I manga in Italia erano sicuramente arrivati prima di Kappa Magazine della Star Comics, come abbiamo visto ripercorrendo la storia editoriale del fumetto giapponese nella nostra nazione (click QUI), ma allora perché un titolo del genere? Kappa Magazine non è stata nemmeno la prima rivista-contenitore di manga a essere apparsa nelle nostre edicole, dato che Zero e Mangazine della Granata Press la precedettero di qualche tempo, però è proprio l’approccio alla base di questa pubblicazione a decretare la nascita definitva di una “coscienza” ampia sul mondo dell’intrattenimento nipponico disegnato. Senza nulla togliere ai prodotti editoriali che arrivarono prima di Kappa Magazine (peraltro sempre curati dallo stesso nucleo di persone), la rivista segna l’inizio di qualcosa di nuovo. Non per niente, nel primo editoriale i giovani redattori dichiaravano che Kappa Magazine era ciò che avevano voluto fare sin dai tempi di Mangazine nella iniziale versione fanzine. E quindi ecco un po’ di storia per comprendere la sequenza degli eventi. Kappa Magazine n. 1, luglio 1992 Mangazine, nella versione fanzine, è stata una delle primissime pubblicazioni italiane a tema anime/manga. Uscita in cinque numeri tra il 1989 e il 1990, venne poi acquisita dalla casa editrice Granata Press di Bologna e diventò una rivista da edicola a tutti gli effetti, a partire dall’aprile 1991. A un certo punto la Granata vede andar via, per diatribe interne, proprio i quattro principali fondatori e articolisti. I quali trovano un nuovo editore nella Star Comics di Perugia, dove formano il “gruppo” dei Kappa Boys. La Star Comics, che negli anni ottanta aveva fatto fortuna con gli albi della Marvel, desiderava inserirsi nel mercato dei manga, e i Kappa Boys Barbara Rossi, Andrea Pietroni, Andrea Baricordi e Massimiliano De Giovanni erano i migliori in circolazione a cui affidarsi. Il primo numero di Kappa Magazine esce nel luglio 1992. Ed è subito una rivoluzione, perché tra i fumetti proposti non figura alcun personaggio del mondo nipponico già noto ai fan italiani. Lì dove Zero e Mangazine potevano contare su Ken il guerriero e Lamù, che mietevano successi in televisione, Kappa Magazine proponeva titoli mai sentiti e autori spesso inediti: 3×3 Occhi, Oh, mia dea!, Squadra Speciale Ghost (ossia Ghost in the Shell, uscito praticamente in contemporanea con il Giappone). Al massimo c’era Dirty Pair (le Kate e Julie in onda su Odeon TV) ma si trattava dell’originale romanzo a puntate, fatto illustrare a rotazione da autori italiani. Anche i manga che si sarebbero aggiunti successivamente lungo il primo anno di vita editoriale (Compiler, Gun Smith Cats) non erano certo nomi di richiamo. Eppure funzionò. Squadra Speciale Ghost Altra innovazione, che decreta la nascita di quella “coscienza manga” citata precedentemente, è che i Kappa Boys trattavano direttamente con il Giappone l’importazione delle opere da pubblicare. Fino a quel momento ci si doveva affidare a editori intermediari americani, che avevano già provveduto a riadattare (a volte arbitrariamente tra censure, ritocchi, tagli di interi episodi e traduzioni semplicistiche) i manga per il loro mercato. Oh, mia dea! (la serie più longeva di Kappa Magazine) Gli stessi Kappa Boys, nella loro precedente vita editoriale in Mangazine, si erano impegnati in prima persona a rendere al meglio i manga che giungevano dall’America (ritraducendo i testi e ripristinando le vignette originali). Ma stavolta era diverso: per la prima volta, o quasi, non si passava più per un editore statunitense, ma si dialogava direttamente con la casa editrice nipponica Kodansha. I manga per come erano pensati in patria dai loro autori, tranne che per il senso di lettura (ribaltato), erano finalmente in Italia, ed erano solo su Kappa Magazine. 3×3 Occhi è poi migrato su altre testate La volontà di evitare qualsiasi tipo di intervento censorio portò qualche accesa discussione nell’angolo della posta (“Punto a kappa”, il nome della rubrica), perché effettivamente Ghost in the Shell, 3×3 Occhi e pure Gun Smith Cats presentavano scene un po’ audaci. Le tazzine non c’erano… Nella storia editoriale di Kappa Magazine sono da segnalare i volumi monografici “e mezzo”, ossia degli extra all’interno della collana. Poi arrivarono i party nelle discoteche del centro-nord Italia tra proiezioni e musica: era nato un vero e proprio movimento, la giappomania era decollata. Kappa Magazine aveva un buon apparato redazionale a colori, inizialmente chiamato “Anime”: news, recensioni, dossier e rubriche varie coloravano la rivista. La scelta di un inserto a colori fu vincente, e anche le tavole iniziali dei fumetti originariamente a colori vennero mantenute. Tra le rubriche non possiamo non ricordare quella del Kappa, la mascotte della rivista, che svelava e anticipava golose novità e curiosità; Game Over, sui videogame a tema anime/manga; Eroi, dedicata ai telefilm dal vivo; Karaoke, sulle colonne sonore; Il televisore, con analisi e anticipazioni tv; L’edikola; Graffi&Graffiti; e in seguito Versus, De-Press, sulla stampa nazionale; e la RubriKeiko, gestita dall’autrice Keiko Ichiguchi. Le rubriche La lotta alle censure televisive portò i Kappa Boys a lanciare per due volte a distanza di qualche anno la Kappa Petizione: la richiesta alle reti televisive (principalmente Rai, Fininvest e Junior Tv) di evitare tagli e rimaneggiamenti di opere giapponesi. Il discorso però era molto complesso, o paradossalmente più semplice (come abbiamo visto QUI), ma ricordiamo i due dettagliati dossier sulle censure a Orange Road e all’ultimo episodio di Sailor Moon come testimonianza di un periodo preciso degli anime in Italia. La petizione Tra l’altro, Kappa Magazine presentò il fumetto del dinosauro Gon di Tanaka, ospitò la commovente e tragica Joe e il capitano di Tezuka e Zeta di Otomo. Il colpaccio lo fece con “Alis Plaudo”, una storia inedita di Lupin III ambientata in Italia disegnata eccezionalmente da Monkey Punch, creatore del personaggio, e scritta proprio dai Kappa Boys. Lupin III in “Alis Plaudo” Durante la seconda metà degli anni novanta Kappa Magazine conobbe una naturale evoluzione: arrivarono nuovi fumetti e nuovi contenuti. Tra retrospettive e giochi di ruolo ci fu spazio anche per quattro episodi di un’avventura speciale di Sailor Moon, dove per la prima volta vennero usati i nomi originali di personaggi e poteri. Alla fine del decennio si andava verso un rinnovo generazionale del pubblico, accompagnato dalla moda che manga e anime stavano ormai rappresentando in Italia. Kappa si fece prima Plus, ossia raddoppiò il numero di pagine come esperimento che poi divenne stagionale e infine fisso. Quindi cambiò addirittura logo e grafica. Dal gennaio del 2000, come per festeggiare l’ingresso nel nuovo millennio, la rivista rivide un po’ i suoi spazi redazionali, riorganizzandoli e rinfrescandoli. I manga proseguirono spediti (in quell’epoca erano pubblicate opere come Che meraviglia! – QUI una retrospettiva-, Narutaru, Exaxxion, Aiten Myoo, Office Rei…) fino allo special del giugno 2002. Il numero di quell’estate festeggiava i 10 anni di pubblicazione, e lo faceva proponendo le serie in corso alternate a titoli otaku-oriented scelti per l’occasione. Nonostante il successo di manga e anime nel nostro Paese, e il loro sdoganamento presso un pubblico più eterogeneo e vasto, le riviste-contenitore iniziarono a cedere sotto i colpi di un web veloce e pratico. Dal dicembre del 2003 Kappa Magazine si trasformò in KM, divenne sempre più orientata verso un pubblico specifico (continuando la pubblicazione di fumetti come Otaku Club, Potemkin e Goblin, aggiungendone poi di nuovi, ultramoderni), ma sacrificò spesso l’apparato redazionale, finendo in libreria. Poi divenne bimestrale e quindi chiuse definitivamente. Segno dei tempi che cambiavano. Ma l’avventura fu lunga, lunghissima: 173 numeri, dal 1992 fino al 2006. Senza ombra di dubbio, la rivista italiana dei manga. Navigazione articoli MAD, LA RIVISTA PAZZESCA DI HARVEY KURTZMAN PV – GENTILISSIMO