre amano i governi militari. Così, per esempio, il dittatore cileno Augusto Pinochet deve presentarsi alle elezioni e perdendole lascia il governo agli oppositori.

Gli Stati Uniti riuscivano a imporre la democrazia soprattutto con la minaccia di sanzioni economiche, che a dire la verità non spaventa proprio tutti (per esempio, non i dittatori cubani).

La Cina, invece, ripete sempre che non vuole intromettersi nel sistema politico degli altri Stati. Ognuno si governi come vuole. Questo atteggiamento appare sempre più apprezzato dagli Stati autoritari dell’Africa e dei paesi islamici, ma possiamo stare certi che in futuro troverà apprezzamenti anche nella democratica (per ora) Europa.

Gli uomini che hanno il potere non amano rischiare di perderlo, come accade in tutte le democrazie quando vengono indette nuove elezioni. In futuro vedremo quindi sempre più Paesi schierarsi con la Cina, abbandonando gli impegnativi Stati Uniti.
Il fascismo, anche se non si chiamerà più così, diventerà di nuovo popolare. Se non altro per fare dispetto a quegli antipatici di americani.



Di Sauro Pennacchioli

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Un pensiero su “LA CINA PRENDERÀ IL POSTO DEGLI STATI UNITI”
  1. Caro Sauro,
    non e’colpa della Cina se gli USA e per induzione il resto del mondo una volta Libero si stanno autoaffogando in un conati ideologici irrazionalistico-gramsciani.
    Ormai il mio amato Occidente non e’ piu’ quello degli anni ’50.
    Alcune frangie di malati mentali sono state lasciate libere di condizionare con idee che vanno contro natura, logica, buon senso e storia il nostro vivere. La nostra Liberta’.
    Questa societa’ e’ la copia in grande e con netflix di Weimar.
    Sappiamo come e’ andata a finire.
    Vedendo il clima da caccia alle streghe che c’e’ oggi, di stampo peggiore che quello maccartista, e di verso opposto, viene da pensare che lo stesso McCarthy avesse ragione al 100%.
    E non solo lui.
    Fascismo: non c’e’ bisogno di gagliardetti ma di sanita’mentale e razionalita’ volteriana per fare quello che va fatto.
    Massicciamente, senza sconti. If we want our Western World to survive.
    E poi le Cinesi sono delle gran belle figliole.E questo e’ l’ argomento piu’ importante per me oggi.

    Clint from UK

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